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Nuovo report ONU: più di 1 milione di specie a rischio estinzione

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Ad affermarlo è l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services. L’IPBES è un ente dell’ONU che si occupa dello studio dello stato di salute degli ecosistemi e della biodiversità a livello mondiale. Questo organo ha la stessa natura dell’IPCC, l’ente delle Nazioni Unite che studia i cambiamenti climatici, responsabile della stesura del report uscito nell’ottobre scorso che ha potenziato la portata di movimenti come Fridays For Future e Extinction Rebellion. Questo documento costituisce un ulteriore allarme lanciato da parte della comunità scientifica riguardo al pessimo stato di salute in cui verte il sistema Terra. Mai nella sotria dell’uomo così tante specie sono state a rischio estinzione.

Un declino pericoloso e senza precedenti

Queste le parole usate dall’IPBES per riassumere il contenuto del documento. Lo studio è stato condotto da 145 esperti di 50 nazionalità diverse ed ha ricevuto il contributo di altri 310 autori. Per condurlo sono stati necessari 3 anni. I dati su cui si basa sono stati presi da 15.000 fonti scientifiche o istituzionali. Secondo l’ente questo è il “più grande e comprensivo studio mai effettuato sul tema”. Il presidente dell’organizzazione, Robert Watson, ha parlato di “un’evidenza schiacciante che ci ha permesso di constatare uno scenario nefasto”.

E aggiunge :”La salute degli ecosistemi su cui tutte le specie viventi dipendono, noi compresi, si sta deteriorando più velocemente che mai. Stiamo erodendo le vere e proprie fondamenta della nostra economia, dei nostri stili di vita, della sicurezza alimentare, della salute e della qualità della vita a livello mondiale”. L’ultimo report dell’ONU sul tema delle specie in via d’estinzione risaliva al 2005 e questo diventa dunque il documento più autorevole della storia dell’umanità in merito all’argomento dell’estinzione di massa delle specie a cui stiamo assistendo oggi.

Il riassunto del documento ONU sull’estinzione delle specie

  • Circa 1 milione di specie di animali e piante sono minacciate dall’estinzione, una quantità mai vista prima nella storia dell’umanità
  • La quantità di specie autoctone nella maggior parte degli habitat terrestri è calata in media del 20%. Per gli anfibi questa percentuale sale al 40%, per i coralli è del 33%, per i mammiferi marini del 30%, per gli insetti del 10%. Almeno 680 specie di vertebrati si sono estinte dal 1600.
  • Le principali cause sono, in ordine di importanza, un cambiamento nell’utilizzo di superficie terrestre e marina, sfruttamento diretto degli organismi, cambiamento climatico, inquinamento ed inserimento di specie non autoctone negli habitat.
  • Con un ulteriore aumento della temperatura media globale il cambiamento climatico diventerà la causa principale di queste perdite.
  • Il trend negativo registrato per quanto riguarda la salute degli ecosistemi e la biodiversità inciderà sulla possibilità di raggiungere l’80% (35 su 44) dei target stabiliti secondo gli obiettivi di sviluppo sostenibili andando ad acuire problemi come povertà, fame, salute, acqua, città, clima, oceani e terreno. La perdita di biodiversità non è un problema relativo solo all’ecologia ma avrà anche riscontri sullo sviluppo, l’economia, la sicurezza, le questioni sociali e morali.
  • I principali indicatori che vanno di pari passo con la perdita di biodiversità sono l’aumento della popolazione mondiale, il consumo di risorse pro capite, l’estrazione delle risorse e l’incremento della produzione.
  • Circa il 75% dell’ambiente su terraferma e il 66% di quello marino sono stati significativamente alterati dalle azioni umane. In media questi trend sono molto più negativi nelle aree in cui vivono popolazioni indigene o comunità locali.
  • Più di un terzo delle risorse del pianeta e circa il 75% dell’acqua dolce sono utilizzati per monocolture o allevamenti.
  • Il valore della produzione agricola è cresciuto del 300% rispetto al 1970. Circa 60 miliardi di tonnellate di risorse, rinnovabili e non, vengono estratte dal pianeta ogni anno. Il doppio rispetto al 1980.
  • La degradazione del suolo ha ridotto la produttività della superficie dei terreni del 23%. Circa 577 miliardi di dollari di prodotti agricoli sono a rischio a causa della perdita degli impollinatori.
  • Tra i 100 e 300 milioni di persone hanno visto aumentare il rischio di essere colpite da alluvioni e uragani a causa della perdita degli habitat costieri che li proteggono.
  • Nel 2015 il 33% delle specie di pesci sono stati pescati a livelli non sostenibili. Il 60% sono state sfruttate a livelli massimali. Solo il 7% delle specie è stato pescato a livelli sostenibili.
  • Le aree urbane sono più che raddoppiate dal 1992.
  • L’inquinamento da plastica è decuplicato rispetto al 1980. Tra i 300 e i 400 milioni di tonnellate di metalli pesanti, solventi, rifiuti tossici e altri scarti provenienti dalle attività industriali vengono gettati ogni anno in acqua. I fertilizzanti immessi negli ecosistemi costieri hanno prodotto più di 400 zone morte per un totale di 245.000 chilometri quadrati, un’area più grande del Regno Unito.

