- Amazzonizzati!: lo slogan dell’Assemblea Mondiale
- L’Assemblea Mondiale contro lo sfruttamento dell’Amazzonia
- Ecuador e Bolivia all’Assemblea Mondiale
- L’Amazzonia è in grave pericolo
- La resilienza della foresta amazzonica
- Perchè dovremmo avere cura delle popolazioni indigene?
- Ristabilire l’equilibrio in Amazzonia
“Ora basta! Vogliamo difendere la nostra cultura, la nostra Amazzonia, condividendola con l’umanità. E se tu sei addormentato, se tu credi di poter vivere […] senza il bacino dell’Amazzonia, […] svegliati! […] Ci rimane davvero poco tempo. Invito tutti e tutte, da differenti parti del mondo: lasciamo perdere l’egoismo, l’invidia, la rabbia. […] È in gioco la nostra vita e la nostra casa, la nostra foresta, la nostra permanenza sul pianeta.” Così Gregorio Mirabal, esponente del Coordinamento delle Organizzazioni Indigene del Bacino Amazzonico (COICA), presenta l’Assemblea Mondiale per salvare il polmone verde del pianeta. Una due-giorni di denuncia collettiva. La lotta dei popoli che abitano quelle terre disboscate, incendiate e saccheggiate “dall’estrattivismo che violenta, obbedendo solo al potere e all’avidità”.
Amazzonizzati!: lo slogan dell’Assemblea Mondiale
Adesso o mai più. La pandemia in corso ha esacerbato i problemi che già esistevano prima del virus. “Questo tessuto nasce nell’angosciante certezza di sapere che non c’è più tempo. È ora di unirsi nella diversità dei saperi dei popoli di Abya Yala e del mondo, e nelle culture del prendersi cura, per restituire lo spirito della foresta all’umanità.” Una dichiarazione forte, un grido di disperazione. La compenetrazione tra uomo e natura è ancora più forte in questi territori. “I fiumi amazzonici ci attraversano, ci danno respiro, ci cantano canzoni di libertà; siamo figlie e figli della Terra e dell’Acqua, di cui le nostre radici si nutrono e in cui coesistono con le stelle del Giaguaro dell’Universo”.
È giunto il momento di rinascere. Utilizzano la metafora del parto: il dolore per nuova vita. Un tessuto ribelle di molti spiriti della foresta e del cemento. Tanti sono i protagonisti dell’Assemblea Mondiale che si è tenuta il 18 e 19 luglio, portando le istanze non solo delle loro comunità, ma facendo rete. I problemi, infatti, sono comuni. Le proposte sono volte a:
- rafforzare il sistema di salute comunale interculturale in modo permanente;
- posticipare l’attività di estrazione vicino alle comunità per non aumentare l’etnocidio;
- proteggere i popoli in isolamento o contatto iniziale (PIACI);
- sollecitare una missione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità;
- implementare il Piano di Azione per l’Amazzonia Indigena per eradicare 200 anni di esclusione e razzismo strutturale.
Leggi anche: “La pandemia può tornare per lo sfruttamento dell’Amazzonia”
L’Assemblea Mondiale contro lo sfruttamento dell’Amazzonia
“La deforestazione è una delle principali fonti di emissioni di gas a effetto serra in Perù. Si deve, in gran parte, al cambiamento nell’uso del suolo dato dall’ampliamento del terreno agricolo, ai progetti per nuove infrastrutture e alle attività estrattive legali e illegali”, ha continuato la delegazione peruviana, descrivendo la situazione sempre più difficile. Per mantenere il fragile equilibrio sarebbe necessario aumentare le possibilità di godere della sovranità alimentare, aiutando la medicina tradizionale e dando impulso a un’economia resiliente.
La critica contro le autorità è aspra. A fronte dei discorsi ufficiali del governo peruviano durante forum internazionali, la politica interna è poi basata sull’estrazione come volano per la riattivazione dell’economia. Grandi progetti idroelettrici e minerari minacciano fortemente non solo gli abitanti, ma anche e soprattutto la biodiversità di questo territorio.
Ecuador e Bolivia all’Assemblea Mondiale
L’appello è raccolto da altri Stati. “L’estrattivismo in Ecuador è un virus più pericoloso del Coronavirus“. La pandemia ha portato alla luce tutte le contraddizioni del Paese, aumentando l’instabilità, la violenza e la violazione dei diritti. I casi di positività al Covid-19 nella regione, a metà luglio, erano più di duemila. “Quando a tutti veniva detto: “Restate a casa”, le attvità nella foresta amazzonica hanno accelerato.”, senza nessun tipo di controllo. La rottura di tre oleodotti durante il lockdown ha causato danni disastrosi per i fiumi della regione e messo a repentaglio la salute delle specie autoctone. “Bisogna transitare verso un nuovo paradigma che privilegi la vita.” hanno ribadito con forza.
L’Ecuador è il primo Paese al mondo a garantire diritti alla natura costituzionalmente. “Si devono stimolare le energie rinnovabili, la agroecologia, la sovranità alimentare, il trasporto alternativo, il turismo sostenibile e l’economia circolare.”
