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Vuoto a rendere: i pregi di una pratica purtroppo dimenticata

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Tempo di lettura 3 minuti

Una pratica già molto diffusa in diversi paesi europei ma ancora decisamente poco adottata nel nostro paese è il vuoto a rendere. Vetro o plastica che sia, in Italia manca una vera e proprio cultura a riguardo. Come spesso accade a rimetterci è l’ambiente. E pensare che basterebbe così poco per agire in maniera più responsabile.

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I dati sul vetro e sul vuoto a rendere

Già vi abbiamo parlato, in un articolo di qualche tempo fa, della situazione riguardante le bottiglie di plastica. Questa volta analizziamo invece quella delle bottiglie in vetro, avvalendoci dei dati pubblicati da Milena Gabannelli in occasione dell’ultima puntata di DataRoom. Partiamo da una prima considerazione generale: l’Italia è il paese in cui viene consumata più acqua in bottiglia a livello mondiale. Ne beviamo circa 224 litri a testa all’anno. Tradotto in “bottiglie” questo numero diventa 11 miliardi. L’84% di queste è in plastica e solo una percentuale che si attesta tra il 10 e 15% viene poi riciclata.

Del 16% di bottiglie in vetro, invece, solo il 10% è vuoto a rendere. Se inoltre si considera che per fare un chilogrammo di PET (il materiale di cui sono composte le bottiglie in plastica) servono circa 2 chilogrammi di petrolio si capisce immediatamente quanto sia importante mettere fine a questa follia. Smettere di utilizzare bottiglie in plastica ci farebbe risparmiare 5,87 milioni di barili di petrolio in un anno. Un numero non trascurabile. Solamente osservando questi dati si capisce che la situazione è quanto meno migliorabile. Inoltre in questo caso, almeno una parte della colpa non può di certo essere attribuita a qualcun altro. Questi numeri sono infatti frutto di scelte individuali e individuarne i responsabili è molto più semplice che in altri casi.

I vantaggi del vuoto a rendere

Di esempi da prendere a modello per quanto riguarda la questione dei vuoti a rendere ce ne sono a bizzeffe. Nel Nord Europa, ad esempio, la percentuale di bottiglie in vetro che vengono restituite tramite la procedure del vuoto a rendere è del 70%. In questo modo una bottiglia di vetro può essere riutilizzata fino a 30 volte, generando grossi risparmi in termini di emissioni che altrimenti sarebbero necessari per la sua produzione ex-novo. Se infatti ci limitassimo a riciclare il vetro della bottiglia, questo dovrebbe comunque subire innumerevoli passaggi.

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Un primo camion la porterebbe infatti ad un centro di raccolta. Da qui andrebbe poi spostata verso l’impianto di frantumazione per poi essere trasportata alla vetreria dove, dopo un processo di fusione a 1.400 °C, la bottiglia viene ricreata per poi essere portata nuovamente dal produttore di acqua per l’imbottigliamento e, di nuovo, nello scaffale del supermercato. Non serve uno scienziato per capire che tutti questi step hanno un impatto ambientale non trascurabile. Con la logica del vuoto a rendere, invece, il numero di spostamenti necessari al riutilizzo della bottiglia si ridurrebbe a due: da casa nostra al deposito e poi al produttore che può quindi procedere con la sterilizzazione e il riutilizzo. Se la buona pratica del vuoto a rendere venisse adottata da tutti i consumatori si risparmierebbe ogni anno l’utilizzo di 5,9 milioni di barili di petrolio.

Gli ostacoli

Se da un lato risulta chiara la mancanza di domanda verso un servizio del genere, facendo ricadere parte della colpa sui consumatori, dall’altro è evidente che anche i produttori potrebbero sicuramente fare di più. Produrre una bottiglia ex-novo ha infatti un costo più alto rispetto all’alternativa della bottiglia riciclata. Gli attori del mercato dell’acqua in bottiglia dovrebbero tuttavia sostenere un investimento iniziale necessario alla costruzione di un impianto di lavaggio e sterilizzazione che sia situato in aree vicine alla fonte. I supermercati dovrebbero inoltre attrezzarsi creando delle aree apposite all’interno dei propri locali.

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Già nel 2017 il Ministero dell’Ambiente aveva provato a pubblicare un regolamento atto a iniziare una sperimentazione del vuoto a rendere su larga scala. Si è trattato, tuttavia, di un esperimento completamente fallito. I dati sul programma non sono infatti ritornati al Ministero e l’adesione da parte di bar, ristoranti, alberghi e supermercati è stata bassissima. Analizzando tutte queste problematiche si capisce subito come il problema sia duplice e abbia due origini ben distinte: da un lato i consumatori che dovrebbero far propria la logica del vuoto a rendere in maniera massiccia, dall’altro i produttori che dovrebbero sforzarsi maggiormente per rendere questa opzione molto più accessibile.

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Il modo più facile per far sì che si espanda questa buona pratica è tuttavia individuabile nella più vasta logica del mercato: se infatti i consumatori iniziassero in massa a comprare acqua solo da chi dà la possibilità di restituire la bottiglia, i produttori non ci metterebbero molto ad adeguarsi per non perdere la propria clientela a favore dei concorrenti di mercato che invece offrono questo servizio. Un ulteriore esempio di come ognuno di noi può essere parte integrante del cambiamento, senza neanche sforzarsi più di tanto.

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di Luigi Cazzola
Gen 24, 2020
Nato nel 1991 a Fano, laureato in Lingue e Comunicazione. Marketer di professione e diverse esperienze all’estero alle spalle. Da ormai qualche anno ambientalista convinto, a Settembre 2018 arriva la svolta che stava aspettando. Viene selezionato per il “Corso di Giornalismo Ambientale Laura Conti”, dove può finalmente approfondire tematiche relative tanto al giornalismo quanto all’ambiente. Fermamente convinto che la lotta al cambiamento climatico sia la più importante battaglia della sua generazione, decide di mettere le competenze acquisite al servizio di tutti per accrescere la consapevolezza legata a questo tema e fornire consigli pratici per orientare le scelte dei singoli verso un approccio più green grazie ad un consumo più critico e consapevole. Per L’Ecopost si occupa di redazione di contenuti, sviluppo Front-End e comunicazione sui Social Media.

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