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Ci sono stati in cui il patrimonio forestale è ingente. All’interno dell’Unione Europea, le repubbliche baltiche – Lettonia ed Estonia in particolare – sono regioni ove le foreste son presenti in abbondanza. Un’inchiesta del Guardian, testata nota per l’impegno che mette a favore dell’ambiente, ha recentemente messo in luce come esse vengano gestite davvero male, a quelle latitudini e nel resto della UE. Il motivo del loro eccessivo sfruttamento si deve, oltre all’endemica incapacità della politica di salvaguardare l’ecosistema, che non è certo soltanto un problema estone e lettone, all’inseguimento di forme di energia pulita.
Colpe dei governi e complicità dell’Europa
Nel 2015 il governo estone approvò una pessima misura. Concesse infatti l’autorizzazione (documento in lingua) al disboscamento di alcune porzioni della rigogliosa riserva naturale di Haanja. Ciò consentì la rimozione di aree intere di foresta matura e la rimozione di tronchi storici, interi. Questo alleggerimento delle norme per il disboscamento in Estonia fu figlio di un aumento nella richiesta internazionale di legno. La domanda non aumentò solamente per mobili ed edilizia ma anche a causa di un colpevole che può sorprendere: le politiche europee sul rinnovabile.
Camminando all’interno dell’area della riserva naturale è ormai consueto trovare ceppi che ricordano l’esistenza di alberi abbattuti. L’azienda Valga Puu ha immediatamente approfittato della nuova normativa per presentarsi in loco con le asce. Il brand appartiene alla Graanul Invest Group, maggior produttore europeo di pellet in legno. Questo materiale è bruciato su scala industriale, come biomassa per luce e riscaldamento in pressoché tutte le centrali precedentemente alimentate a carbone.
In Estonia le foreste ricoprono 2 milioni di ettari di superficie nazionale. A conti fatti, ci accorgiamo che si tratta di quasi il 50% dell’intero suolo estone – che ammonta a 4 milioni e mezzo di ettari circa. 380mila di questi 2 milioni di ettari, riserva naturale di Haanja inclusa, appartengono al network europeo Natura 2000. Tale rete è stata progettata per tutelare le foreste europee e i rifugi di specie animali rare e protette. Haanja è la casa di 29 di queste, tra cui cicogna nera, quaglia reale e clanga pomarina. Nessuno a Bruxelles ha fatto nulla per fermare bulldozer e boscaioli.
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Natura 2000 e la giurisdizione forestale nazionale
Le zone tutelate da Natura 2000 sono gestite all’interno delle direttive europee per la protezione degli uccelli, una norma risalente al 1979 e poi aggiornata. A questo provvedimento è stata poi affiancata la normativa per la protezione degli habitat del 1992. Teoricamente, dovrebbero essere queste due leggi a tutelare le zone protette dalla UE. In realtà, però, il disboscamento delle foreste è regolamentato dai governi nazionali, i quali possono tranquillamente calpestare le misure europee sui propri territori nazionali. In Estonia, ad esempio, l’unico limite è quello di non danneggiare le paludi e di evitare l’abbattimento di tronchi durante la stagione degli amori per gli uccelli.
La ONLUS estone ELF (Estonian Fund for Nature) non dà la colpa della distruzione delle sue foreste soltanto al governo. Giustamente, mette la dinamica in una prospettiva più ampia, senza perdere mai di vista il quadro generale. Come sempre, si tratta di una dicotomia tra ambiente e crescita economica. Siim Kuresoo, portavoce di ELF, afferma come ci sia una diretta connessione tra la grande crescita dell’industria europea della biomassa sollecitata e sostenuta da Bruxelles e l’accelerazione del disboscamento delle foreste sul Baltico.
“Vi sono chiare prove che l’intensificazione del disboscamento è guidata almeno in parte da una maggiore richiesta di biomassa per energia e riscaldamento. Oltre la metà dell’esportazione di pellet in legno prodotti nel 2019 in Estonia e Lettonia è andata in Danimarca, Olanda e Regno Unito. Possiamo dunque dire che l’energia pulita usata in quei Paesi ha direttamente contribuito all’abbattimento delle foreste nelle repubbliche baltiche.” Si legge in un report redatto da ELF e la Società Lettone di Ornitologia, di cui Kuresoo è stato co-autore.
Foreste minacciate
Tra il 2001 e il 2019 in Estonia, Natura 2000 ha perso oltre 15mila ettari della sua area protetta. L’80% di questa riduzione è avvenuta negli ultimi 5 anni. Il governo ha progettato ulteriori interventi nelle zone su cui insistono le sue foreste. In seguito a queste autorizzazioni, gli uccelli boschivi nel Paese stanno scomparendo all’allarmante ritmo di 50mila coppie riproduttive all’anno (numeri da un report nazionale, in lingua estone.) Va da sé che la distruzione prepotente e sistematica del patrimonio forestale stia gravemente danneggiando la capacità delle macchie locali di immagazzinare carbonio. Ciò potrebbe tradursi nell’incapacità dell’Estonia di raggiungere i suoi obiettivi di emissioni zero.
