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Sotto il segno del mercurio: il futuro degli oceani

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Le attività antropiche, come i processi industriali e minerari-estrattivi, nel tempo hanno contribuito all’aumento delle concentrazioni di mercurio (Hg) negli oceani. La conferenza di Goldschmidt del 2020 ha messo in luce la ricerca del Dr. Ruoyu Sun dell’Università di Tianjin sul metilmercurio trovato nel punto più profondo del nostro pianeta, la fossa delle Marianne.

Lo studio cinese

La conferenza Goldschmidt è la principale conferenza geochimica del mondo. Tenuta annualmente, affronta temi come i cambiamenti climatici, l’astrobiologia, le condizioni ambientali, l’inquinamento, l’ambiente sottomarino e molte altre materie. Quest’anno il congresso si è tenuto alle Hawaii, in forma online, dal 21 al 26 giugno.

Ogni anno, scienziati di tutto il mondo presentano ad una commissione le proprie ricerche e scoperte. Solo dopo un’attenta valutazione, vengono scelti coloro degni di nota. Quest’anno la conferenza ha dato voce ad una scoperta drammatica.

Un gruppo di scienziati dell’università cinese di Tianjin, ha misurato le concentrazioni di mercurio e le composizioni di isotopi in molluschi e crostacei catturati a una profondità di 7.000-11.000 metri e in alcuni sedimenti raccolti a 5.500-9.200 metri nella Fossa delle Marianne e nella Fossa di Yap.

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“Durante il 2016-2017, abbiamo dispiegato sofisticati veicoli terrestri per l’esplorazione delle acque sul fondo del mare della fossa delle Marianne e di Yap, tra i luoghi più remoti e inaccessibili della Terra, catturando la fauna endemica e raccogliendo dei sedimenti. Siamo stati in grado di presentare prove inequivocabili della presenza di isotopi del mercurio che provengono esclusivamente dal metilmercurio dell’oceano superiore. La maggior parte di questa sostanza si forma direttamente o indirettamente in seguito a vari processi industriali. Il metilmercurio trovato nelle specie esaminate deriva in gran parte dall’atmosfera e penetra nell’oceano durante le piogge. Sappiamo che questo mercurio si deposita dall’atmosfera nell’oceano di superficie e viene quindi trasportato nell’oceano profondo nelle carcasse di pesci e mammiferi marini, in piccole particelle. Parte di questo mercurio è prodotto naturalmente, ma è probabile che gran parte di esso provenga dall’attività umana”.

Dr. Ruoyu Sun, scienziato a capo della ricerca.

Tuttavia, il metilmercurio viene prodotto naturalmente in quantità minime a queste profondità, ciò implica che il maggior rilascio di questa sostanza, a causa delle azioni umane, è molto più diffuso negli oceani profondi di quanto si pensasse in precedenza.

Il mercurio e la biomagnificazione

I vapori del mercurio (Hg), che provengono in primo luogo dalla crosta terrestre (esplosioni vulcaniche ed incendi) e da attività antropiche come quelle industriali e l’utilizzo di combustibili fossili, sono estremamente tossici.

Va detto che negli ultimi anni l’inquinamento da Hg dovuto a fonti industriali fortunatamente è stato ridotto. Il metilmercurio è una sostanza derivata, presente in piccole concentrazioni nell’acqua di mare, ed assorbito dalle alghe, entrando così nella catena alimentare.

Morte, la conseguenza della presenza di mercurio ed altre sostanze tossiche negli oceani.

Il metilmercurio tende quindi ad accumularsi nei pesci, specialmente nei predatori più grandi e longevi, all’apice della catena trofica, legandosi alle proteine muscolari e divenendo dunque un problema anche per la salute umana. L’effetto del mercurio è particolarmente evidente nelle aree che circondano le industrie metallurgiche, dove piante ed animali sono distrutti nel raggio di km.

Nel 1962 Rachel Carson fu la prima a descrivere il processo di “biomagnificazione“. Spiegò come il DDT ed altre sostanze altamente tossiche diventino sempre più concentrate nei tessuti biologici man mano che si trasmettono nella catena alimentare.

Quindi, la biomagnificazione in ecologia/biologia è il processo per cui l’accumulo di sostanze nocive, come il mercurio, negli esseri viventi aumenti di concentrazione man mano che si sale al livello trofico successivo.

