Si può fare pace con la natura? Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente ha cercato di dare una risposta esaustiva a questa domanda in un suo recente report, pubblicato a febbraio. Una sfida, vista l’interconnessione tra l’ecosistema e l’attività umana, per provare a ritrovare l’equilibrio. Soltanto trasformando i sistemi economici e sociali, potremmo godere dei benefici necessari per capire il vero valore dell’ambiente. Lo studio sintetizza i risultati scientifici alla base della ricerca e si sofferma sullo sviluppo insostenibile, che degrada il pianeta, sull’incapacità dimostrata finora di limitare i danni e sulle prospettive condivise, per trovare una strategia che possa essere efficace.
Sviluppo incontrollato: come riuscire a fare pace con la natura
L’uomo ha sempre ambito al controllo totale sulla natura e la sua prosperità ha coinciso spesso con il depauperamento delle risorse del pianeta. La sopravvivenza del genere umano dipende da un equilibrio precario, che può essere mantenuto attraverso il bilanciamento tra ciò che prendiamo -e pretendiamo- e ciò che lasciamo, proteggiamo e ripristiniamo. Ed è per questo che si devono studiare i cambiamenti avvenuti negli ultimi due secoli: avere coscienza del mutamento che abbiamo causato e riuscire a trovare una soluzione. Proviamo a fare un esempio, per contestualizzare il nostro ragionamento che prenda in considerazione un arco di tempo più vicino a noi.
Negli ultimi cinquanta anni, l’economia globale è cresciuta di circa cinque volte. In che modo? Attraverso l’estrazione triplicata di risorse, che andavano a irrobustire la crescita. Nonostante i consumi, un dato dovrebbe far riflettere: la popolazione mondiale è duplicata, arrivando a 7,8 miliardi di persone. Di queste, 1,3 miliardi rimangono in uno stato di povertà e 700 milioni soffrono la fame. Lo sviluppo diseguale ha ampliato ancora di più la forbice sociale. Alla situazione di scarsità economica, si sono aggiunte problematiche a livello ambientale, che hanno esacerbato il disagio. Una delle risposte è quella di adottare delle strategie sul medio e lungo periodo, che aiutino a migliorare le condizioni sia della popolazione che dell’ambiente.
Obiettivi lontani
Sentiamo spesso parlare degli Accordi di Parigi del 2015 come di un passo importantissimo, che ha cambiato le modalità di porsi di fronte alla crisi climatica. I fatti, però, parlano chiaro: il mondo è sulla cattiva strada. Continuando di questo passo, nel 2100, l’aumento di temperatura media globale supererà i 3°C rispetto all’era preindustriale, il doppio rispetto al limite fissato durante il meeting internazionale. Oltre a questo metro di misura, esistono anche 17 obiettivi di Sostenibilità, decisi a livello di Nazioni Unite, che compongono un quadro di target fondamentali per la vita sul pianeta. Nessuno di quelli che vogliono proteggere la vita è stato raggiunto nella sua interezza. I processi di deforestazione e pesca selvaggia continuano indiscriminati, mettendo a rischio specie vitali per la catena alimentare.
Se da un lato sono stati fatti molti progressi, è innegabile non vedere quanti passi devono ancora essere compiuti, per ridurre l’inquinamento dell’acqua e dell’aria, dei prodotti chimici e riuscire a gestire il ciclo dei rifiuti. Tutto questo si riverbera sulla qualità dell’esistenza. Come abbiamo già accennato, il progresso non ha debellato la fame e la povertà. Il cambiamento climatico ne sta minando le fondamenta, aumentando il rischio di malattie legate all’impoverimento della biodiversità e al salto di specie, come è avvenuto con il Covid-19. Non solo. “Le ondate di calore, le inondazioni, la siccità ostacolano gli sforzi per costruire insediamenti umani inclusivi, resilienti e sostenibili” si legge all’interno del documento.
Cosa possiamo fare per fare pace con la natura
Arrivati a questo punto, potremmo essere presi dallo sconforto e constatare la disfatta. Invece di cadere nella tentazione di trovare una scappatoia al cambiamento, ecco che la ricerca offre alcuni spunti per affrontare al meglio il presente e progettare il futuro. La natura deve poter riprendere il suo spazio, attraverso l’espansione delle aree protette e l’inversione delle tendenze di degrado ambientale. Studiare gli effetti delle nostre azioni e affidarsi -e fidarsi- della scienza è, di sicuro, un ottimo primo step di responsabilità collettiva. La trasformazione deve essere sistemica: sociale, economica, politica e ambientale. Le competenze devono essere condivise per trovare le soluzioni migliori per rendere anche i momenti di crisi un’opportunità.
I governi dovrebbero iniziare a intercettare e prendere in considerazione parametri come la ricchezza inclusiva, che, in questo caso, sarebbero di gran lunga superiori alla contabilità del prodotto interno lordo. Si traccerebbe, così, il progresso economico sostenibile, in un’ottica di progresso strutturale e strutturato.
Tutti possono fare la propria parte
Arrivare a una conclusione unica sarebbe insufficiente e superficiale. Tutti gli attori sociali hanno ruoli tra loro complementari e interconnessi: l’impatto è diversificato, in base al tempo che si considera e agli strumenti che si utilizzano. Grazie alla cooperazione internazionale, alle politiche e a una legislazione in grado di regolare il passaggio a un futuro sostenibile, si possono guidare la società e l’economia. Gli individui possono facilitare questo percorso, imparando i concetti di sostenibilità ed esercitando il diritto di voto, ma anche imparando a non sprecare il cibo, l’acqua e l’energia e riducendo la propria impronta ambientale.