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Land grabbing: l’accaparramento delle terre nel 2020

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Negli ultimi decenni, il tema della sovranità alimentare sta assumendo crescente rilevanza nel contesto degli equilibri geo-economici internazionali e nelle strategie politiche ed economiche di diverse potenze. Si stanno intensificando gli sforzi necessari non solo a garantire in maniera sistemica la tutela delle filiere di approvvigionamento, ma anche ad acquisire un ruolo predominante nella partita globale del mercato del cibo. La globalizzazione neoliberista e le sue conseguenze hanno creato mercati e terreni di competizione anche nel settore cruciale e delicato delle materie prime alimentari. In questo contesto, la sovrapposizione tra le logiche economiche del capitalismo finanziario, l’attivismo politico degli attori dei Paesi più sviluppati e la presenza di ampie aree aperte alla “conquista” degli operatori esteri nei Paesi in via di sviluppo ha scatenato una corsa globale agli investimenti e all’accaparramento degli asset agro-alimentari ed ambientali. Pochi fenomeni certificano meglio queste dinamiche quanto il cosiddetto land grabbing (letteralmente “accaparramento della terra”).

Ascolta il podcast di introduzione all’articolo!

Cosa si intende con il termine “land grabbing”

Con questo termine “pigliatutto” si è definito in ambito mediatico e politico la corsa all’accaparramento di terre in Paesi in via di sviluppo scatenatasi a seguito della crisi mondiale dei prezzi alimentari connessa alla buriana economica del 2007-2008 e all’aumento dell’attivismo economico sulla scena globale di economie emergenti, principalmente asiatiche, desiderose di tutelare la propria sovranità alimentare.

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Le dinamiche del land grabbing

L’accaparramento della terra comprende al suo interno sia l’acquisizione di contratti a opera di attori privati che quella posta in essere da governi, fondi sovrani, partecipate pubbliche. L’azione non è di per sé connotata con termini critici o accezione negativa. Il volume assunto nel corso degli anni dal fenomeno, però, lascia intendere che nella prima parte del XXI secolo si sia verificato un vero e proprio assalto alla disponibilità di terreni produttivi posti sotto la sovranità di Paesi ricchi di risorse naturali ma privi del capitale umano, tecnico o finanziario per valorizzarlo. Questa asimmetria ha aperto la strada alla conquista economica da parte di operatori europei, nordamericani o orientali.

Con l’aggravante che, in diversi casi, i terreni sono sottratti a comunità locali, piccoli coltivatori o imprese di dimensione famigliare per passare nelle mani di grandi gruppi multinazionali o imprese finanziarie che con la loro azione, come ha rilevato Raj Patel ne I padroni del cibo, contribuiscono a impoverire la varietà biologica dei prodotti coltivati, la resilienza delle colture agli shock ambientali, la qualità dei terreni.

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Le cause del land grabbing. Il caso dell’Africa

Come si è argomentato su Eurasia – Rivista di studi geopolitici, a inizio 2020. “L’accaparramento della terra è un fenomeno che si inserisce pienamente nel grande filone dell’approccio alle risorse naturali tipico del finanzcapitalismo”, estremamente predatorio come hanno già avuto modo di denunciare da sinistra il sociologo Luciano Gallino e il geografo David Harvey e da destra il filosofo conservatore Roger Scruton (scomparso a inizio anno).

“In questo processo”, si notava principalmente in riferimento al caso dell’Africa (continente oggetto di circa due terzi degli investimenti) “il paradosso più lacerante in cui si impiglia il finanzcapitalismo è che la creazione di ricchezza finanziaria, ottenuta dalla cosiddetta valorizzazione di risorse naturali, è in realtà ampiamente sorpassata dalla distruzione permanente della ricchezza ecologica del pianeta (risorse ittiche, foreste e altri biomi a rischio)”, fattispecie ancor più vera quando i terreni oggetti di acquisto sono poi abbandonati allo sfruttamento minerario.  A ciò il land grabbing assomma “la distruzione dei potenziali e più prossimi mercati di sbocco attraverso la riduzione della sicurezza alimentare e, di converso, della stabilità interna dei Paesi che cedono terreni destinati alla produzione per l’esportazione”.

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Approvvigionamento alimentare e land grabbing

L’approvvigionamento alimentare ha assunto una rilevanza maggiore con l’avvento della crisi pandemica. La corsa all’accaparramento non ha, però, tenuto in considerazione la salvaguardia dell’ambiente. I terreni, adibiti alla produzione di una sola coltura, perdono biodiversità, inaridendo il suolo. Trascurano la sostenibilità della filiera, escludendo le popolazioni indigene dal processo di lavorazione. Questo impoverimento generale degli ecosistemi naturali può avere conseguenze gravi anche sull’uomo. Almeno la metà delle trasmissioni di malattie da animali a essere umani è causata da mutazioni di virus dovuti a promiscuità ambientali. Così, i governi facilitano le transazioni, per riuscire a ottenere l’accesso al credito.

