In India, da circa due mesi decine di migliaia di agricoltori sono accampati nella periferia di Nuova Delhi. Alla fine di settembre, il governo del Primo ministro Narendra Modi ha approvato in Parlamento 3 nuove leggi riguardanti l’agricoltura. Queste ultime andrebbero a sfavore dei braccianti. Poco dopo sono scoppiate le prime proteste negli stati settentrionali del Punjab e di Haryana, che possiedono quasi il 3% dei terreni coltivabili del Paese ma producono il 50% circa delle sue eccedenze di riso e grano. A nulla è servito l’intervento “mediatore” della Corte Suprema ed i morti finora sono circa 150.
Cosa sta accadendo in India?
Il governo ha ignorato a lungo le proteste degli agricoltori (cominciate a settembre); ma alla fine di novembre questi ultimi si sono diretti verso Nuova Delhi. In migliaia, a bordo dei loro trattori, hanno superato barriere e fossati creati dalle forze dell’ordine per arrestare l’avanzata.
Le nuove leggi permetteranno ai commercianti privati di acquistare i raccolti direttamente dagli agricoltori, aggirando così gli uffici del governo creati per garantire l’equità dei prezzi. I sindacati degli agricoltori protestano perché ritengono che queste leggi porteranno alla sparizione degli uffici commerciali governativi, i quali acquistano gran parte delle eccedenze di cereali.
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Il mese scorso, la Corte Suprema dell’India emesso un’ordinanza che sospendeva le tre controverse leggi agricole e ha ordinato la formazione di un comitato di mediazione composto da quattro membri per aiutare le parti a negoziare. Ma i leader degli agricoltori hanno respinto qualsiasi comitato nominato dal tribunale. Almeno 147 agricoltori sono morti nel corso dei mesi di proteste per una serie di cause, tra cui suicidio, incidenti stradali e esposizione al freddo.
Il malcontento degli agricoltori è stato una sfida significativa per Modi, poiché mesi di manifestazioni e sit-in in tutto il paese contro la sua politica agricola sono diventati una situazione di stallo segnata da colloqui bloccati tra gli agricoltori e la sua amministrazione. Ma i passi avanti fatti sono davvero pochi e alquanto insignificativi.
Cosa temono gli agricoltori in India?
Per decenni, il governo indiano ha offerto prezzi garantiti agli agricoltori per determinate colture; ciò dava una certezza a lungo termine che consentiva loro di effettuare investimenti per il ciclo colturale successivo. Le nuove regole consentono agli agricoltori di vendere le loro merci a chiunque a qualsiasi prezzo.
Ma gli agricoltori sostengono che le nuove leggi li lasceranno in condizioni ben peggiori, rendendo più facile per le società sfruttare i contadini e aiutare le grandi aziende a ridurre i prezzi.
Le leggi sono state così controverse poichè l’agricoltura è la principale fonte di sostentamento per circa il 58% degli 1,3 miliardi di abitanti dell’India. Gli agricoltori sono il blocco elettorale più grande del paese, rendendo l’agricoltura una questione centrale nella politica.
I manifestanti temono che possa ripetersi l’esperienza vissuta nello stato di Bihar; dove leggi come queste sono entrate in vigore 15 anni fa portando allo smantellamento dell’infrastruttura commerciale del governo e a un calo dell’87% dei punti vendita. Gli agricoltori inoltre temono che, con l’entrata in vigore delle nuove leggi, i commercianti privati più piccoli saranno sostituiti dalle grandi aziende.
Le clausole delle nuove leggi, che vietano di ricorrere in tribunale in caso di controversie, acuiscono le loro apprensioni. Alcune delle grandi aziende dell’India, prese di mira dagli agricoltori, portano il nome di Reliance Industries e l’Adani Group; guidato da noto amico intimo di Modi.
Come si è arrivati a questo?
