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Energia pulita: che lezione dall’Oceania

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La settimana scorsa, dalle pagine de L’EcoPost, abbiamo parlato di autoconsumo e comunità energetiche. Lo abbiamo fatto muovendo da un recente decreto del MISE che incentiva e incoraggia la creazione e lo sviluppo di queste figure capaci di prodursi energia in autonomia e di immagazzinarla per il proprio fabbisogno e per la vendita. La componente energia è una colonna all’interno dell’ampia discussione sul surriscaldamento globale; è necessario allontanarsi dalle sorgenti fossili, limitate e inquinanti, per abbracciare il rinnovabile e scommettere su energia pulita e illimitata. Se in Italia cominciamo a muovere i primi passi in questa direzione, in altre parti del mondo si è puntato già da tempo sulla green energy.

Leggi anche: “Autoconsumo: è l’alba di una nuova energia?”

Energia pulita in città: il caso Sydney

Agli antipodi del nostro vissuto quotidiano, nella lontana Australia, si trova la città di Sydney; probabilmente la più importante del Paese e del continente Oceania. Il suo iconico skyline, dominato dalle geometrie del Teatro dell’Opera, la rendono riconoscibile a prima vista. Ebbene, oltre alla sua storia e architettura, la capitale morale australiana avrà anche un altro dettaglio, non da poco, da aggiungere alle sue brochure turistiche e non solo. Essa sarà infatti la prima città al mondo alimentata al 100% da energia pulita e rinnovabile.

I lampioni e il sistema di illuminazione pubblico, gli impianti sportivi e gli edifici cittadini e persino il municipio sfruttano già da luglio le rinnovabili. Queste scelte sono figlie di una decisione presa nel 2016, la quale all’epoca apparve come rivoluzionaria, con cui la città decise di ridurre del 70% le proprie emissioni di carbonio entro il 2030. Ora, 10 anni prima di quella ambiziosa deadline, Sydney ha scelto di muovere un importante primo passo. La scelta non è soltanto etica e di esempio per tutto il mondo – o almeno per quella porzione di esso la quale voglia veramente scampare all’apocalisse ambientale – ma ha anche un importante risvolto economico.

Le stime dicono che, dal 2021, quando l’intero distretto metropolitano sarà green, gli abitanti risparmieranno, complessivamente, mezzo milione all’anno sulla loro bolletta. In aggiunta a ciò, la realizzazione dei due parchi solari e del centro eolico, le infrastrutture che, de facto, copriranno l’intero fabbisogno energetico cittadino, hanno creato numerosi posti di lavoro.

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La svolta

“Tutti gli apparati elettrici: lampioni, piscine, edifici comunali e persino lo storico municipio di Sydney, assorbiranno energia da fonti interamente rinnovabili. Questo è il più grande affare di energia verde nella storia dell’Australia.” Ha affermato con soddisfazione il sindaco, Clover Moore. La prima cittadina, intervistata dal City of Sydney News, è parsa orgogliosa di essere stata in grado di centrare gli obiettivi di sostenibilità che la giunta si era posta. Moore ne ha ben donde. Diversamente dalle tante altre figure politiche che, in giro per il pianeta, si riempiono la bocca di piani di sostenibilità – o green new deal qualora preferiate, dato che va di moda dare ad ogni proposta un nome anglosassone – lei un importante risultato lo ha ottenuto.

L’investimento per la creazione delle tre centrali rinnovabili che producono energia è stato pari a 60 milioni di dollari. Tre quarti dell’energia pulita che rifornisce la città è di derivazione eolica, la restante solare. L’ammortamento della spesa è stato calcolato in circa 10 anni e la stima delle riduzioni nocive si attesta intorno alle 200mila tonnellate ogni anno.

Per citare nuovamente il sindaco Moore: “Le città sono responsabili del 70% delle emissioni serra mondiali. È fondamentale intraprendere azioni sul clima efficaci e basate sull’evidenza. Siamo nel mezzo di un’emergenza climatica. Se vogliamo ridurre le emissioni e far crescere il settore dell’energia pulita, ogni livello di governo deve passare urgentemente al rinnovabile.” Il pensiero è corretto e condivisibile. La politica deve mandare segnali forti e dare esempi calzanti.