Tra i gruppi di studio maggiormente attenti al monitoraggio del fenomeno si segnalano Focsiv, la federazione dei volontari nel mondo e Cidse, l’alleanza delle Ong cattoliche internazionali. In particolare, Focsiv ha realizzato il rapporto “I padroni della Terra”, giunto nel 2020 alla terza edizione. Elaborando i dati dei contratti e cercando di studiare i casi concreti Focsiv, riporta il Servizio d’Informazione Religiosa, vuole dare le misure reali di “una “continua corsa alla terra”. Nuovi investimenti su grandi appezzamenti per la produzione di monoculture per l’alimentazione umana e animale escludono le popolazioni indigene. Degradano la terra, facendone perdere le biodiversità e contribuendo al riscaldamento del pianeta.

Investitori e target: una misura del fenomeno

I 2100 contratti monitorati nel 2020 mostrano l’interesse per 79 milioni di ettari di terreno. Il numero in relativa diminuzione rispetto al 2018. In quell’anno, la superficie presa in considerazione era di ben 88 milioni di ettari, pari a otto volte la dimensione del Portogallo o tre volte quella dell’Ecuador. In ogni caso, enormemente significativo.

La pandemia non ha rallentato le compravendite, che stanno continuando. Con più di 17 milioni di ettari, la Cina si attesta come il maggior Paese investitore. Dopo il colosso asiatico, ci sono Stati Uniti, il Canada, il Regno Unito e la Svizzera. Come target principali compaiono il Perù, la Repubblica Democratica del Congo, l’Ucraina e il Brasile. Interessante è la posizione della Russia, che ricopre entrambi i ruoli. La motivazione risiede nel tipo di accordi stipulati, visto che spesso sono imprese nazionali ad appropriarsi dei terreni.

Terre prese, vendute, distrutte

Ogni anno, Focsiv approfondisce le situazioni in alcuni Stati particolarmente colpiti dal land grabbing. I Paesi che comprendono parte della foresta amazzonica sono tra loro. Nonostante alcune costituzioni proteggano la natura, tanto da essere un esempio a livello globale di buen vivir, la realtà si dimostra differente. Ecuador, Perù e Colombia hanno aumentato in modo deciso le esplorazioni petrolifere, minacciando sistematicamente l’equilibrio del polmone verde del mondo. Le aziende e banche coinvolte continuano ad affermare la loro sensibilità per la protezione ambientale. Ma le trivellazioni comportano un impatto decisivo sul clima e sui diritti umani delle popolazioni indigene. Esse tentano, con grandi sacrifici, di opporsi alla distruzione del territorio di cui si sentono protettori. 

Le proteste dei popoli hanno, però, portato a una rallentamento, almeno parziale, dell’attività distruttiva, facendo causa per non aver agito secondo il principio del consenso informato. In Ecuador, la nazione indigena dei Waoriani ha bloccato la produzione industriale, costringendo l’intero Paese a fermarsi. La resistenza ha inciso sulle compravendite, che, nel gennaio 2020, sono state sospese.

Alcuni casi esempio di land grabbing e le relative conseguenze

Ecuador: Andes Petroleum e land grabbing

Petrolio in cambio di prestiti: questo è l’accordo tra Andes Petroleum e il governo ecuadoriano. La partnership è stata siglata con due aziende cinesi, China National Petroleum Corporation (CNPC) e China Petrochemical Corporation (Sinopec). Leader nel settore estrattivo, tentano da anni di arrivare a monopolio delle risorse nello stato sudamericano. Le popolazioni indigene presente hanno dovuto emigrare o non possono più vivere in isolamento. Inoltre, denunciano interferenze e scorrettezze nelle concessioni, appellandosi alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH), che si è espressa a favore dei Kichwa e dei Sarayaku, costringendo lo Stato a ripagarli del danno. 

Land-Grabbing-Film

10000 barili al giorno: la Frontera peruviana

Non solo interessi cinesi. Anche i canadesi desiderano perforare il suolo sudamericano per fini estrattivi, attraverso la Frontera Energy Corp (FECCF). Dopo dieci anni di proteste, nel 2017 l’impresa ha deciso di abbandonare le terre, a seguito dei continui sabotaggi da parte degli attivisti e degli indigeni. Il più grande giacimento peruviano, al massimo della produzione, riusciva a produrre 10000 barili al giorno. Come riportano alcune fonti locali, sono stati registrati «lagune con petrolio, animali contaminati, pesci morti, disordini sociali e maltrattamenti di uomini, donne e bambini». Per bonificare l’area, dovrà essere impiegato più di un miliardo di dollari.

