I nostri partner - EERT

VISITA IL LORO SITO

Disastro nucleare di Fukushima: è passato un decennio

Home » Cambiamento Climatico » Inquinamento » Disastro nucleare di Fukushima: è passato un decennio
Tempo di lettura 5 minuti

11 marzo 2011, ore 14:46 locali; al largo della costa del Giappone settentrionale, alla profondità di 30 km si verificò un sisma di magnitudo 9 con successivo tsunami, che portò ad uno dei disastri nucleari più gravi al Mondo. Quello di Fukushima. L’11 marzo di quest’anno si è celebrato un decennio da quel terribile evento. Un giorno che le Nazioni di tutto il Pianeta hanno vissuto con sgomento e con il terrore di aver ripetuto il dramma di Chernobyl.

Fukushima: cosa accadde?

Lo tsunami, quel giorno, mise fuori uso l’impianto elettrico di backup della centrale nucleare; questa, rimasta senza elettricità, non riuscì più a garantire il raffreddamento dei reattori. L’interruzione dei sistemi e di ogni fonte di alimentazione elettrica, nelle ore successive causò la perdita di controllo di tre reattori che erano attivi al momento del terremoto. Nel corso delle ore e dei giorni successivi vi furono quattro distinte esplosioni, causate da fughe di idrogeno; alcune distrussero strutture superiori degli edifici di due reattori.

I noccioli di tutte e tre le Unità coinvolte subirono il meltdown completo, in momenti diversi. Oltre al rilascio di materiale radioattivo iniziale, uno dei maggiori problemi è ora la rimozione delle milioni di tonnellate di acqua radioattiva usata nel raffreddamento delle barre, ancora presente nell’impianto. Il lavoro di ripulitura costerà decine di miliardi di dollari e potrebbe protrarsi per i prossimi 40 anni.

Sopra l’unità 1 attualmente è in costruzione una gigantesca copertura (che sarà terminata nel 2023) in cui saranno sepolti polveri e detriti; mentre la rimozione del combustibile è pianificata per il 2027. L’unità 2, invece, ospiterà una struttura che, a partire dal 2024, sarà usata per stoccare 615 fasci di barre di combustibile. Quasi ultimati invece i lavori nell’unità 3, sovrastata da una struttura in acciaio in cui questo mese si dovrebbe completare la rimozione di altro combustibile. E infine c’è l’unità 4, in cui non è presente alcun detrito.

Secondo le stime della Tepco, saranno necessari almeno altri 30 anni per recuperare il combustibile non danneggiato e quello che si è sciolto e poi solidificato, per sbarazzarsi dell’acqua usata per il raffreddamento e per disassemblare i reattori. Sono in particolare i primi due punti a preoccupare di più, dal momento che ancora non si sa con certezza dove siano tutti i detriti e quindi non se ne può pianificare con precisione il recupero. Nel 2022 gli addetti alla bonifica proveranno a intervenire con un braccio meccanico sull’unità 2 per recuperare piccole quantità di detriti che si pensa giacciano sul pavimento.

Fukushima oggi

Oggi le cose sono cambiate solo superficialmente. Per gli isotopi radioattivi, infatti, dieci anni rappresentano un tempo irrisorio e la contaminazione è ancora presente, nonostante i tentativi del governo di decontaminare e di abolire la zona di esclusione.

Il prelievo di 5 cm di terra nelle zone limitrofe alla centrale, ha abbassato di molto il livello di contaminazione rilevabile in superficie, ma ha anche lasciato degli interrogativi senza risposta. Per esempio, sulla tipologia di analisi effettuate, visto che gli elementi radioattivi sono svariati. La maggior parte delle analisi, però, si concentra sulla rilevazione del Cesio 137. Oppure sulle condizioni delle falde acquifere o del terreno finalizzato alle coltivazioni. Le particelle radioattive, con le piogge, vengono mano a mano assorbite dal terreno ma ritornano in circolo dopo essere state assimilate dalle piante.

Leggi anche il nostro articolo: “Le foreste e l’uomo, relazione complessa anche alla luce del cambiamento climatico”

Il governo giapponese ha revocato quasi per intero l’iniziale zona di evacuazione; lasciando giusto alcune aree, in particolare quelle dei comuni più a ridosso della centrale, Ookuma e Futaba. Il resto del territorio è ad oggi ufficialmente una zona in cui è permesso rientrare. Come è possibile? La politica giapponese, la quale punta molto sulle prossime Olimpiadi per mostrare al Mondo che l’incubo nucleare sia svanito, ha iniziato ad abolire i sussidi abitativi e l’assistenza sanitaria agli sfollati.

Tantissime persone si stanno rifiutando di rientrare in quei territori, in cui sarebbe impossibile ricominciare una vita. Non solo a causa del pericolo radioattivo, ma anche per un sistema economico completamente distrutto; inoltre, vi è una grave mancanza di servizi primari, come ospedali o supermercati. La zona di Fukushima è sempre stata un paradiso verde del Giappone, famosa per i suoi tantissimi prodotti come riso e carni pregiate. La popolazione viveva grazie a quei settori che non potranno più essere ripristinati.

Acque radioattive in mare?