L’immagine ci descrive in maniera semplice e chiara il passaggio del mercurio (prodotto da eventi naturali e antropici) negli oceani.
Crediti: wikipedia

L’immagine qui di sopra permette di comprendere meglio il funzionamento della biomagnificazione del mercurio negli oceani:

un microorganismo di fitoplancton (alla base della catena alimentare negli ecosistemi acquatici) ingloba in sé un atomo di mercurio. Un organismo di zooplancton mangia poi 10 organismi di fitoplancton e ingloba di conseguenza 10 atomi di mercurio; un piccolo pesce mangia 500 organismi di zooplancton e ingloba quindi 5.000 atomi di mercurio; un pesce di media taglia mangia 5 pesci di piccola taglia e ingloba 25.000 atomi di mercurio; un pesce di grossa taglia mangia 2 pesci di media taglia e siamo a 50.000 atomi; infine uno squalo mangia 5 pesci di grossa taglia e ingloba quindi 250.000 atomi di mercurio.

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Nei tessuti di orsi polari in Norvegia e Russia sono state trovate alte concentrazioni di sostanze, tra le quali il mercurio, che hanno un impatto drammatico sulla salute di questi animali.

La baia di Minimata, una tragedia dimenticata

Tra il 1932 ed il 1968 la Chisso corporation (società chimica) riversò nelle acque della baia di Minimata, in Giappone, innumerevoli quantità di mercurio, presenti nelle acque reflue del suo stabilimento.

Il metilmercurio, nel tempo, si depositò nei fanghi sul fondo del mare, luogo in cui vivono e nutrono numerosi microrganismi alla base della catena alimentare. La sostanza tossica fu assorbita da crostacei e molluschi, risalendo la catena alimentare per terminare il proprio viaggio nelle tavolo degli abitanti della baia, molti dei quali pescatori.

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Proprio questi ultimi furono i primi ad accusare le terribili conseguenze di quella che sarebbe stata nominata la “malattia di Minimata”. Una sindrome neurologica che provoca atassia (progressiva perdita del coordinamento muscolare) e parestesia (alterazione della sensibilità degli arti, perdita del senso del tatto). Perdita dell’udito e della vista, disordine mentale ed infine, essendo degenerativa, paresi e morte.

Dopo trent’anni di sversamenti e di omissioni di colpa da parte della Chisso ed il drammatico silenzio del Governo giapponese, finalmente nel 1956 la malattia venne riconosciuta.

Solo dodici anni dopo venne confermato il legame tra sversamenti del mercurio in mare e la malattia; e solo nel 1968 la Chisso smise di inquinare la baia con le proprie acque reflue, delle quali oltretutto negò la tossicità fino all’ultimo.

Una situazione sotto controllo?

Per tutelare i consumatori, con il Regolamento (CE) n. 1881/2006 l’Europa ha fissato i limiti di mercurio consentiti nei prodotti della pesca. A 0,5 mg/kg per i pesci e muscolo di pesce, e 1 mg/kg per lo squalo, pesce spada, tonno, rana pescatrice, storione (etc.).

Qui vi riportiamo alcuni dei valori medi di metilmercurio presenti nei pesci in commercio; i dati sono a cura del CEIRSA (Centro interdipartimentale di Ricerca e documentazione per la Sicurezza Alimentare).

L’Oms lo ha inserito tra le dieci minacce più gravi per la salute umana.

Purtroppo, anche nei Paesi che da decenni hanno regolato o reso illegale l’utilizzo del mercurio, i loro residui chimici continuano ad essere presenti nell’ambiente e ad avere effetti negativi sui sistemi acquatici.

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di Beatrice Martini
Lug 6, 2020
Nata nel 1993 a Roma, laureanda in Scienze Biologiche. Grazie alla sua famiglia fin da piccola si appassiona alla natura e alla conservazione di quest’ultima decidendo di farne una missione nella vita. Questo la porta in giovane età ad affacciarsi al mondo della subacquea e della fotografia naturalistica, partecipando a corsi (Scuola di fotografia Emozioni Fotografiche) e workshop in tutta Italia, come il “Marine Wildlife 2018” con Canon presso Tethys Research Institute. Durante il liceo vince due premi letterari che la portano ad appassionarsi al giornalismo, specialmente quello ambientale. Affascinata dai lavori delle sue mentori, Ami Vitale e Cristina Mittermeier, punta a diventare anche lei una foto/videoreporter per la conservazione dell’ambiente. Crede fortemente nel potere della parola e delle immagini attraverso le quali spera, un giorno, di poter dare un contributo per la salvaguardia del Pianeta. Nel 2020, grazie a L’Ecopost, le viene data l’occasione di poter affacciarsi al giornalismo e alla denuncia ambientale.

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