Rita Saavedra, attivista boliviana, continua la lotta personale e collettiva. “Ora le nuove autorità cercano di introdurre illegalmente semi transgenici” per rimpiazzare le colture che danno sostentamento da secoli e che sono sostenibili dal punto di vista ambientale. Dopo il Brasile, la Bolivia diventerebbe il secondo Paese per utilizzo di OGM. Cristina Hernaiz, attivista ambientale Rìos de Pie, è sicura quando afferma: “la pendemia è una malattia sistemica, generata dallo sfruttamento capitalista e coloniale. Saimo qui per dire al mondo che desideriamo giustizia razziale, che storicamente ci ha schiavizzato. Ci ha condotto alla crisi climatica attuale.”
Leggi anche: “Deforestazione Amazzonia: quando la natura non ha voce”
L’Amazzonia è in grave pericolo
I problemi per la foresta amazzonica sono molteplici. Le stime dell’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia (IPAM) stanno monitorando la situazione. A giugno, grazie alle elaborazioni satellitari, sono stati individuati quasi 2300 incendi. È il numero più alto registrato dal 2007. La stagione estiva è quella in cui si registrano più roghi. Le cause, spesso, non sono naturali. Gli incendi dolosi, infatti, sono in costante aumento. Si cercano nuove terre in cui far pascolare il bestiame o coltivare abusivamente.
La deforestazione rimane una delle preoccupazioni più grandi. La riduzione delle aree verdi è aumentata del 55% nei primi quattro mesi del 2020, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Anche per questo motivo, il Brasile ha messo a disposizione migliaia di soldati per la protezione della foresta amazzonica.
“Non vogliamo essere etichettati come antagonisti dell’ambiente” ha affermato Hamilton Mourao, vice presidente brasiliano. Il ministro dell’ambiente, Ricardo Salles, ha, però, sottolineato quanto l’emergenza sanitaria abbia aggravato la situazione. Non ha spiegato le motivazioni, ma spera che si argini la problematica.
La resilienza della foresta amazzonica
Le conclusioni di uno studio dell’Università di Lancaster frenano gli entusiasmi. L’abilità della foresta amazzonica di ricrescere sarebbe sovrastimata. La mitigazione è, infatti, inferiore, specialmente nei periodi di scarsità idrica. La crescita degli alberi ha rallentato, mentre le temperature sono aumentate di 0,1 °C ogni decennio.
“Con le siccità previste nel futuro, dobbiamo essere prudenti sull’abilità delle foreste secondarie di mitigare il cambiamento climatico. I nostri risultati hanno sottolineato la necessità di accordi internazionali per minimizzare gli impatti.” hanno sollecitato i ricercatori brasiliani e inglesi.
Leggi anche: “Colombia: firmato il Patto di Leticia per difendere l’Amazzonia”
Perchè dovremmo avere cura delle popolazioni indigene?
“La nostra stessa esistenza è intrinsecamente correlata al benessere e all’equilibrio del mondo naturale. Pertanto, mentre continuiamo a invadere e distruggere ecosistemi vitali – come barriere coralline e foreste pluviali tropicali – stiamo minando la nostra stessa sopravvivenza come specie umana e quella di molte altre specie vegetali e animali. La natura non chiamerà la polizia né ci farà causa in tribunale per questo, ci sta chiaramente mostrando che il cambiamento climatico è una sofferenza autoinflitta”. Così esordisce Ben Meeus, impiegato nel programma di difesa delle foreste pluviali, sponsorizzato dal Programma ambientale delle Nazioni Unite.
L’Assemblea Mondiale per l’Amazzonia è l’ultima tappa di un percorso di salvaguardia di queste popolazioni che vivono in sintonia con l’ambiente. Giocano un ruolo cruciale per la conservazione dell’habitat naturale e contro la perdita di biodiversità. Uno studio del 2018, intitolato Cornered by protected areas (Messi all’angolo dalle aree protette), stimola la riflessione sulle capacità di questi popoli. Nonostante gli annunci, i principali risultati della ricerca mettono in luce varie problematiche.
Agli annunci non hanno seguito le azioni. La Dichiarazione dei diritti dei Popoli Indigeni del 2007 è stato un passo significativo, ma non rivoluzionario. Le minoranze soffrono ancora del limitato riconoscimento e rispetto dei loro diritti.
La conservazione dei territori è una pratica che si sta espandendo, ma è fonte di ingiustizie per le popolazioni indigene, che si vedono costrette a emigrare e aumentando il disagio sociale. Le comunità rurali proteggono effettivamente la biodiversità e conservano al meglio il territorio, investendo in esso.
Leggi anche:”Oklahoma: la terra ritorna ai nativi americani”
Ristabilire l’equilibrio in Amazzonia
Dallo studio e dalle conclusione dell’Assemblea Mondiale emergono delle azioni urgenti da mettere in campo:
- creare un meccanismo indipendente, trasparente, e globale di monitoraggio delle aree a rischio;
- sviluppare un sistema nazionale di controllo sulla conservazione che sia effettiva;
- rafforzare e promuovere approcci fondati sui diritti e sui modelli di conservazione;
- assicurare un coinvolgimento delle organizzazioni internazionali, in primo luogo le Nazioni Unite.
Il grido disperato che si alza dalla foresta amazzonica è forte. Non ascoltarlo sarebbe l’ennesimo tentativo di oscurare una parte importantissima della comunità globale che è in perfetta sintonia con il pianeta. Rispettare le popolazioni indigene significa rispettare la terra.