Dal pubblico al privato

I dati di cui abbiamo scritto finora si riferiscono alla porzione di energia legata alla rete comunale. Il 100% di energia rinnovabile, dunque, rifornisce l’intera utenza municipale. Il dato, in sostanza, non tiene conto delle abitazioni private. Facciamo dunque da subito un importante distinguo: Quando parliamo di città green non ci riferiamo a ogni singolo interruttore all’interno dei confini comunali, ma alla porzione di elettricità utilizzata dal municipio.

In aggiunta ai vantaggi già citati, occorre sottolineare l’aspetto relativo alla creazione di una consapevolezza nuova in termini ambientali. Quando i politici fanno il primo passo verso la riconversione energetica, è più facile educare i cittadini. L’istituzione rappresenta l’elettore e prende le decisioni per lui. Questa volta la decisione presa è stata buona e ciò ci fa ben sperare. Naturalmente, ora ci occorrono 10, 100, 1000 Sydney in giro per il mondo. Bisogna agire ora e occorre che, così come il pubblico, si muova anche il privato. Nel nostro piccolo ognuno di noi può attivarsi per riconvertire la propria utenza ad energia pulita. Sono tutte piccole gocce le quali, diceva qualcuno, poi arrivano a costituire un oceano: quello dell’energia pulita, una battaglia fondamentale nella guerra al surriscaldamento globale.

Il pallino dell’energia pulita

Evidentemente in Oceania una parte dei leader politici è più sensibile al cambiamento climatico. Non c’è infatti solo la bella storia di Sydney, occorre scrivere anche di quel che sta accadendo in Nuova Zelanda. Il primo ministro neozelandese, una di quelle figure politiche che in Europa – ma anche in America – ci sogniamo, tanto è progressista e al passo con i tempi, Jacinda Ardern, sembra davvero intenzionata a portare avanti una delle sue più ambiziose promesse elettorali.

Entrambi questi esempi virtuosi – quello di Sydney e della Nuova Zelanda – vanno in controtendenza rispetto alle dichiarazioni del Primo Ministro australiano, Scott Morrison (Partito Liberale d’Australia), il quale ha, a più riprese, scherzato sulle possibili conseguenze del cambiamento climatico, annunciando anche la sua volontà di raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica “nella seconda metà del secolo” rifiutando, di fatto, gli impegni del Paris Agreement.

Nel 2017, quando ancora doveva entrare in carica – ma stava già portando avanti una campagna elettorale efficace, i cui frutti si sono poi visti – la Ardern era stata chiara. Durante il primo mandato (in scadenza ad ottobre) ci occuperemo di priorità economiche e sociali già in agenda. Nella prossima campagna elettorale, però, il tema principale sarà l’ambiente. È facile fare promesse di questo tipo, anzi, diciamo pure che è la quotidianità del lavoro di un politico. Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo quel mare che separa uno statista da un quaquaraqua. I tre anni del primo mandato Ardern ci fanno pensare molto più al primo che al secondo, naturalmente, ora però il primo ministro sarà atteso al varco. Se vinciamo, portiamo il Paese al 100% di energie rinnovabili entro il 2030; con queste parole Jacinda Ardern ha aperto la sua campagna elettorale per la rielezione.

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Quali fonti energetiche utilizza la Nuova Zelanda, Grafico: Wikipedia.

La forza di Jacinda Ardern

La gestione della pandemia – pressoché impeccabile ma che ha comunque lasciato qualche inevitabile strascico sull’isola – ha leggermente minato il consenso del Partito Laburista al potere, difficilmente però la Ardern non vincerà agevolmente le elezioni in ottobre. Al momento, è data sopra il 50%. Con le priorità in agenda già affrontate, si preannuncia un importante occasione per occuparsi davvero di clima. Nella migliore delle ipotesi, qualora i voti rispecchiassero la proiezione, il partito di Jacinda Ardern avrebbe la maggioranza da solo, senza bisogno di alleanze. Il Labour è forte perché ha dimostrato competenza e creato coesione sociale in un Paese etnicamente misto come la Nuova Zelanda. L’immagine di questo successo è il volto del Primo Ministro: giovanile (Ardern ha 40 anni), eppure trasuda già grande esperienza politica. Basteranno queste caratteristiche a rendere concreto il piano ambientale?