Le conseguenze ambientali e sociali sono devastanti per l’ecosistema e, spesso, risultano irreversibili. Lo spreco di risorse, l’inquinamento di falde e corsi d’acqua, la sempre maggiore sterilità dei terreni distruggono irrimediabilmente la possibilità di abitare o, almeno, custodire, queste aree. Importanza fondamentale è data alla riflessione di Papa Francesco, durante il Sinodo per l’Amazzonia contro il nuovo colonialismo. Durante le giornate di dialogo, sono stati approfonditi temi come la giustizia ambientale e quella sociale, condannando i crimini contro la natura e chi tenta di proteggerla, fino alla morte. Lo stesso report è dedicato ai «472 leader indigeni che sono stati uccisi dal 2017 al 2019 per essersi opposti alla devastazione e all’inquinamento su grande scala di foreste, terra e acqua, lottando in difesa del Pianeta e del diritto di ciascuno a vivere in un ambiente salubre e sostenibile.»

Leggi anche: “Amazzonia: un grido d’aiuto dall’assemblea Mondiale”

Dall’America all’Africa: land grabbing in Repubblica Democratica del Congo

L’approvvigionamento energetico è un tassello importante per le nostre società. Anche la transizione “verde” ha ripercussioni su altre parti del mondo, visto che i problemi di produzione sono sistemici. Esempio chiaro è la “battery economy”, ossia la filiera delle batterie ricaricabili. Espropri, violazioni dei diritti umani, land grabbing sono solo alcuni degli effetti collaterali e negativi per Paesi come la Repubblica Democratica del Congo (RDC), che soffrono questa violenza a causa della presenza di nichel, litio e cobalto. 

I controlli insufficienti da parte di grandi multinazionali hanno peggiorato la situazione  nello Stato. Questo è valido, in particolar modo, nella provincia di Lualaba, dove viene prodotto il 70% del cobalto. Poche organizzazione non governative, come la Good Sheperd International Foudation e la Bon Pasteur Kolwezi, continuano a monitorare il territorio. Cercano di strappare i bambini dal lavoro minorile, facendoli studiare.

Inoltre, tentano di stabilire connessioni in diverse piattaforme multi-stakeholders, per garantire il confronto. Di sicuro, un primo passo, che, però, non è sufficiente per cambiare in profondità le distorsioni e gli abusi perpetrati, anche a causa dell’assenza di un quadro normativo comune ed efficace. Così, la corruzione diventa sempre più generalizzata, impossibilitando una raccolta dati che possa far emergere la reale condizione di lavoratori e ambiente. Come si evince dal rapporto, «la domanda di cobalto, in quanto componente fondamentale, ha subito un aumento esponenziale negli ultimi anni.» Infatti, essa è triplicata tra il 2010 e il 2016, con un’ulteriore crescita del 64% entro il 2025. 

Leggi anche: “Ecologia umana: un unico rimedio alla sintomatologia della crisi ambientale”

Land Grabbing Illustrazione

Accaparramento e investimenti in Camerun

La posizione geografica del Camerun è vantaggiosa: posizionato sopra l’equatore, questo Stato possiede terreni fertili, appetibili sia a imprenditori locali che stranieri. L’incidenza di povertà si attesta a quasi il 40% della popolazione, che è ricco, al tempo stesso, di risorse naturali. Nel solo 2020, sono stati stipulati 48 contratti, su un terreno che si estende per più di due milioni di ettari. Di essi, circa il 50% è nazionale. Per quanto riguarda gli investitori internazionali, invece, l’Italia si attesta al primo posto, con 310000 ettari, suddivisi in due contratti.

Casi come Heracklès Farm e Socapalm/Socfin mettono in luce le problematiche della privatizzazione di grandi appezzamenti adibiti a monocoltura. Dirette conseguenze diventano, così, denunce e turbolenze politiche. La contaminazione chimica e l’inaridimento del suolo in zone fertili come quelle del Camerun aiutano la desertificazione, costringendo alla povertà la popolazione. 

A pagarne il prezzo più alto è l’intera popolazione, in particolare donne e bambini. Con la privazione dei mezzi di sussistenza, causati dagli espropri, i diritti delle minoranze e dei gruppi fragili sono calpestati con più facilità. Per assicurare un miglioramento dello standard di vita, si raccomanda di assicurare legalmente le terre ai legittimi proprietà, compensare le comunità vittime di landd grabbing, fornire strumenti per attuare politiche di investimento sostenibile, formalizzando la parità di accesso alla terra da parte di uomini e donne. 

Di Andrea Muratore* e Natalie Sclippa

*Della redazione di Kritica Economica.

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di Redazione L'Ecopost
Nov 11, 2020

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