La Tepco, la compagnia giapponese che gestisce la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, potrebbe dover riversare enormi quantità di acque radioattive nel Pacifico, quando lo spazio di stoccaggio sarà esaurito.

L’acqua è attualmente stazionata in oltre 1000 enormi-serbatoi che tuttavia nel 2022 saranno pieni. Il piano di Tokyo è quello di gettarla in mare, previo trattamento, attraverso un processo di rimozione multi-nuclide che tuttavia non è in grado di filtrare alcune sostanze pericolose.

Le taniche contenenti le acque radioattive di Fukushima.
Crediti: Issei Kato/Reuters

Alcuni studi confermano come anche dopo il trattamento l’acqua sia ancora contaminata e quindi pericolosa per la salute umana e per l’ambiente. Le rassicurazioni offerte dalle autorità giapponesi si baserebbero su dati sperimentali incompleti e, dunque, ancora inaffidabili. Tra le sostanze contenute nell’acqua contaminata, il trizio che secondo alcune ricerche può provocare morti fetali, leucemia infantile e sindrome di Down.

A preoccupare sono anche gli effetti a lungo termine dell’acqua trattata sull’ecosistema marino, con le sue inevitabili conseguenze per l’economia locale che vive di pesca. L’unica certezza è che una volta riversato nell’oceano, il materiale radioattivo rimarrà in mare.

La Tepco è da anni alle prese con l’accumulo di acqua radioattiva. L’acqua di falda che scorre sotto la struttura si contamina quando entra in contatto con quella usata per impedire che i nuclei danneggiati dei tre reattori fondano. Il governo nipponico ha investito 34,5 miliardi di yen (291 milioni di euro) per costruire una barriera ghiacciata sotterranea. Questa dovrebbe impedire all’acqua di falda di raggiungere i reattori, ma la struttura è riuscita soltanto a ridurre il flusso da 500 a 100 tonnellate al giorno.

Il Giappone ed il nucleare oggi

Il disastro di Fukushima non ha fermato il nucleare nel paese. Alcuni impianti sono tornati presto in funzione dopo uno stop generale cautelativo subito dopo l’incidente. Attualmente sono 9 i reattori giapponesi di nuovo in funzione dopo il disastro; altri 6 hanno già passato la revisione e possono essere rimessi in funzione. Infine, 12 reattori sono ancora in revisione.

In un’intervista al Financial Times, il ministro dell’Economia del Giappone Hiroshi Kajiyama ha affermato:

L’energia nucleare sarà essenziale per il raggiungimento dell’obiettivo di azzeramento delle emissioni nette di carbonio entro il 2050.

A marzo 2019 il mix elettrico giapponese era ancora ben distante dagli obiettivi fissati lo scorso dicembre per il prossimo decennio: le fossili erano al 77%, le rinnovabili al 17% e il nucleare al 6%.

Nel nuovo piano mancano i dettagli per l’energia dall’atomo, ma il governo ha fatto sapere che intende riservargli uno spazio più ampio. Nel vecchio piano del 2018, il nucleare avrebbe dovuto coprire nel 2030 il 20-22% del mix. Praticamente lo stesso ruolo riservato alle rinnovabili. I giapponesi pare la pensino diversamente. Secondo un sondaggio pubblicato il mese scorso dal quotidiano nipponico Asahi Shimbun, il 53% della popolazione non vuole il riavvio dei reattori. Un terzo invece si dichiara a favore, percentuale che cala al 16% tra gli abitanti di Fukushima. Il cambio di rotta è ancora molto lontano.

“Abbiamo la responsabilità di consegnare alle future generazioni un ambiente in cui possano vivere in sicurezza e con la massima tranquillità. In un mondo che ci è stato consegnato non possiamo più guardare alla realtà solo in termini utilitaristici, orientando l’efficienza e la produttività solo al nostro profitto individuale. La solidarietà tra generazioni non è un optional, ma una questione elementare di giustizia”

Papa Francesco, “Laudato si”

La domanda che tutti dovremmo porci è: siamo davvero sicuri che l’energia nucleare sia davvero pulita ed economica come molto spesso si crede?

I nostri partner - VAIA

VISITA IL LORO SITO

di Beatrice Martini
Mar 13, 2021
Nata nel 1993 a Roma, laureanda in Scienze Biologiche. Grazie alla sua famiglia fin da piccola si appassiona alla natura e alla conservazione di quest’ultima decidendo di farne una missione nella vita. Questo la porta in giovane età ad affacciarsi al mondo della subacquea e della fotografia naturalistica, partecipando a corsi (Scuola di fotografia Emozioni Fotografiche) e workshop in tutta Italia, come il “Marine Wildlife 2018” con Canon presso Tethys Research Institute. Durante il liceo vince due premi letterari che la portano ad appassionarsi al giornalismo, specialmente quello ambientale. Affascinata dai lavori delle sue mentori, Ami Vitale e Cristina Mittermeier, punta a diventare anche lei una foto/videoreporter per la conservazione dell’ambiente. Crede fortemente nel potere della parola e delle immagini attraverso le quali spera, un giorno, di poter dare un contributo per la salvaguardia del Pianeta. Nel 2020, grazie a L’Ecopost, le viene data l’occasione di poter affacciarsi al giornalismo e alla denuncia ambientale.

Leggi anche: