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Green Economy, cosa si cela dietro il termine

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Green Economy: definizione

Che cos’è l’economia verde

Il termine green economy, in inglese, è ormai diffusissimo anche in Italia, tanto che se ne sente parlare davvero molto spesso. Ma a che cosa ci riferiamo quando parliamo di economia verde o economia ecologica? Si tratta di un modello teorico di sviluppo economico che muove da un’analisi bioeconomica. In tale analisi non si prende in esame soltanto la crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) e i benefici di un determinato regime di produzione di una determinata nazione o comunità. Nel modello si dà anche importanza a quanto quello sviluppo impatti sull’ambiente, ovvero quali potenziali danni porti l’intero ciclo di trasformazione della materia prima al pianeta.

Nel video di HTT, che cos’è la green economy

Come si valuta un modello economico

La valutazione più tipica di ogni modello economico si calcola a partire dall’estrazione delle materie prime, nei luoghi dove esse sono rintracciabili. Poi si mette in conto il loro trasporto; la trasformazione in energia e/o prodotti finiti e da ultimo quali siano i problemi che questo ciclo genera. Tra di essi vanno annoverati anche tutti i possibili disagi, quando non proprio i danni causati all’ambiente al termine del ciclo, nelle fasi di smaltimento ed eliminazione del prodotto.

Gli economisti parlano di retroazione negativa a danno del PIL nel momento in cui il modello economico diventa troppo impattante sull’habitat interessato dall’economia presa in esame. Quando ci sono problemi ambientali, infatti, le attività economiche riducono inevitabilmente la propria resa. Ogni impresa, infatti, è fatta di persone e trae chiaramente vantaggio da una buona qualità dell’ambiente ove opera. Qualora funzionino a regime e nel rispetto ambientale agricoltura, pesca e turismo la salute pubblica ne giova. Lo stesso accade in assenza di disastri naturali e dei drammi che da essi originano.

La green economy sul dizionario

Il celebre dizionario Treccani dà una definizione di green economy chiara e piuttosto immediata. Tale definizione semplifica quanto è stato espresso nelle righe precedenti, incorporando i concetti riportati:

Modello teorico di sviluppo economico che prende in considerazione l’attività produttiva valutandone sia i benefici derivanti dalla crescita sia l’impatto ambientale provocato dall’attività di trasformazione delle materie prime. Forma economica in cui gli investimenti pubblici e privati mirano a ridurre le emissioni di carbonio e l’inquinamento, ad aumentare l’efficienza energetica e delle risorse, a evitare la perdita di biodiversità e conservare l’ecosistema.

Cenni storici

Si potrebbe far risalire il concetto di green economy al 1911. A quell’epoca, il termine non era ancora stato coniato e l’attenzione all’ambiente era davvero molto bassa. In quel periodo Frederick Soddy, chimico e fisico britannico, sviluppò un modello che metteva in relazione la dipendenza economica – politica dai fondamenti della termodinamica. La sua analisi era in netto contrasto con l’economia neoclassica, figlia e dipendente della meccanica newtoniana, che al tempo era già dominante. Le teorie di Soddy restarono piuttosto circoscritte per almeno 60 anni.

All’inizio degli anni ’70, gli studi di Nicholas Georgescu-Roegeneconomista svizzero – prima e Herman Daly – suo collega statunitense – poi, introducono finalmente le scienze ecologiche nel pensiero economico. Di fatto, è a questo punto della storia che si sviluppa il concetto di sostenibilità e il suo fondamento operativo nell’immaginario collettivo.

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Foto: Pixabay

A questi due pionieri seguiranno altri professionisti che renderanno il connubio tra crescita ed ecologia sempre più raffinato, fino al 2014. In quell’anno il noto economista Jeremy Rifkin teorizza un’economia rivoluzionaria se paragonata ai modelli tipici, interamente verde e digitale. Chiunque desideri approfondire il suo modello può farlo consultando il volume “La terza rivoluzione industriale.” I principali concetti nel suo ragionamento sono internet delle cose, ascesa di un commons – economia collaborativa – alternativo al sistema produttivo che va per la maggiore e, infine, quella che forse è la principale necessità perché la green economy prenda piede: l’eclissi del capitalismo.

