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Grandi banche o grandi inquinatori? Chi finanzia i nemici del clima

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Tempo di lettura 6 minuti

La pandemia sta minando il mondo, lo sappiamo. Tra i tanti auspici per il post-coronavirus, numerose voci si alzarono per suggerire un cambiamento, dal momento che il pianeta sarebbe stato forzato a ripartire. L’economia green era vista da molti come la chiave forse più importante al fine di segnare un netto stacco tra il mondo pre e post COVID-19. Al solito però, sembrerebbe che si sia predicato bene per razzolare male. Le grandi banche, incuranti dei disagi pandemici, hanno continuato per tutto il 2020 a finanziare il settore dei combustibili fossili. Gli investimenti in questo ambito sarebbero addirittura superiori a quelli versati nel 2016.

La situazione tratteggiata nel corso della sedicesima edizione del Fossil Fuel Financing Report non arride agli ecologisti. Si tratta del più completo rapporto a nostra disposizione sul finanziamento delle grandi banche ai petrolieri e al settore del fossile. Già il titolo del report è abbastanza chiarificatore: Banking on Climate Chaos 2021.

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Elaborazione grafica di OpenClipart-Vectors da Pixabay 

Dopo tanti articoli, anche de L’EcoPost, che hanno esaminato i rapporti tra alte sfere finanziarie ed economia del petrolio, ormai questa situazione non dovrebbe neanche stupirci più di tanto. Eppure non dobbiamo distogliere la nostra attenzione da questa vicenda. È necessario mantenere ben chiaro chi siano davvero i nemici del clima. Occorre conoscere chiunque si schieri nel campo degli inquinatori seriali. Abbiamo bisogno di sapere a quale gioco stiano giocando le grandi banche.

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Chi punta il dito contro le grandi banche

Banking on Climate Chaos 2021 è stato pubblicato da un’alleanza di associazioni che si battono per l’ambiente. Tra queste troviamo Sierra Club, Rainforest Action Network, Indigenous Environmental Network, Reclaim Finance, BankTrack e Oil Change International. Alle spalle di questi aprifila, se così vogliam definirli, troviamo altre 300 organizzazioni provenienti da oltre 50 Paesi. La coalizione di queste ONG unite nella lotta al surriscaldamento globale spiega come il rapporto documenti “un allarmante scollamento tra il consenso scientifico globale sul cambiamento climatico e le pratiche delle più grandi banche del mondo.”

Nel servizio di Retesette una manifestazione, nell’estate 2019, dei ragazzi di Fridays For Future per chiedere alle grandi banche di smettere di investire in combustibili fossili.

I risultati della ricerca

Il rapporto 2021 ha allargato la sua inchiesta. Se fino allo scorso anno si prendevano in esame gli investimenti di 35 grandi banche, quest’anno si è passati a 60. Tutti i gruppi analizzati provengono dall’insieme dei più grandi poli bancari al mondo. I risultati di questa ricerca portata avanti sui dati 2020, si anticipava, non sono certamente entusiasmanti per quanto riguardi l’ambiente.

“Nei 5 anni dall’adozione degli accordi di Parigi, queste banche hanno pompato oltre 3,8 trilioni di dollari nell’industria dei combustibili fossili. Il finanziamento è stato più elevato nel 2020 rispetto al 2016. La tendenza è in diretta opposizione all’obiettivo dichiarato nell’Accordo di ridurre le emissioni di carbonio rapidamente. ” Il target, infatti, è quello di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius. Il rapporto ci dimostra come i detentori del potere economico-finanziario, stiano procedendo in direzione ostinata e contraria – per citare non in maniera casuale il più noto dei cantautori italiani.

Grandi banche e grande inquinamento

“Anche in mezzo a una recessione indotta da una pandemia, la quale ha portato a una riduzione generale del finanziamento dei combustibili fossili di circa il 9%, nel 2020 le 60 maggiori banche hanno comunque aumentato di oltre il 10% i loro finanziamenti alle 100 compagnie più responsabili dell’espansione dei combustibili fossili.” Il rapporto introduce oltre 20 casi di studio per supportare la propria tesi. Si tirano ad esempio in ballo progetti come l’oleodotto delle sabbie bituminose Line 3 oppure l’espansione delle operazioni di fracking sulle terre delle comunità indigene Mapuche nella Patagonia argentina.

Banking on Climate Chaos 2021 indica i maggiori finanziatori di combustibili fossili in tutto il mondo. Molti dei nomi che compaiono nel rapporto sono oltremodo noti. JPMorgan Chase sarebbe il principale investitore nel fossile a livello mondiale. RBC il maggiore in Canada; Barclays il suo omologo nel Regno Unito; Bank of China rappresenta il poco invidiabile leader di questa classifica in Cina e MUFG in Giappone. Nell’UE la maglia nera va a BNP Paribas mentre in Italia a Unicredit (trentacinquesima banca mondiale per investimenti neri), seguita a stretto giro da Intesa San Paolo (quarantacinquesima al mondo). Numerosi di questi sono leader assoluti nei loro settori di riferimento: finanza, gestione del risparmio e/o investimenti e trading.

