In questo 2020 di crisi pandemica, l’insicurezza alimentare diventa, ancora una volta, il perno di una riflessione profonda. Da un lato, la difficoltà nel reperire alcuni prodotti induce alla corsa ai supermercati; dall’altro, pensare a una modalità differente di concepire l’intera filiera è molto difficile. Tra distorsioni evidenti del mercato e allontanamento dalla stagionalità di frutta e verdura, si inserisce il report “Cinque benefici di un’economia circolare per il cibo”. La Fondazione Ellen MacArthur, che ha lo scopo di sviluppare e promuovere l’idea di economia circolare, ha recentemente condiviso cinque conseguenze, sostenibili dal punto di vista ambientale, climatico e sanitario. Esse sono: rigenerare i sistemi naturali, combattere il cambiamento climatico, aumentare l’accesso a cibo nutriente, aiutare le comunità locali e, infine, risparmiare e creare valore.
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Crisi e fame di giustizia
«La crisi alimentare sembra essere sparita dalle prime pagine dei giornali e fa solo una breve comparsa nelle dichiarazioni finali degli incontri ad alto livello o quando la siccità, la mancanza di credito o la volatilità del mercato rinfocolano la paura di carestie. Quel che è peggio è che queste paure si realizzano perché quanto più i tentativi di eliminare la fame si concentrano sugli effetti superficiali anzichè le cause di fondo, tanto più i nostri sistemi alimentari si rivelano instabili, vulnerabili e soggetti a crolli. La povertà e l’ingiustizia -e non la scarsità di cibo- sono tuttora le cause principali della fame.»
Riflettono così Eric Holt-Gimenéz e Raj Patel con Annie Shattuck,nel loro libro “Food Rebellions! La crisi e la fame di giustizia“, pubblicato 11 anni fa, a seguito della crisi del 2008. Una situazione che si è ripetuta da marzo, costringendo tutti a ripensare ai propri consumi. Il Nobel per la Pace, poi, assegnato al Programma Alimentare Mondiale, ribadisce come il cibo debba ritornare al centro di un dibattito acceso. Trovare soluzioni a problemi complessi può aiutare ad allenare competenze fondamentali, in un tempo di instabilità climatica, economica e sociale.
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Conoscenza e responsabilità: un’economia circolare per il cibo
Affrontare con responsabilità le sfide di approvvigionamento alimentare è il primo passo per renderlo realmente sostenibile. Circa un quarto delle emissioni globali di gas serra sono riconducibili alla deforestazione, agli allevamenti intensivi e a un errato management del suolo. La minaccia per l’ambiente è evidente. Il sistema lineare di produzione è, quindi , non sostenibile e, per questo, sull’orlo del baratro.
Non tutto è perduto. Esistono, infatti, dei progetti per ristabilire una connessione reale tra consumatore e produttore. La linearità deve essere soppiantata da una visione circolare. I cinque benefici riportati dalla Fondazione Ellen MacArthur sono ambiziosi, ma non per questo impossibili.
La rigenerazione dei sistemi naturali
Rigenerazione è una parola fondamentale per i sistemi naturali. È necessario coniugare la necessità di sfamare una popolazione mondiale in continua crescita con la protezione dell’ambiente. Tecniche di produzione sostenibili, resilienti, che migliorino la qualità del prodotti e del territorio, favoriscono il miglioramento delle aree e la loro resistenza a fenomeni climatici estremi. Per questo motivo, è utile puntare sulla diversità: delle sementi e del raccolto, in modo da supportare la rotazione. L’agrobiodiversità permette di proteggere specie animali e vegetali a rischio, ma una vera condivisione di conoscenze e tecniche è ancora poco diffusa.
Dipendiamo da pochissime varietà di semi, ma esistono alcuni esempi di cambiamento. Uno di questi è il chinampa, un orto galleggiante tradizionale del Messico. Questo tipo di produzione consentiva il sostentamento di 15/20 persone all’anno per ettaro.
Combattere il cambiamento climatico
Rimediare, attenuare, adattare: questi i verbi chiave per combattere il cambiamento climatico. L’economia circolare per il cibo potrebbe ridurre le emissioni del 49% entro il 2050. Per riuscire nell’intento, bisogna concentrarsi sulla diminuzione dello spreco e dell’utilizzo di fertilizzanti chimici, optando per quelli organici, in quanto quelli usati inquinano terreni e falde. Sfruttare il potenziale degli scarti per la produzione energetica può concorrere alla svolta green. Come si legge nell’approfondimento, «ogni anno le città generano più di 2,8 miliardi di tonnellate di rifiuti alimentari e soltanto il 2% di essi ritorna a far parte del sistema».
Così, dal 2016, è nata la “Piattaforma dell’Ue sulle perdite e sugli sprechi alimentari”, per prevenire la produzione di rifiuti e minimizzare la dispersione di risorse. Ogni anno, collabora con attori chiave pubblici e privati per identificare, misurare, analizzare e trovare delle soluzioni durature per dimezzare entro il 2030 la quantità pro capite a livello di dettaglianti e consumatori.