Dossier Stern, il primo Green Economy Report

Prima di Rifkin si era già iniziato a parlare di un’economia nuova ed ecologica, la quale era anche già stata ribattezzata come verde. Il cosiddetto rapporto Stern, risalente al 2006, propone un’analisi economica che valutava già l’impatto dei cambiamenti climatici a livello sia ambientale sia macroeconomico. Nel documento, il PIL mondiale viene definito minacciato dal surriscaldamento globale. Per essere datato 2006, il dossier resta ancora attualissimo, tanto erano sul pezzo i punti salienti elencati da Nicholas Stern, all’epoca presidente della Banca Mondiale.

Pochi anni dopo, nel 2009, il presidente USA Barack Obama si impegnò a rilanciare l’economia del suo Paese puntando sulla green economy. Era un periodo in cui gli States, così come tutto il mondo, attraversavano una grave crisi, non ancora totalmente risolta. A seguito del crack della banca Lehman Brothers, infatti, l’economia americana versava in recessione profonda. Il modello di sviluppo verde vuole contrastare quello nero dovuto allo sfruttamento di combustibili fossili. L’amministrazione Obama non riuscì a dare molto gioco alla green economy, pur riuscendo ad insediare negli USA numerose attività nel settore. A Donald Trump, come ben sappiamo, interessava ben poco del benessere del pianeta. Chissà che Joe Biden non riesca a dare finalmente slancio all’economia ecologica.

Green economy per superare i vecchi paradigmi

L’economia verde, dunque, non prende in esame soltanto la produzione. Dai concetti scritti quando abbiamo dato la definizione di green economy, emerge come si considerino anche altri valori, compresi quelli legati all’ambiente. Un ciclo economico inserito in quest’ottica dovrà necessariamente evitare di impattare troppo sulla natura. La verde vuole essere un’economia che diminuisce le emissioni di CO2 e, di conseguenza, l’inquinamento. Per riuscire a conservare l’ecosistema ed evitare di danneggiare troppo la biodiversità è necessaria una partnership tra pubblico e privato. Se vogliamo cambiare il nostro sistema economico, dobbiamo infatti tutti caricarci sulle spalle il fardello della sua riconversione.

Un modello teorico che prende sempre più piede

Per tutto quel che si è scritto fin qui si capisce bene come il modello teorico di green economy voglia rompere con i vecchi paradigmi economici. I sistemi di macroeconomia tradizionali, infatti, mettono – più o meno volontariamente – in contrapposizione la crescita o il successo del modello con la tutela del nostro habitat. In Europa, in tempi recenti, il concetto di economia verde sta prendendo sempre più piede. L’Unione Europea continua infatti a pubblicizzare e parlare di questo modello, proponendo numerosi incentivi per le comunità statali che decidano di puntare forte su di esso.

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Foto: Pixabay

Gli stessi governi italiani, nonostante la loro estrema mutevolezza, si dimostrano via via più attenti a questo tema, indipendentemente dal loro colore politico. Naturalmente, c’è chi vi è più attento e chi meno; i partiti più conservatori sono tendenzialmente più lontani dalla sensibilità ambientale, fosse anche solo per non perdere consenso da parte dello zoccolo duro del loro elettorato. Di ricetta verde, però, sentiamo parlare settimanalmente in questi tempi di pianificazione per intercettare i generosi fondi del recovery fund continentale e la proposta non riscontra una opposizione troppo acre, nelle stanze dei bottoni. Negli ultimi anni, i Ministri hanno ideato vari bonus per stimolare la conversione verso la green economy. Sono elementi che ci fanno ben sperare, sebbene la strada appaia ancora davvero molto lunga. Molti di essi, infatti, restano per il momento soltanto sulla carta.

Leggi anche: “Ripresa: che ne è stato delle proposte green?”

Nel concreto

A questo punto abbiamo snocciolato sufficientemente che cosa significhi il termine green economy, da dove derivi e quali siano le sue caratteristiche teoriche. Andiamo dunque ora a vedere che cosa comporti essa nello specifico, nel concreto. Partendo da una generosa quota di investimenti che mirino a migliorare l’efficienza energetica delle comunità aderenti al modello, la green economy punta a salvaguardare l’ecosistema su cui essa si appoggia. Nel farlo, naturalmente, non vuole pregiudicarne la crescita. Un simile atto è chiaramente più facile a dirsi che a farsi; il cambiamento deve partire dalla sensibilità delle persone che nel sistema di economia ecologica sono circoscritte. Riforme politiche e norme comunitarie devono consentire la riscoperta dell’importanza della natura e della sua protezione. Accanto alla conversione economica ne occorre anche una sociale.

