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Un nuovo inizio
Ora è ufficiale. Da sabato sappiamo che gli USA avranno un nuovo presidente e che si chiamerà Joe Biden. I democratici, pur avendo dovuto probabilmente trattenere il fiato più di quanto credevano, riconquistano la Casa Bianca. Donald Trump è stato sconfitto – anche se ancora non ha accettato i risultati e, anzi ha promesso di battagliare negli Stati decisivi dove i due candidati sono arrivati più vicini – e, salvo sorprese, nel mese di dicembre, a Washington, i grandi elettori voteranno per il ticket di Biden e Kamala Harris. Si tratta di un nuovo inizio per gli Stati Uniti, ci auguriamo che valga altrettanto anche per la questione ambientale, la quale con Trump non è mai stata al centro dell’agenda politica. E neppure in periferia, non compariva proprio, su quell’agenda.
Numerose saranno le difficoltà che il quarantaseiesimo presidente USA si troverà ad affrontare. Abbiamo già tentato di delinearne alcune, la settimana scorsa, quando eravamo ancora incerti sull’esito conclusivo della tornata elettorale. Oggi centriamo il focus su quel che significherà – o meglio, potrebbe significare – per l’ambiente la presidenza Biden.

Il candidato migliore
Sappiamo bene cosa significhino le elezioni. Ogni candidato vuole vincerle e, dunque, durante la campagna elettorale che precede il voto, è abitudine spararne tante, come si suol dire. Cercare di accontentare ogni categoria, di dare una risposta ad ogni bisogno, di accontentare tutti e non scontentare nessuno; questi sono gli obiettivi ogni volta e spesso si esagera, proponendo decisioni e misure che non si ha alcuna intenzione di perseguire, una volta eletti. Biden si è erto a paladino dell’ambiente prima dell’election day. Potrebbe averlo fatto perché il suo avversario non ne parlava affatto e dunque voleva strappargli l’elettorato più sensibile al tema oppure perché ci tiene davvero. Non ci è dato sapere. Lo scopriremo nei prossimi mesi, naturalmente.
Una prima analisi però possiamo già farla. Senza dubbio quello che ha vinto era il candidato migliore relativamente a queste questioni. Joe Biden ha già promesso che rientrerà negli accordi di Parigi, quelli che mirano a mantenere l’aumento delle temperature sul Pianeta all’interno di 1.5 gradi, e che lo farà già nel giorno del suo insediamento. La data è quella del 20 gennaio e possiamo già segnarcela sul calendario, in modo da vedere se manterrà la sua promessa. Io ritengo di sì perché si tratta di una sua bandiera e, comunque, l’apertura del processo di (re)ingresso non comporta molto sul momento, si tratta di un iter che dura circa un anno e, di fatto, fino al gennaio 2022 gli States potrebbero fare quel che preferiscono ambientalmente parlando. Ricordiamo che Trump aveva deciso di uscirne qualche tempo fa. Dal 4 novembre scorso, la decisione è diventata effettiva.