La risposta dei clienti può essere decisiva. Uno studio condotto dalla piattaforma Ue sulle perdite e gli sprechi alimentari, pubblicata a marzo 2020, ha divulgato alcune buone pratiche messe in atto a livello locale o nazionale all’interno dell’Unione Europea, per diminuire la pressione sulle attività commerciali durante la pandemia da Covid-19. Sono molte le realtà locali, a livello europeo, che cercano di diminuire lo scarto e, allo stesso tempo, far fronte alle difficoltà economiche della popolazione. Così, sono nate iniziative come “la spesa sospesa”, che permette di regalare beni di prima necessità a chi non è in grado di permettersi di comprarli.
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Accesso a cibo nutriente
L’economia circolare per il cibo è utile anche per riconnettere le città alle periferie.
La necessità di solidità e resilienza del sistema alimentare è alla base del superamento di momenti di crisi e motore di sviluppo. Gli eventi estremi che con maggior frequenza si abbattono sul continente europeo, la siccità e le catastrofi ambientali mettono in luce l’interrelazione tra lo stile di vita e le modalità di approvvigionamento e consumo. Il valore che i cittadini europei attribuiscono al cibo è alto. Infatti, anche se le zone urbane si espandono sempre di più, i consumatori rimangono vigili sulla provenienza dei prodotti e sulla loro lavorazione. Come dimostrato dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, la preoccupazione ,data dalla presenza di additivi come coloranti, conservanti o aromi utilizzati, di ingredienti geneticamente modificati e di tossinfezioni, nel 2019, è stata elevata.
Il viaggio dei prodotti è un tassello importante della filiera alimentare. La pandemia ha compromesso le importazioni e le esportazioni, bloccando alimenti e quindi sbilanciando la domanda e l’offerta globale e riconducendole a un livello più locale. Il beneficio deve essere condiviso da tutti, indipendentemente dalla posizione geografica. La redistribuzione del surplus, inoltre, può nutrire fino a un miliardo di persone entro il 2050.
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Supporto alle comunità locali
La nuova filiera alimentare dovrà basarsi sulla resilienza dell’intero processo, attraverso un coordinamento della risposta alle crisi dei sistemi alimentari, per garantire l’approvvigionamento e la sicurezza. Si devono scardinare quelle pratiche dannose e sostituirle con approcci locali, che stimolino la rinascita dell’agricoltura anche in altre zone, come le periferie o i loro centri. Accorciare le filiere risulta benefico non solo economicamente, ma anche perché è una modalità per avvicinare il produttore al consumatore. La dicotomia città-campagna, in ambito alimentare, deve essere superata.
Anche per questo è nata l’iniziativa Green Cities, promossa dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO). «L’iniziativa FAO Green Cities migliorerà i mezzi di sussistenza e il benessere delle popolazioni urbane e periurbane di 1000 città in tutto il mondo entro il 2030, insieme all’ambiente urbano, rafforzando i collegamenti rurali urbani, la resilienza delle popolazioni urbane agli shock esterni e il contributo alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento, garantendo nel contempo l’accesso a diete sane provenienti da sistemi sostenibili.»
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Creare valore nell’economia circolare per il cibo
La sostenibilità economica non può essere tralasciata. Risparmi diretti e indiretti sono da tenere in considerazione. Interessante è il costo effettivo dei prodotti che mettiamo sulla tavola. Per ogni dollaro speso in cibo non controllato, le conseguenze sociali sono doppie, attestandosi sui due dollari. Una riduzione dei fertilizzanti e agenti chimici porta, nel breve periodo, a un miglioramento qualitativo del cibo. A lungo termine, esso è foriero di un cambiamento positivo dello standard di salute delle persone, che, quindi, potranno risparmiare in cure. Questo non solo permetterà l’elaborazione di un codice di condotta comune per le azioni di marketing, ma stimolerà pratiche sostenibili in tutte le fasi di trasformazione, minimizzando l’impiego di imballaggi e radicando modelli di business circolari.
«Dati del report ‘Cities and Circular Economy for food’ della Fondazione Ellen MacArthur riportano che produrre alimenti con metodi rigenerativi, acquistare cibo locale, e valorizzare gli scarti alimentari potrebbe generare entro il 2050 per le città dei benefici annuali pari a 2,7 trilioni di dollari. Una cifra non indifferente alla quale si legano vantaggi anche in termini di creazione di nuovi posti di lavoro. Un esempio in Europa è la città di Bruxelles che producendo il 30% del suo cibo localmente e con metodi rigenerativi, riducendo gli scarti alimentari e trasformandone parte in compost, stima di ottenere più di 130 milioni di dollari all’anno.» riporta Caterina Ambrosini di EconomiaCircolare.com.
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Pensare a una vera economia circolare per il cibo
La sfida del cambiamento climatico deve condurre tutti gli attori a una visione condivisa di scelte radicali, magari inizialmente dolorose, ma che sono l’unica modalità per non rischiare di sprecare o mal utilizzare le risorse del nostro pianeta. Il report della MacArthur Foundation intende offrire una panoramica ambiziosa per una politica sempre più ecocentrica.
Per questo motivo, gli agricoltori e gli allevatori devono essere inclusi in un processo di innovazione, per avere gli strumenti per affrontare le nuove sfide alimentari. Se l’azione non dovesse risultare incisiva, a pagarne il prezzo più alto sarà l’intera struttura sociale, basata sul benessere e non sull’equilibrio con la natura.