Green economy come meccanismo virtuoso

Accrescere il PIL senza danneggiare l’ecosistema può apparire un’impresa. Ciò si deve al fatto che gran parte delle nostre nozioni economiche vedono la crescita come nemica dell’ambiente, poiché dalla rivoluzione industriale in poi è sempre stato così. Le risorse vanno gestite al meglio, dalla culla alla tomba, ottimizzando la produzione e trasformazione. In tal modo, sarà possibile crescere senza impattare sull’ambiente, innescando un meccanismo virtuoso ancora ampiamente sconosciuto nella gran parte dei Paesi cosiddetti sviluppati.

La Terra fa sempre più fatica a tollerare e sostenere l’impatto di un’umanità troppo numerosa, la quale consuma le risorse del Pianeta come se non ci fosse un domani. Così facendo, si aumentano notevolmente i rischi che quel domani non arrivi per davvero. A medio e lungo termine, non esistono alternative possibili all’economia ecologica. L’ambiente può e deve essere considerato un fattore di crescita economica. Il principio alla base del modello di sviluppo green è infatti di una chiarezza cristallina. Se impoveriamo l’ambiente che ci ospita, dunque le sue risorse, e consumiamo eccessivamente le materie prime che esso ci offre, danneggiando le riserve, avremo inevitabilmente un aumento del prezzo delle stesse. Ciò comporta chiaramente un danno economico.

Se invece ci preoccupiamo di tutelare il nostro habitat, potremmo allora contare su uno stabile apporto materico. Inoltre, l’ambiente va protetto, tutelato e gestito al meglio. Tutte queste mansioni richiedono del personale. Questi lavoratori sono quelli a cui ci riferiamo quando parliamo di green jobs. Agricoltori, tecnici addetti alla produzione di energie rinnovabili, operatori ecologici che si occupino del riciclo, bioarchitetti, paesaggisti e biourbanisti. Tutti questi settori possono essere potenziati, all’interno di comunità improntate all’economia verde. Ecco creato il modello virtuoso di cui si parlava poc’anzi.

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Elaborazione grafica: Pixabay

Tutte le difficoltà del nuovo che prova ad avanzare

La trasformazione dell’economia nera in green economy presenta anche problemi e difficoltà. Essa richiede infatti una trasformazione davvero profonda della società, e non sempre essa riesce a comprenderla appieno, tantomeno a metterla in atto senza obiezioni. Come sempre accade, lasciare il seminato, la nostra comfort zone come direbbero gli anglosassoni, e abbracciare il nuovo, non è cosa semplice per molti.

La prima presa di coscienza dovrebbe arrivare da aziende e imprenditori, i quali farebbero bene a creare una responsabilità sociale d’impresa, la quale indichi ai lavoratori tutti i vantaggi della conversione e, in fin dei conti, l’ineluttabilità di essa, se davvero vogliamo salvare questo pianeta. L’adozione di strumenti e tecnologie che impattino meno sull’ambiente, per quanto possano essere più costose, sarebbero già un ottimo primo passo in questa direzione. Gli Stati farebbero bene ad affiancare le aziende in questo cammino. Qualcuno sta provando a farlo. Ad esempio negli USA è nato un organo preposto – il Sustainabilty Accounting Standards Board – che dal 2011 favorisce la divulgazione di informazioni sulla sostenibilità delle aziende, a favore degli investitori. L’organismo è indipendente, slegato da dinamiche politiche o lobbistiche.

Vi sono svariati studi che ci testimoniano come chiunque adotti politiche aziendali affini alla tutela ambientale, riesca poi a rendere meglio sul mercato. la ricerca più nota è quella del Boston Consulting Group. Risale al 2016 e trae un’importante conclusione: gli investitori tenderebbero a premiare le performance migliori sui temi ambientali, con valutazioni maggiori di una percentuale compresa tra 3 e 19% rispetto alla media delle imprese concorrenti. È un segnale di come la strada che si deve intraprendere sia ben indicata per molti. Non ancora per tutti, però.

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di Mattia Mezzetti
Gen 28, 2021
Fanese, classe ’91, inquinatore. Dal momento che ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo, non si fa certo problemi ad ammettere che la propria impronta di carbonio sia, come quella della gran parte degli esseri umani su questo pianeta, troppo elevata. Mentre nel suo piccolo cerca di prestare sempre maggior attenzione alla questione delle questioni, quella ambientale, ritiene fondamentale sensibilizzare trattando il più possibile questa tematica.

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