Nel 1947, anno dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, l’India era una nazione in deficit alimentare. Dopo decenni di scarsi raccolti e carestie, nei primi anni ’60 il Paese dette un forte impulso alla coltivazione dei cereali; lo fece affidandosi a nuove varietà ibride di riso e grano ad alto rendimento, coltivati con tecniche di agricoltura intensiva e ampio uso di fertilizzanti chimici.
Gli stati del Punjab e di Haryana (India settentrionale) erano i più adatti per adottare le nuove pratiche e gli agricoltori di quegli stati, oltre a possedere i terreni che coltivavano, questi ultimi erano più grandi rispetto ai campi di altri stati indiani; dove i latifondisti feudali davano in concessione piccoli appezzamenti di terreno ai contadini.
Il sistema dei prezzi garantiti sostenuto dal governo ha incoraggiato gli agricoltori di quelle zone a coltivare riso; lo fece garantendo introiti migliori rispetto a qualsiasi alternativa. Nel decennio successivo, la produzione nei due Stati è aumentata esponenzialmente. Così tanto che l’India ha smesso quasi del tutto di importare riso.
L’abbondante produzione di riso aiutò l’India a far fronte alla fame e alla malnutrizione, con la creazione del Sistema di distribuzione pubblica; un programma statale di erogazioni alimentari. Con il passare degli anni però, nel Punjab e in alcune aree di Haryana, la coltivazione intensiva di riso fece abbassare di centinaia di metri la falda acquifera. Inoltre, il ricorso a fertilizzanti e pesticidi avvelenò i terreni e le riserve idriche di sostanze chimiche.
Gli agricoltori di quegli stati adesso si trovano a dover fare i conti con una situazione che non può essere risolta dalle grandi aziende. Esige un maggiore coinvolgimento da parte del governo. Invece dell’aiuto di quest’ultimo, si trovano davanti nuove leggi che aumentano a dismisura il potere delle grandi aziende e riducono le funzioni del governo. In un primo momento, Modi ha reagito cercando di gettare cattiva luce sui manifestanti, per lo più Sikh. Questi ultimi, da sempre sono molto attivi nelle proteste riguardanti terreni e diritti fondamentali.
Preoccupazioni per la democrazia in India
L’accesso a Internet è rimasto bloccato lunedì 1° febbraio in diversi distretti di uno stato confinante con la capitale indiana, a seguito di violenti scontri nel fine settimana tra polizia e agricoltori. Internet sarebbe stato sospeso in almeno 14 dei 22 distretti nello stato di Haryana vicino a Nuova Delhi, fino alle 17:00 di lunedì.
Il Ministero degli Interni indiano ha affermato che la mossa era “nell’interesse di mantenere la sicurezza e di evitare l’emergenza pubblica”.
Darshan Pal, uno dei leader di Samyukta Kisan Morcha (un fronte unito di oltre 40 unioni di agricoltori costituito nel novembre 2020 per coordinare la rivolta), ha condannato la chiusura di Internet, definendola “antidemocratica”.
“Il governo non vuole che i fatti reali raggiungano gli agricoltori che protestano, né che la loro condotta pacifica raggiunga il Mondo. Vuole diffondere falsità intorno ai manifestanti. Ha paura del lavoro coordinato dei sindacati degli agricoltori e sta cercando di tagliare i mezzi di comunicazione tra di loro”
Sebbene l’India sia la democrazia più popolosa del mondo, ha anche superato il mondo in termini di interruzioni di Internet nel 2019, secondo Access Now (un gruppo di difesa che tiene traccia della libertà di Internet).
Nello stesso anno, le autorità hanno chiuso Internet in altre aree, comprese alcune parti di Nuova Delhi; in mezzo a proteste diffuse contro una controversa legge sulla cittadinanza considerata da molti discriminatoria nei confronti dei musulmani. Le chiusure arrivano anche sullo sfondo delle crescenti preoccupazioni sulla libertà di stampa in India.