A volte, da bambina, quando un adulto mi imponeva il divieto di fare qualcosa, mi bastava uscire dal suo radar visivo per continuare indisturbata la mia attività. Lo stesso atteggiamento infantile è proprio delle aziende chimiche produttrici di pesticidi; e quella mancanza di attenzione, voluta o non voluta, da parte degli adulti è paragonabile alle indulgenti leggi dell’Unione Europea. Un’indagine di Greenpeace UK, Unearthed, e dalla ONG svizzera Public Eye ha messo a nudo l’esportazione, da parte di alcune nazioni europee, di pesticidi che sono già stati dichiarati illegali all’interno dell’Unione. Insomma, invece che terminare il gioco, le aziende chimiche lo hanno proseguito lontano dagli occhi degli adulti.
Perché i pesticidi erano illegali
Nei primi dieci anni del nuovo millennio l’Unione Europea ha deciso di vietare l’utilizzo di alcuni prodotti fitosanitari. Tra questi il Trifluralin e l’Alachlor, erbicidi utilizzati sin dagli anni ’60 e rivelatosi tossici per gli organismi acquatici, oltre che per la loro lunga persistenza nel suolo. Un altro famigerato erbicida ormai vietato in UE è l’Atrazina. Secondo L’EPA (Environmental Protection Agency) l’esposizione ad Atrazina è collegata al cancro alla prostata, oltre ad avere effetti neuroendocrini con conseguenze sia a livello riproduttivo che di sviluppo.
Vi sono poi i pesticidi, che non hanno caratteristiche migliori. L’ 1,3-dicloropropene e la Propargite, per esempio, sono considerati probabilmente cancerogeni per operatori e consumatori, oltre che per i mammiferi che vi entrano in contatto.
Etica? No grazie
Alla luce di questo, le aziende chimiche e chi gestisce i loro rapporti commerciali non si sono poste alcun problema etico, ma hanno deciso di esportare questi pesticidi ed erbicidi dannosi per gli uomini e l’ambiente dove la legge lo consentiva, ovvero fuori dall’Unione Europea. E le cose sono anche peggiori di così. Oltre agli Stati Uniti, l’Australia, il Canada e il Giappone, l’UE esporta i pesticidi anche in nazioni del mondo più povere, come Marocco, Sud Africa, India, Messico, Iran e Vietnam.
In totale, nel periodo dei 9 mesi di indagini, sono state contate 81.615 di tonnellate di prodotti fitosanitari vietati destinati all’esportazione. Di queste, il 12% (pari cioè a 9.500 tonnellate di pesticidi) provenivano dall’Italia. Questo dato rende il Bel Paese il secondo esportatore europeo di queste sostanze. Poi, quando il Regno Unito reciderà i suoi legami con l’Unione Europea, l’Italia si aggiudicherà il primato.
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Il caso dell’Alto Adige
Non stupisce quindi la recente e triste notizia del processo a Karl Bär e Alexander Schiebel. I due attivisti si sono infatti schierati contro l’uso intensivo dei pesticidi in agricoltura, in particolare in Trentino Alto Adige. Sono stati poi portati in giudizio dall’Assessore all’Agricoltura bolzanino Arnold Schuler.
I due, però, non avrebbero torto, visto che i dati parlano chiaro: la vendita di pesticidi in rapporto alla superficie trattabile supera di oltre sei volte la media nazionale. Il processo contro Bär inizierà oggi, 15 settembre. In caso di condanna egli rischia la pena detentiva e la rovina personale a causa dell’astronomica spesa di risarcimento per aver “recato danno all’immagine dell’Alto Adige”. Fermo restando che entrambi gli attivisti stanno già sostenendo delle ingenti spese legali.

Le contraddizioni dell’esportazione di pesticidi
Le contraddizioni legate all’uso e all’esportazione di pesticidi, se non sono evidenti, la sveliamo di seguito. Innanzi tutto, l’abbiamo detto, esiste un problema etico alla base di questa attività. Proteggere da sostanze cancerogene gli abitanti dell’Unione Europea soltanto perché in possesso di un documento che ne sancisca la cittadinanza e non farlo con altri esseri umani che hanno semplicemente una nazionalità differente non ha alcun senso logico.
In più, l’Unione Europea importa dai Paesi sopra elencati una grandissima quantità di prodotti agricoli e, quindi, cibo che finisce direttamente sulle nostre tavole. La vendita di pesticidi a queste Nazioni, quindi, ci si ritorcerebbe contro, rappresentando perfettamente quel fenomeno che ormai va di moda chiamare karma.
Infine, vi è sempre il problema del riscaldamento globale che incombe sul pianeta (e sopratutto sui paesi più poveri) ormai da decenni. Il quale ancora non spaventa chi lucra sulla produzione, trasporto, vendita e smaltimento di prodotti che l’hanno causato. Non basta quindi questo infausto fenomeno a minacciare l’ambiente, gli ecosistemi e l’essere umano. I pesticidi non riescono ad uscire dalla scacchiera e si uniscono agli innumerevoli strumenti di tortura cui la Terra è già sottoposta.
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L’appello di Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia, è quindi rivolto all’UE, che deve porre fine a questa ipocrisia vietando per sempre la produzione e l’esportazione di tutti i pesticidi vietati.