Se già si fermasse qui, Biden si dimostrerebbe un presidente più attento al nostro Pianeta rispetto a quello che lo ha preceduto. L’ex vice di Obama, però, ha presentato un programma climatico ben più ambizioso di questo semplice passo indietro.
Il programma ambientale di Biden
Le parole chiave di Biden, leitmotiv del suo intero programma, iniziano tutte con la B, esattamente come il suo cognome: Build Back Better. Ricostruire, di nuovo, e farlo meglio. Questi tre vocaboli aprono anche la – corposa – sezione del programma Biden Harris 2020 dedicata all’ambiente. Si legge sulla piattaforma dem: “in questo momento di crisi profonda, abbiamo l’opportunità di costruire un’economia resiliente e più sostenibile. Possiamo indirizzare gli Stati Uniti su un sentiero irreversibile per giungere ad emissioni zero, non più tardi del 2050. Nel farlo creeremo milioni di posti di lavoro ben pagati. Il presidente Trump ha negato la scienza, lasciato la nostra nazione impreparata e vulnerabile. Nonostante la crisi accelerasse, ha ritirato numerose misure ambientali che si preoccupavano di tutelare la salute pubblica, pur avendo a disposizione prove che mettevano in correlazione l’inquinamento e la maggiore presa del contagio.”
“Esattamente come ha fatto in merito al COVID-19, Donald Trump se l’è presa con la scienza e ha fallito anche contro il surriscaldamento globale. Lo ha definito un inganno. Ha permesso che le nostre strutture si deteriorassero e che i le nostre fattorie si allagassero. Ha impedito che gli americani guidassero il mondo nel campo delle rinnovabili. Le sue azioni non solo ci hanno fatto retrocedere in termini di progresso e giustizia ambientale ma ci hanno anche reso più vulnerabili, deboli e meno resilienti, come nazione.”
Ovviamente le parole sono ben farcite di retorica politica ma il messaggio appare chiaro. Biden accusa Trump di negligenza ambientale e promette di raggiungere le emissioni 0 entro il 2050. Si tratta di un piano davvero ambizioso. Probabilmente, così ambizioso da essere inverosimile. C’è poi dell’altro.
Le cifre
C’è un altro punto importante nel programma ambientale del presidente eletto. Naturalmente, non esamineremo l’intero documento – esso è comunque disponibile qui – ma ci concentreremo soltanto sui due aspetti che ritengo principali. “Necessitiamo di milioni di infrastrutture, lavoratori specializzati e ingegneri per costruire una nuova economia basata sull’energia pulita. Questi lavori creeranno nuove opportunità per giovani e anziani, per le persone provenienti da ogni comunità e background. Miglioreremo la qualità dell’aria per i nostri bambini, il comfort delle nostre case e renderemo le nostre imprese più competitive. Gli investimenti mirati faranno in modo che i nuclei che hanno maggiormente sofferto l’inquinamento saranno i primi a beneficiare di questa rivoluzione. Ci riferiamo alle comunità urbane e rurali a basso reddito, a quelle di colore e ai nativi americani.”
“Biden investirà rapidamente 2 trilioni di dollari soltanto durante il suo primo mandato. Ciò ci metterà sulla giusta strada per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che la comunità scientifica ci richiede. Creeremo così molti nuovi posti di lavoro che arricchiranno la classe media.”
Di nuovo, ci troviamo di fronte a pura propaganda. Chiaro indicatore di ciò è il riferimento alla middle class, serbatoio elettorale per eccellenza negli USA. Eppure Biden passa in rassegna le vere necessità del suo Paese. Per chi è poco pratico della scala corta utilizzata nella numerazione anglosassone, due trilioni equivalgono a 2mila miliardi, ovvero al nostro bilione poiché in Italia utilizziamo la scala lunga. L’investimento promesso da Biden fa impallidire. Si tratta di un tesoretto pazzesco, con il quale si potrebbe veramente riuscire a reindirizzare l’economia statunitense. Il condizionale però resta d’obbligo, soprattutto dal momento che si dice di liberare questi fondi in soli 4 anni. Ci auguriamo che Biden vi riesca ma dubitarne è legittimo. Se vi riuscisse, significherebbe che davvero tiene alla questione ambientale.
Joe Biden e la questione ambientale
Badiamo bene a non definire Biden un ambientalista. Come si è scritto, è indubbio che sia meglio lui di chi lo ha preceduto – che comunque sarà in carica per altri due mesi abbondanti – ma non è certo un verde, e neppure un progressista sensibile al tema. Joe Biden è un democratico tradizionale; non lo si può neppure definire un politico di sinistra, è semplicemente meno conservatore di chi lo ha preceduto o difenda i colori repubblicani. Come ha ammesso lui stesso: “il Green New Deal non è un mio piano, non lo considererò.”

Ciononostante, il presidente eletto ha un programma climatico più che accettabile, visto il precedente. C’è una seria possibilità che affronti la questione ambientale con grinta e determinazione. Almeno per i primi 4 anni. Nel 2024, poi, Biden avrà 82 anni e non è detto che si ripresenti alle elezioni. Potrebbe lasciare la sua eredità alla sua vice, Kamala Harris. Essa, da californiana, è probabilmente ben più progressista di Biden. Però va ricordato che detiene posizioni piuttosto destrorse, per una democratica, su numerose tematiche economiche e sociali.
C’è comunque tempo per preoccuparsi del 2024, intanto vediamo che farà il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ha promesso seri investimenti riguardo alle infrastrutture, all’industria automobilistica, ai trasporti, al settore energetico, agli edifici, all’urbanistica, all’innovazione e anche all’agricoltura. Sarà in grado di mantenere le sue promesse?