Nel Paese la maggior parte della popolazione considera la natura un elemento sacro del proprio territorio. Ogni operazione di abbattimento forestale dà luogo a proteste e manifestazioni, tanto che i media locali hanno cominciato a parlare di una guerra per le foreste. Gli abitanti di Saku, una cittadina situata circa 25 km a sud di Tallinn, sono riusciti a salvare un’area di foresta che doveva essere abbattuta lo scorso anno. “Convertiamo i nostri alberi in pellet e li vendiamo ai Paesi più ricchi. Questa operazione è considerata sostenibile ma noi ne soffriamo.” Ha detto al Guardian Ivar Raig, uno degli attivisti di Saku.
Sostenibilità in fumo
La sostenibilità è al centro del dibattito europeo sulle rinnovabili. L’obiettivo è quello di rimpiazzare il carbone, il quale come sappiamo è una delle principali fonti d’emissione di carbonio. Sostituirlo con sorgenti più pulite è tra i primi obiettivi della lotta globale al cambiamento climatico. Bruciare pellet di legno invece di carbone sembra essere una soluzione ideale, semplice e neutrale rispetto all’emissione di carbonio. Quando gli alberi bruciati sotto forma di pallini legnosi sono sostituiti con nuove piantumazioni, la matematica ci dice che non incrementiamo lo stock di carbonio liberato in atmosfera. Il processo però non è rapido. Anzi, esso può arrivare a richiedere decenni. E non solo. All’interno della fornace dove viene incenerito, il legno libera più diossido di carbonio per unità energetica rispetto a gas, petrolio e anche carbonio. La dimostrazione la riportò proprio il Guardian, in un reportage del 2018. L’incenerimento di alberi per produrre energia potrebbe accelerare molto l’emissione di CO2 nell’atmosfera, allontanando sempre più gli Stati dagli obiettivi della conferenza di Parigi.
La richiesta di biomassa legnosa e di energia ottenuta dagli alberi si è imposta a partire dal 2009. Una direttiva dell’UE uscita in quell’anno imponeva a ognuno dei membri di ottenere almeno il 20% della propria energia da fonti rinnovabili entro i successivi 10 anni. La stessa misura classificava l’energia da biomassa come carbon-neutral. Tale legge è scritta male. Essa categorizza infatti l’intera energia ottenuta da biomassa legnosa come neutrale; indipendentemente dal fatto che essa sia originata da residui, scarti oppure alberi interi e sani. In tal maniera si è autorizzata la deforestazione per ottenere il pellet. Invece, bisognava specificare che il combustibile andava ricavato soltanto dagli scarti legnosi, residui del corretto mantenimento forestale.
Un errore mai corretto
È un’assurdità che si possano devastare foreste per ottenere energia alternativa al fossile. Nel 2018, quando l’Europa ha deciso di raddoppiare la quota di rinnovabili, la comunità scientifica ha avvertito Bruxelles di questo problema. La politica, però, ha ovviamente preferito non danneggiare la lobby, sempre più ricca e importante a livello economico e finanziario, della biomassa. Dunque nessuno è intervenuto per modificare la misura e il vilipendio delle foreste adulte può continuare indisturbato.
Praticamente ogni Paese europeo ha aumentato la percentuale di bosco abbattuto per ottenere energia. Quasi un quarto degli alberi tagliati in Europa viene convertito in biomassa. Nel 2000 eravamo sotto la quota del 17%. La biomassa legnosa fornisce da sola il 60% di green energy nel vecchio continente; più di eolico e solare messe assieme. Naturalmente, per rispondere a una simile domanda si è sviluppata un’industria continentale il cui core business è l’ascia.
Sussidi e sovvenzioni a danno delle foreste
Gran parte della crescita del settore si deve, oltre che alle direttive europee di cui si è scritto, agli imponenti sussidi per il contribuente. Tra il 2008 e il 2018, i sussidi per le biomasse nei 27 Paesi membri della UE sono cresciuti del 143%. Nel Regno Unito, uscito il 31 dicembre 2020 dall’Unione, il supporto governativo per i progetti di biomassa arriverà ad ammontare a oltre 13 miliardi di sterline entro il 2027, anno in cui scadranno gli attuali termini sulla concessione di sussidi legati alla produzione energetica.
La situazione è dunque paradossale. Naturalmente, da ambientalisti, tutti ci auguriamo che ci si liberi quanto prima del carbone e delle altre inquinanti fonti energetiche fossili. D’altra parte, però, di fronte a inchieste come quella del Guardian che si è qui messa in luce (reperibile a questa pagina; tutte le fonti di questo articolo sono in lingua, si è cercato di riportare ogni passaggio principale in lingua italiana nel testo, agevolando chi non legge l’inglese) è d’obbligo domandarsi se non lo si stia facendo nella maniera errata. Non è giusto che le foreste e la natura paghino il prezzo della riconversione energetica. È davvero sbagliato danneggiare le macchie boschive per risanare la situazione dell’approvvigionamento energetico. Se nascondiamo la polvere sotto il tappeto, spostando il problema invece di risolverlo, difficilmente potremmo ottenere grossi risultati nella lotta per il clima. La battaglia la stiamo già perdendo come umanità tutta; forse dovremmo smetterla di colpirci con fuoco amico. Ben vengano sovvenzioni, susside e agevolazioni alla riconversione energetica. Quest’ultima, però, non deve andare a danno del pianeta o siamo daccapo.