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Benessere animale in allevamento: un’etichetta per certificarlo

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Le firme riportate sono quelle di Legambiente, CIWF Italia – la divisione italiana dell’associazione Compassion in World Farming – e di Rossella Muroni, deputata di Liberi e Uguali. La proposta di legge è la numero 2403 ed è stata depositata lo scorso 25 maggio. La richiesta è quella di una etichettatura nazionale ed univoca sul metodo di allevamento dei capi di bestiame, la quale specifichi quale tasso di benessere animale si raggiunga nel centro di produzione da cui proviene la carne che consumiamo.

Un’iniziativa per il benessere animale

Questa proposta di legge è figlia di una battaglia che Legambiente e CIWF portano avanti da tempo. Più volte infatti, le due associazioni, hanno rimarcato l’esigenza di mettere ordine nelle informazioni trovate sulle etichette della carne. Diciture e scritte riportate sulla banda adesiva della confezione di carne, latte oppure formaggio che troviamo al supermercato possono essere fuorvianti per il consumatore. Chiunque si rechi a fare la spesa, di contro, è sempre più attento all’etichetta del prodotto in vendita. La tematica, attualissima, ha acquisito sempre maggiore importanza nel corso degli ultimi anni. Rispetto a qualche tempo, fa, sulle etichette, troviamo oggi più informazioni, le quali però sono spesso disorganizzate e grossolane. Le generiche diciture sul benessere animale, attualmente presenti sulle bande adesive, non danno infatti alcuna garanzia sulle condizione nelle quali gli esemplari siano tenuti all’interno degli allevamenti.

La proposta di legge ha anche un secondo scopo. Oltre a voler fornire informazioni corrette al consumatore, essa vuole premiare e valorizzare gli allevamenti virtuosi. Sono infatti presenti, sul territorio nazionale, centri di produzione che applicano standard di benessere animale superiori, rispetto anche a quelli che sono i minimi di legge. Il secondo intento di questa iniziativa è consentire a questi allevamenti di distinguersi, acquistando una maggiore visibilità. Naturalmente, se si riuscisse in questo, si stimolerebbero anche i centri di produzione meno attenti a migliorare nel loro operato, in modo da non perdere quote di mercato.

L’etichetta

Qualora dovesse essere approvata questa proposta di legge, ecco come sarà composta la nuova banda adesiva da apporre sulle confezioni. L’etichetta testimoniante il benessere animale sarà su base volontaria. Essa indicherà risposte a quattro principi cardine: indicazione del metodo di allevamento; utilizzo o meno di gabbie; presenza di almeno tre livelli di benessere animale per singola specie; chiarezza e comprensibilità.

Per quanto concerne gli allevamenti suini, CIWF e Legambiente hanno elaborato una serie di criteri per l’etichetta. Essi sono stati messi assieme in base ai diversi livelli potenziali di benessere animale offerti dall’allevamento; semplificando, esprimono quali comportamenti naturali il centro di produzione garantisca agli esemplari che ospita, se così possiamo dire.

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La proposta

Nello specifico, le due associazioni distinguono i metodi di allevamento per i suini su 5 livelli. Questi differenti livelli sono in ordine crescente, dallo 0 fino al 4.

Il livello 0 è il più virtuoso. Si tratta di allevamenti biologici che garantiscono il costante accesso all’aria aperta. Le scrofe restano libere durante la gestazione, il parto e l’allattamento; lo svezzamento dura oltre 40 giorni.

Il livello 1 è all’aperto. Si ritrova anche in questo caso un costante accesso all’aria aperta. Anche qui le scrofe sono in libertà durante gestazione, parto e allattamento. Lo svezzamento è comodo, oltre i 40 giorni. E’ presente una lettiera vegetale e non si ricorre mai a castrazione chirurgica.

Il livello 2 è definito al coperto. Garantisce almeno un 30% di spazio in più rispetto ai minimi requisiti di legge. Le scrofe sono libere durante la gestazione, il parto e l’allattamento. Troviamo una lettiera vegetale e non si ricorre a castrazione chirurgica.

Il livello 3 è al coperto e presenta maggiori restrizioni al benessere animale. In virtù di uno spazio maggiore rispetto al minimo di legge (sempre almeno un 30% di cubatura in più), le scrofe sono tenute in gabbia per un massimo di 6 giorni settimanali. La lettiera è in paglia, si fa uso di castrazione chirurgica, rigorosamente con l’animale in anestesia e non vi è alcun accesso all’aria aperta.

Il livello 4 è il peggiore. Si tratta di allevamenti intensivi, i quali si limitano a rispettare le generose norme di legge. Le scrofe vivono in gabbia e sono private di accesso all’aperto.

Etichettatura secondo il metodo di allevamento, elaborazione: CIWF Italia

Da queste direttive definite dall’associazione Legambiente e da CIWF, organizzazione che si occupa principalmente di benessere animale all’interno degli allevamenti, è possibile estrapolare una catalogazione completa e piuttosto ben rimarcata di quali dovrebbero essere le prerogative per potersi definire un centro di produzione virtuoso.

L’importanza di un’etichettatura attenta al benessere animale

Come ci ricorda CIWF Italia, un’etichettatura corretta e precisa è fondamentale per guidare il cittadino. Anche il consumatore di carne, infatti, negli ultimi tempi ha cominciato ad interessarsi in misura sempre maggiore di quali siano le condizioni nel quale il suo cibo viene prodotto. Quando il benessere animale è elevato, anche la qualità del prodotto cui dà origine lo è. Esemplari in salute generano carne salutare. La maggiore attenzione alle condizioni dei capi di bestiame è un valido antidoto ai numerosi problemi che gli allevamenti intensivi causano all’ambiente.

Il sistema intensivo è in grado di garantire molto più cibo, in quanto gestisce molti più animali. Naturalmente, però, ciò comporta anche un maggior consumo di suolo, più emissioni organiche generate dal bestiame e una più alta quantità di vegetali da fornire agli esemplari finché sono in vita. In un pianeta sempre più popolato e sempre più goloso di carne, diventa importante, diciamo pure fondamentale, fare in modo che essa sia prodotta nel rispetto del nostro ecosistema.

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di Mattia Mezzetti
Giu 4, 2020
Fanese, classe ’91, inquinatore. Dal momento che ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo, non si fa certo problemi ad ammettere che la propria impronta di carbonio sia, come quella della gran parte degli esseri umani su questo pianeta, troppo elevata. Mentre nel suo piccolo cerca di prestare sempre maggior attenzione alla questione delle questioni, quella ambientale, ritiene fondamentale sensibilizzare trattando il più possibile questa tematica.

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