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Jacinda Ardern, Foto: Happymag

Il piano green

“La ripresa economica post COVID-19 rappresenta un’opportunità unica per la generazione di rimodellare il sistema energetico della Nuova Zelanda. Possiamo renderlo più rinnovabile, più veloce, conveniente e sicuro. L’investimento nelle energie rinnovabili consentirà di creare posti di lavoro. Il nostro piano svilupperà la forza lavoro altamente qualificata di cui questa economia ha bisogno per prosperare in futuro. Il piano per l’energia pulita è un elemento del più ampio piano di ripresa dal COVID-19 e del lavoro che preparerà la Nuova Zelanda al futuro. Stimoleremo occupazione ed economia.” In un recente discorso di Ardern c’è la sua visione per il futuro energetico del Paese.

Già oggi la Nuova Zelanda è uno degli Stati più virtuosi da questo punto di vista. L’84% circa della sua elettricità è prodotta da fonti rinnovabili. Ciononostante, il Paese importa ancora carbone e petrolio dall’estero e lo fa in quantità ingenti. Oltre ad una riconversione totale in 10 anni, il piano mira anche a elettrificare l’intera industria nazionale e il settore dei trasporti. Tra le nuove tecnologie preferite dai laburisti ci sarebbe l’idrogeno verde. Secondo i detrattori – ovvero la quasi interezza degli avversari politici di Jacinda Ardern, National Party (conservatori) in testa – il piano non farebbe affatto risparmiare, bensì aumenterebbe il costo dell’energia di almeno il 40%.

Non che dobbiamo stupirci, sappiamo bene ormai che l’opposizione è solo capace di dire il contrario di quel che pensi un governo. Relativamente a ciò, tutto il mondo è davvero paese.

Può la Nuova Zelanda sfruttare soltanto energia pulita?

Nonostante Jacinda Ardern sia probabilmente uno dei pochi fari di buona politica, in un mondo che non sa più neppure cosa siano gli statisti, resta comunque lecito dubitare del fatto che le sue parole non siano solo calamite da campagna elettorale. La Nuova Zelanda è però un piccolo Stato. I suoi abitanti sono meno di 5 milioni e l’energia pulita è già una piacevole realtà, come si è scritto. Dunque in un lasso temporale di 10 anni, i quali potrebbero anche essere tutti amministrati dallo stesso partito, seppure Ardern non sarà più Primo Ministro nel 2023, vi sono numerose possibilità che tale risultato possa essere raggiunto. Il fabbisogno energetico del Paese potrebbe tranquillamente essere soddisfatto solo tramite fonti rinnovabili. Quel che farà la differenza nel corso dei prossimi anni sarà la volontà di raggiungere l’obiettivo.

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Noi osservatori esterni, che viviamo lontani dalla Nuova Zelanda in condizioni sociali e politiche profondamente diverse, non possiamo che auspicarlo. Qualora anche un Paese così lontano e contenuto riuscisse a raggiungere la totalità di energia pulita, non sarebbe che un esempio da seguire per tutti; un precedente cui ispirarsi; una strada da intraprendere.

L’Oceania manda ottimi segnali al fronte della battaglia per il clima e l’ambiente. Nel Pacifico vivono spesso in prima persona i drammi delle piogge torrenziali e delle alluvioni legate al surriscaldamento globale, con numerose isole che si trovano spesso in difficoltà. Gli altri Paesi riusciranno ad intercettare questi segnali e fare altrettanto?

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di Mattia Mezzetti
Set 29, 2020
Fanese, classe ’91, inquinatore. Dal momento che ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo, non si fa certo problemi ad ammettere che la propria impronta di carbonio sia, come quella della gran parte degli esseri umani su questo pianeta, troppo elevata. Mentre nel suo piccolo cerca di prestare sempre maggior attenzione alla questione delle questioni, quella ambientale, ritiene fondamentale sensibilizzare trattando il più possibile questa tematica.

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