In generale, gran parte delle banche con sede negli USA dimostra di essere tra le maggiori fomentatrici delle emissioni globali. Abbiamo puntato il dito contro JPMorgan in quanto si tratta della peggiore banca fossile al mondo; ma è in buona compagnia. Gli ambientalisti, si ricorda nel rapporto, sottolineano come “Chase si sia recentemente impegnata ad allineare il proprio investimento con il trattato di Parigi. Tuttavia continua a finanziare, sostanzialmente senza restrizioni, i combustibili fossili. Dal 2016 al 2020, le attività di prestito e sottoscrizione di Chase hanno fornito quasi 317 miliardi di dollari ai combustibili fossili. Il 33% in più di Citi, la seconda peggiore nel periodo.”

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Foto di Ana Gic da Pixabay 

Una cattiva politica

Quel che si può concludere dopo aver esaminato il report è come, indipendentemente da dove si trovino nel mondo, la gran parte delle banche tiene una cattiva politica nei confronti dell’ambiente. È scoraggiante dover rilevare come numerosi istituti creditizi continuino imperterriti nella loro opera di finanziamento al fossile.

Se un piccolo sorriso ci nasce in volto dopo aver letto come la banca Wells Fargo, una delle storicamente meno attente alla questione ambientale sia scivolata da quarta a nona peggior banca fossile; ecco che quello stesso sorriso si riassorbe prendendo in esame BNP Paribas, la quale l’ha subito sostituita sul podio di legno. È la prima volta in 5 anni che Wells non occupa una delle prime quattro posizioni, in questa classifica che potremmo definire vergognosa nel 2021. I suoi finanziamenti alle energie non rinnovabili si sarebbero ridotti di un 42%. Ci auguriamo che sia il primo passo di un percorso da istituto virtuoso e non un episodio dovuto, magari, ad un anno di crisi. Sul piatto opposto della bilancia c’è BNP, la quale è proprietaria dell’insegna statunitense Bank of the West, un istituto che ama presentarsi come molto attento al clima.

In realtà, leggiamo nel rapporto: “BNP Paribas ha fornito nel 2020 41 miliardi di dollari in finanziamenti fossili.” Si tratta del più grande aumento assoluto, in percentuale, per quanto riguarda il supporto economico a questa industria. Ciononostante, la banca è solita schierarsi apertamente contro i finanziamenti al petrolio e ai gas non convenzionali.

L’ambiente e le grandi banche

Dopo aver riportato con precisione certosina i dati relativi agli investimenti delle grandi banche contro il clima, il rapporto si conclude con un’analisi delle politiche ambientali degli istituti. Il giudizio complessivo è naturalmente tutt’altro che positivo. Ciò è inevitabile, alla luce di quanto abbiamo riportato fin qui.

Gli impegni esistenti delle banche nei confronti del clima sono definiti come “gravemente insufficienti e fuori asse con gli obiettivi degli accordi di Parigi. Su tutta la linea. Le politiche bancarie di alto profilo sull’obiettivo lontano e mal definito di raggiungere il net zero entro il 2050. Oppure sulla limitazione dei finanziamenti per i combustibili fossili non convenzionali. In generale, le politiche bancarie esistenti per quanto riguarda le restrizioni per il finanziamento diretto ai progetti. Eppure, questo aspetto rappresentava solo il 5% del finanziamento totale dei combustibili fossili analizzato in questo rapporto».

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Foto di marcinjozwiak da Pixabay 

La posizione dei nativi americani

Vittime privilegiate di questo modello d’investimento sono, inevitabilmente, le comunità più povere sul pianeta. Particolarmente colpite sono le tribù indigene, visto il loro speciale rapporto con la terra come suolo e la Terra come pianeta, esse parlano infatti di Madre Terra. Gran parte di questi investimenti rappresentano per queste comunità un diretto attacco ai loro valori e alle loro risorse. Lo ha spiegato bene Tom Goldtooth, il direttore esecutivo di Indigenous Environmental Network, una delle associazioni che ha partecipato alla stesura del report.

“Dobbiamo capire che finanziando l’espansione del petrolio e del gas le principali banche del mondo hanno le mani insanguinate. Nessun green-washing, carbon markets, techno-fixes non provato o net zero può assolverle dai loro crimini contro l’umanità e la Madre Terra. Le terre indigene, in tutto il mondo, vengono saccheggiate. I nostri diritti intrinsechi vengono violati e il valore delle nostre vite è stato ridotto a nulla di fronte all’espansione dei combustibili fossili. Queste banche devono essere ritenute responsabili della copertura del costo della distruzione che causano al nostro pianeta.”

Il monito di Goldtooth nasce come manifestazione del profondo disagio dei nativi americani, le cui terre sono violentate dagli oleodotti che trasportano petrolio tra USA e Canada. Le sue parole, però, possono tranquillamente diventare le nostre. Tutti ci troviamo di fronte a questa amara realtà, non soltanto le comunità indigene. L’economia non può avere il sopravvento sulla salute del nostro pianeta e , di conseguenza, su quella degli esseri umani. Banking on Climate Chaos 2021 ci indica come, però, stia avvenendo proprio questo. Finché la grande finanza e i poteri economici forte sosterranno il fossile, sarà davvero difficile portare a compimento quella transizione energetica di cui il pianeta ha bisogno.

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di Mattia Mezzetti
Mar 31, 2021
Fanese, classe ’91, inquinatore. Dal momento che ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo, non si fa certo problemi ad ammettere che la propria impronta di carbonio sia, come quella della gran parte degli esseri umani su questo pianeta, troppo elevata. Mentre nel suo piccolo cerca di prestare sempre maggior attenzione alla questione delle questioni, quella ambientale, ritiene fondamentale sensibilizzare trattando il più possibile questa tematica.

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