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Oklahoma, la terra ritorna ai nativi americani

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Con una sentenza storica, la Corte Suprema americana ha stabilito che gran parte dell’Oklahoma orientale è riserva indiana. In questo territorio è stabilita l’autonomia giudiziaria, politica e fiscale. La decisione, presa di misura con 5 voti contro 4 il 9 luglio, esautora lo Stato dell’Oklahoma dal perseguire casi che coinvolgano nativi americani. La sovranità si estende per più di un milione di ettari, includendo parte di Tulsa e Broken Arrow, due delle città più popolose e importanti.

America First…o forse no!

La sentenza segna un precedente incredibile. “La formulazione del documento era piena di tale intenzione e grazia che mi ha commosso fino alle lacrime”, ha commentato un membro dei Tiger, una delle tribù coinvolte. L’area interessata si estende nelle nazioni dei Cherokee, dei Muscogee (Creek), dei Seminole, e in quelle meridionali dello stato dell’Oklahoma, come Chickasaw e Choctaw.

Da una dichiarazione congiunta rilasciata dalle cinque tribù di nativi americani si intuisce la portata di questa decisione. “Le Nazioni e lo stato sono impegnati ad attuare un quadro di giurisdizione condivisa che preservi gli interessi sovrani e i diritti all’autogoverno, affermando al contempo le intese giurisdizionali, le procedure, le leggi e i regolamenti che sostengono la sicurezza pubblica, la nostra economia e i diritti di proprietà privata“, scrivono.

La sentenza McGirt vs Oklahoma

La vicenda risale al 1997, quando Jimcy McGirt fu accusato da un tribunale dello Stato dell’Oklahoma di vari crimini, tra cui stupro di primo grado su una bambina di quattro anni. L’uomo fu condannato senza la possibilità di libertà condizionale. Sia lui che la vittima erano membri della Nazione dei Seminole.

Nel 2018, dopo 21 anni trascorsi in carcere, decise di sfidare la corte statale dell’Oklahoma con una petizione. Visto che i reati erano stati commessi all’interno del territorio dei Muscogee -conosciuti anche come Creek- e forte di una precedente sentenza del 2017, McGirt avanzò una richiesta. La riserva dei Muscogee non era mai stata abolita dal Congresso, facendo sperare di spostare la giurisdizione a quella tribale.

Le due parti contendenti cominciarono a discutere la questione. Da un lato, la Nazione dei Cherokee sottolineava la continua soppressione della loro legge e cultura da parte dello Stato. Inoltre, proponeva il loro punto di vista sugli accusati: non sarebbero stati scarcerati. Avrebbero risposto a una corte di livello superiore, quella federale, oltre che alla loro.

Contro i nativi americani si scagliavano i District Attorneys, supportando la tesi per cui un altro livello di sovranità avrebbe solamente creato ulteriori problemi durante le indagini. I poliziotti di Tulsa, per esempio, non sarebbero stati in grado di controllare efficacemente la città, data la differenza di leggi previste.

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La decisione della Corte Suprema a favore dei nativi americani

Neil M. Gorsuch, giudice del blocco dei conservatori, si è unito ai liberali. Scrivendo le opinioni, ha sottolineato come la sentenza vertesse “sulla possibilità che la terra promessa nei trattati rimanesse alla riserva indiana per scopi di giurisdizione criminale federale”. Ha poi aggiunto: “Visto che il Congresso non ha deliberato diversamente, il governo deve tenere fede alle sue parole”.

Le domande delle minoranze dei nativi americani erano molte. Così, un giornale della minoranza dei Choctaw ha risposto ai quesiti più frequenti. La decisione della Corte non autorizza l’immediato rilascio di tutti i detenuti. Tutti i casi verranno valutati singolarmente, scegliendo il percorso giudiziario adeguato. Il numero delle emergenze rimarrà sempre il 911. Nessun non-nativo dovrà lasciare le proprie case o le proprietà. Inoltre, i confini dell’Oklahoma rimarranno intatti, come i diritti e i doveri dei cittadini.

La sentenza lascia alcuni scontenti, tra cui lo Stato dell’Oklahoma. Roberts, uno dei quattro giudici scheratisi contro, ha dissentito mostrando tutta la sua perplessità. La “decisione […] crea una significativa incertezza per l’autorità statale su qualsiasi area che tocchi affari dei nativi americani, dall’urbanistica alla tassazione, fino alla famiglia e alle leggi ambientali”.

La sentenza dello Stato dell’Oklahoma sulle terre dei nativi americani

Promesse e realtà per i nativi americani

Anche tra i cittadini della nazione dei Muscogee (Creek), la decisione sul caso McGirt desta qualche preoccupazione. Come riportato dal TheGuardian, Cherra Giles, nativa di Tulsa e vittima di violenza domestica, apprezza la possibilità per la sua tribù di proteggersi in questo modo. D’altra parte, però, non vorrebbe che le famiglie delle vittime subissero un secondo trauma.

“Non c’è un cattivo momento per mantenere una promessa”, ribadisce Giles, ricordando come nel 18esimo secolo il governo federale promise di rispettare i diritti sulla terra dei nativi americani.

In un momento storico travagliato per gli Stati Uniti, la notizia sembra essere una speranza per una minoranza della comunità. Dopo le proteste per la morte di George Floyd, la squadra dei Washington Redskins ha deciso di cambiare nome. Il proprietario della squadra ha sempre difeso l’appellativo, poichè rappresentava “l’onore, il rispetto e l’orgoglio” del gruppo. Dopo un esame approfondito, il 13 luglio il team ha optato per la sostituzione.

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La conquista più grande

Nonostante le differenze, le popolazioni indigene condividono problemi riguardanti la salvaguardia dei diritti. La loro identità è spesso non riconosciuta. Le loro terre e le risorse naturali sono sfruttate. Queste minoranze sono le più svantaggiate e vulnerabili del pianeta. Solamente nel 1982, l’introduzione di un gruppo di lavoro alle Nazioni Unite permise loro di condividere le esperienze.

La dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni del 2007 è il culmine di trent’anni di lavori. Le organizzazioni presenti erano più di 100 per affermare “che tutte le persone contribuiscono alla diversità e alla ricchezza delle civilizzazioni e culture che costituiscono il patrimonio comune dell’umanità“.

La strada verso il pieno riconoscimento e rispetto dei diritti è ancora lontana.

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di Natalie Sclippa
Lug 16, 2020
Nata in Friuli-Venezia Giulia nell'estate del '98, sono laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche e ora sto proseguendo i miei studi in Criminologia. Curiosità, determinazione ed entusiasmo fanno parte del mio vocabolario minimo. Cerco di coniugare la mia passione per la scrittura con l'attenzione verso ciò che mi circonda. Affascinata dal perfetto equilibrio terrestre, mi dedico alla comprensione degli effetti antropici sulla natura. Amante del diritto e delle lingue, mi impegno per dare risalto alle battaglie in cui credo, lavorando, al contempo, per smussare gli spigoli del mio carattere. Il mio motto? Non esiste giustizia ambientale senza giustizia sociale.

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