Quello che leggerai ti sembrerà parecchio triste se fino ad ora la Malesia figurava nel tuo immaginario come la patria di una tigre bellissima e sfondo di racconti salgariani avventurosi, dove la natura selvaggia, prima ancora di Sandokan, era la protagonista indiscussa. Quella natura di cui ti raccontano gli amici, dopo un viaggio affascinante in Sud-Est Asiatico sfoggiando fotografie in fitte foreste incontaminate e spiagge sconfinate. Quella natura, però, non è e non sarà più così incontaminata a causa dei nostri rifiuti plastici.
Rifiuti bruciati o abbandonati
Grazie a una approfondita operazione di ricerca, con tanto di telecamere nascoste, Greenpeace ha scoperto che dal 2019 l’Italia ha spedito in Malesia 1300 tonnellate di plastica.
Oltre all’impatto ambientale che deriva dal trasporto stesso della plastica, le conseguenze peggiori sono dovute al fatto che su 65 spedizioni, 43 sono state inviate a impianti irregolari di smaltimento. Ciò significa che la plastica viene bruciata senza nessun rispetto per l’ambiente e la salute umana.
Nello stesso report si può vedere la presenza di rifiuti plastici, di origine chiaramente straniera, abbandonati all’aperto senza alcun controllo né messa in sicurezza.
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Greenpeace ha anche attuato quella che si può chiamare controprova. La loro unità investigativa è infatti riuscita ad ottenere dal governo di Kuala Lumpur (capitale della nazione) alcuni documenti riservati.
In essi si nominano le 68 aziende malesi responsabili dell’importazione di rifiuti e Greenpeace le ha contattate. Alcune di queste erano disposte a importare illegalmente i nostri rifiuti fittizi, compresa plastica contaminata e rifiuti urbani. Ma la parte più triste dell’inchiesta è sicuramente la testimonianza dei cittadini malesi, che hanno chiesto aiuto a Greenpeace prima che il loro territorio venga irrimediabilmente ricoperto di rifiuti.
Un traffico di lunga data
Il fenomeno però non è iniziato solo nel 2019. La nostra plastica di difficile riciclo viene mandata in Malesia già da qualche anno. Dopo lo stop della Cina alle importazioni di rifiuti di bassa qualità, dal 2017 la Malesia importa circa il 20 per cento dei residui plastici dell’Unione Europea. I dati di Eurostat, diffusi da un dossier di Greenpeace, indicano che l’Italia invia in Malesia un quantitativo di rifiuti che ha un peso pari a 445 Boeing 747 a pieno carico.

L’Italia, poi, non è l’unica nazione che manda gli “avanzi” in Malesia. Anzi, si è aggiunta a una lunga lista in cui appaiono Bangladesh, Arabia Saudita, Singapore, Stati Uniti, Regno Unito, Francia.
Nel maggio del 2019 la Malesia aveva provato a reagire, rispedendo all’Occidente 3 mila tonnellate di rifiuti. Le parole del ministro dell’ambiente malese erano chiare: “Se ci sono persone che vogliono vedere questo Paese come la discarica del mondo, stanno sognando, quindi noi rimandiamo indietro il carico”. Questa minaccia non è stata sufficiente perché i trafficanti di rifiuti terminassero i loro loschi affari.
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Non solo in Malesia
L’esportazione di rifiuti illeciti non riguarda soltanto la Malesia. Dopo il blocco cinese, i paesi occidentali hanno dovuto trovare altre “valvole di sfogo”. La Turchia, forse anche grazie alla maggiore accessibilità in termini di distanza, è stata la prima destinataria. Si pensi soltanto che, secondo i dati diffusi da Greenpeace, nel 2016 la Turchia importava “solo” 4.000 tonnellate di plastica. Nel 2018 le tonnellate sono diventare 20.000.
Lo dimostra un triste caso avvenuto in Turchia, a 30 chilometri da Smirne. Lo scorso 4 settembre un imprenditore italiano ha abbandonato in un terreno privato 500 tonnellate di ecoballe, per poi fuggire e sparire nel nulla.
In fondo non siamo così potenti
Il fatto che si sia trattato di un imprenditore, può far dedurre il motivo principale di questi traffici, sicuramente scontato: il vil denaro. Alle aziende di smaltimento italiane, infatti, costa meno inviare la plastica in un’altra nazione, la quale non chiederà altro che una quantità di denaro relativamente bassa. Questo porterà all’azienda italiana un grosso risparmio in termini di risorse umane ed energetiche riservate di solito allo smaltimento corretto della plastica.
Inoltre, in questo modo le nazioni in via di sviluppo sono tenute in pugno dal denaro di quelle che, in teoria, sono già ampiamente sviluppate. Bisognerebbe però chiedersi se questa superiorità che tanto pavoneggiamo sfoggiando cospicue mazzette, lo sia davvero.
Se fossimo un paese davvero avanzato utilizzeremmo i soldi che diamo loro illecitamente per rendere i nostri impianti di riciclaggio efficienti. A guidarci sarebbero dei valori morali che ci vieterebbero l’attuazione di un abuso di potere simile. Oltre al fatto che avremmo abolito già da molto tempo la famigerata plastica monouso. Ma questa è un’altra triste storia.
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