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The true cost: quanto costa davvero la moda?

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Sei convinto che quella maglietta ti stia bene. Il modello va di moda, la taglia è giusta, il colore è originale. Un mese dopo sei convinto che quella maglietta ti stia male. Non va più di moda, si è ristretta, il colore non ti sta bene. Oppure ti sta ancora bene, e proprio per quello ne vuoi un’altra. E allora ne compri un’altra, che tanto costa poco.

Ma qual è il vero costo dei vestiti che compriamo? Il documentario The true cost pone sotto i riflettori una delle industrie più inquinanti e meno etiche del mondo: quella della moda. La moda è infatti la seconda industria più inquinante dopo quella del petrolio, a causa sia dello sfruttamento delle risorse naturali, sia dei metodi di lavorazione dei tessuti.

Il nuovo schiavismo della moda

Prima di tutto, però, The true cost mostra come questa inutile e superficiale catena produttiva pesi sulle vite di milioni di persone, sfruttate ai limiti dello schiavismo da grandi aziende con sedi in India e in generale nel sud dell’Asia.

Le compagnie di moda, soprattutto quelle della cosiddetta “fast fashion”, richiedono alle fabbriche tessili enormi quantità di vestiti in pochissimo tempo, senza prendersi la responsabilità delle conseguenze. Non essendo infatti le fabbriche di loro proprietà e non operando sul suolo nazionale, i magnati della moda non possono controllare ciò che in queste fabbriche succede: condizioni di lavoro precarie, orari lavorativi fuori dal limite umano, instabilità degli edifici, rifiuti tossici dispersi nell’ambiente. Ecco il vero prezzo da pagare per quella maglietta che tanto ci piaceva.

Leggi anche: “La fast fashion è il patibolo del pianeta”

https://www.youtube.com/watch?v=QPMU1VHgmEo

Cotone OGM e pesticidi

Lo scopo del documentario, comunque, non è quello di denigrare totalmente il mondo della moda, bensì quello della moda non sostenibile. I vestiti e gli accessori possono essere considerati una forma di creatività, un modo di esprimere la propria personalità oltre che, ovviamente, espletare la loro funzione primaria, quella del coprirsi. Ma tutto ciò deve essere fatto in modo consapevole, comprando quello che poi effettivamente si usa, informandosi sulla sua provenienza e sul modo in cui il materiale è stato trattato.

Anche i tessuti prodotti in Occidente non sono sempre sostenibili. Molto del cotone in commercio è infatti OGM, ovvero modificato geneticamente in modo che possa crescere sempre, senza dipendere dai cicli naturali. Questo tipo di cotone chimico richiede l’utilizzo di pesticidi altrettanto chimici e il bombardamento di sostanze tossiche che ne deriva è spesso causa di malattie mortali per i contadini. Acquistare vestiti fatti con cotone biologico, quindi, è una scelta sicuramente più consapevole.

Leggi anche: “Armani contro la fast fashion: è immorale”

the true cost moda

The true cost svela l’ombra oscura della moda

Un’altra ombra oscura dietro al mercato della moda e che il film mette in luce è quella dei rifiuti. I tessuti infatti non si decompongono se non dopo oltre 200 anni, rilasciando nell’aria gas dannosi per noi e per l’ambiente. Ogni americano butta circa 37 chili di tessuti in un anno, per un totale di 11 milioni tonnellate.

Inoltre, i vestiti donati in beneficenza sono molti di più rispetto a quelli che effettivamente vengono consegnati ai paesi più poveri e spesso vengono inviati proprio nei paesi produttori di vestiti. Vestiti che, però, non sono per loro, bensì per gli occidentali, che poi li scarteranno e li manderanno a chi quei vestiti li ha cuciti. Un circolo vizioso che comprende tutto, dal trasporto delle merci, all’inquinamento, allo sfruttamento. E il suo motore siamo noi, che compriamo incessantemente e inconsapevolmente quantità di vestiti di cui nessuno ha davvero bisogno.

Leggi anche: “Quei vestiti delle feste messi una volta. Come evitare lo spreco”

Per maggiori informazioni e per scaricare il film visita il sito ufficiale

Il documentario è disponibile sulla piattaforma Amazon Prime Video.

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di Iris Andreoni
Mar 9, 2019
Nata a Milano nel 1991 ma bergamasca di adozione, è tornata nella sua città natale per conseguire la laurea specialistica in Lettere Moderne, un corso di studi che ha cambiato la sua vita e il suo punto di vista sul mondo. Ha infatti imparato ad approfondire e affrontare criticamente argomenti di varia natura e dare in questo modo priorità a ciò che nella vita è davvero importante. Il rispetto per l’ambiente è una di queste cose e, grazie ad alcuni libri e documentari, ma anche dopo due viaggi in Asia, Iris si interessa in modo particolare a questo ambito. Durante l’università scrive recensioni e interviste sul blog letterario Viaggio nello Scriptorium e, terminati gli studi, si appassiona al mondo del giornalismo, decidendo di sfruttare il grande potere della scrittura per comunicare al mondo i suoi interessi e le notizie più importanti. Collabora come redattrice con il giornale Bergamo Post e ha poi l’onore di frequentare il Corso di Giornalismo Ambientale Laura Conti organizzato da Legambiente. Qui conosce altri aspiranti giornalisti e insieme decidono di dare il loro contributo per informare l’Italia riguardo all’emergenza ambientale cui stiamo assistendo e di cui non molti sembrano essersi accorti. Per l’Ecopost Iris si occupa della redazione di contenuti e comunicazione sui Social Media.

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