Non è troppo tardi per cambiare

Lo stesso Watson ci tiene però a precisare che “non è troppo tardi per fare la differenza, ma bisogna iniziare ora un cambiamento a tutti i livelli della società, sia globale sia locale. Grazie ad un cambio di direzione netto la natura può ancora essere conservata, ristabilita ed usata in modo sostenibile. Un cambiamento su tutti i fronti, grazie ad una riorganizzazione di tutti i sistemi che si può raggiungere tramite fattori economici, tecnologici e sociali, includendo anche un cambio dei paradigmi, dei valori e degli obiettivi di ognuno”. L’ostacolo più grande verso il cambiamento è riconosciuto dall’IPBES in coloro che hanno i maggiori interessi nel mantenimento dello status quo. L’ente dell’ONU ha dichiarato inoltre che questa opposizione possa essere sovrastata soltanto se verrà riconosciuta dall’opinione pubblica la necessità di mettere l’interesse dei molti di fronte a quello dei pochi.

La risposta di Greta

La notizia non è sfuggita alla giovane Greta Thunberg che, rilanciando un articolo della rivista scientifica “Nature”, ha commentato così: “Dove sono le breaking news? Gli speciali dei telegiornali? Le prime pagine? Dove sono le riunioni di emergenza? I summit per la crisi? Cosa potrebbe essere più importante? Stiamo fallendo ma non è ancora tutto deciso. Possiamo ancora mettere le cose a posto. Ma non se continuiamo come oggi. In tal caso non avremmo una chance”. Come al solito la giovane attivista svedese non ha avuto peli sulla lingua, denunciando il silenzio dei media riguardo al collasso ecologico del pianeta.

Nei giorni in cui usciva questo report non c’è traccia di esso in nessuna delle prime pagine delle testate nazionali, né nella giornata di ieri né in quella di oggi, con l’unica eccezione costituita da “La Repubblica” del 7 maggio. Eppure un trafiletto della parte alta della “front page” del Corriere della Sera da la notizia della nascita del figlio del principe Harry e di Meghan Markle. Inutile sottolineare che l’importanza delle due notizie non è neanche lontanamente comparabile.

Greta ha ragione. Siamo in tempo per cambiare le cose e per assicurare alle generazioni che verranno un futuro sicuro su questo pianeta. Ma è giunto il momento che i media, non solo a mezzo stampa, inizino a fare la propria parte, informando i cittadini sui rischi legati al cambiamento climatici e sulla gravità delle possibili conseguenze. Fino a quando parlare del figlio del Principe Harry sarà più importante di una notizia sulla minaccia di estinzione di più di 1.000.000 di specie viventi sulla terra, non abbiamo speranze.

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di Luigi Cazzola
Mag 8, 2019
Nato nel 1991 a Fano, laureato in Lingue e Comunicazione. Marketer di professione e diverse esperienze all’estero alle spalle. Da ormai qualche anno ambientalista convinto, a Settembre 2018 arriva la svolta che stava aspettando. Viene selezionato per il “Corso di Giornalismo Ambientale Laura Conti”, dove può finalmente approfondire tematiche relative tanto al giornalismo quanto all’ambiente. Fermamente convinto che la lotta al cambiamento climatico sia la più importante battaglia della sua generazione, decide di mettere le competenze acquisite al servizio di tutti per accrescere la consapevolezza legata a questo tema e fornire consigli pratici per orientare le scelte dei singoli verso un approccio più green grazie ad un consumo più critico e consapevole. Per L’Ecopost si occupa di redazione di contenuti, sviluppo Front-End e comunicazione sui Social Media.

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