Compra una borraccia riutilizzabile, cambia la caldaia, sensibilizza i tuoi conoscenti sui cambiamenti climatici. In questo modo compierai azioni doverose, encomiabili e sopratutto utili. Ciò non toglie, però, che una larga parte della soluzione alla crisi climatica non stia solo nelle nostre mani, ma anche in quelle dei leader mondiali. Questi, infatti, possono decidere di investire ingenti quantità di soldi per il clima per attutire i già devastanti effetti della crisi. Oppure possono non spenderli, occultando la loro scelta e gonfiando i dati ufficiali. È quello che hanno recentemente fatto alcune nazioni ed enti, come la Banca Mondiale, per poter risparmiare soldi e usarli per altri più comodi progetti.
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I soldi per l’adattamento climatico
Uno dei punti previsti dagli Accordi sul Clima di Parigi era la messa a disposizione, da parte dei Paesi più benestanti verso quelli più poveri, di 100 miliardi di dollari americani all’anno. Di questi soldi, la metà sarebbero destinati alla mitigazione dei cambiamenti climatici. L’altra metà, invece, all’adattamento. Nei fatti ciò significa che 50 miliardi di dollari all’anno servirebbero alla realizzazione di progetti che aiutino i Paesi in via di sviluppo a interfacciarsi con le tragiche conseguenze del clima che cambia. Come ormai sappiamo, infatti, i Paesi più colpiti sono spesso anche quelli con meno risorse economiche, oltre che con meno responsabilità nell’innesco stesso della crisi.
Secondo le stesse Nazioni Unite, la cifra che dovrebbe essere investita per l’adattamento sarebbe già salita a 70 miliardi l’anno rispetto agli accordi del 2015. Non solo, potrebbe salire a 140-300 miliardi entro il 2030 e a 280-500 miliardi entro nel 2050. Ovviamente tutto dipende dall’efficacia, ma sopratutto dall’attuazione o meno delle misure di adattamento e prevenzione che gli Stati hanno promesso.
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Soldi per il clima gonfiati, ecco chi è stato
Di questo passo, però, non sembra che le suddette cifre possano migliorare. Un recente report della Associazione non governativa “CARE” ha messo in luce come gli Stati aderenti all’accordo di Parigi avrebbero speso soltanto 16,8 miliardi di dollari per l’adattamento, a fronte dei 50 miliardi dovuti. Alcuni di questi, poi, insieme ad altri Enti, avrebbero dichiarato di aver impegnato più soldi per progetti di adattamento di quanti ne abbiano realmente investiti. La somma non sarebbe infatti 16,8 miliardi, ma molto meno: soltanto 9,7 miliardi.
Gli Stati “colpevoli” di questa menzogna sono, secondo l’analisi di CARE, il Giappone, la Francia, la Corea e gli Stati Uniti. Gli altri enti sotto accusa, invece, sono le Banche per lo sviluppo di Asia e Africa, La Banca Mondiale e la Banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali. In coda, invece, abbiamo il Fondo per l’Investimento Climatico e il Fondo Internazionale per l’Agricoltura.
Un esempio? Il Giappone ha dichiarato di aver superato i finanziamenti che gli spettavano per l’adattamento al clima di oltre 1,3 miliardi di dollari. I progetti, però, includevano 432 milioni di dollari che non erano destinati a questo scopo. La Banca Mondiale ha dichiarato 832 milioni di dollari in totale, includendo 328 milioni del progetto Earthquake Housing Reconstruction in Nepal, che prevede la costruzione di infrastrutture e abitazioni resistenti ai terremoti. Il piano, però, è una risposta a un rischio sismico non correlato ai cambiamenti climatici. Certamente si tratta di un investimento comunque legittimo, ma sottrae risorse a un’area importante quale quella della resilienza climatica.
Come è stata svolta l’indagine sui soldi per il clima
La ONG CARE ha collaborato con le società civili di Ghana, Uganda, Etiopia, Nepal, Vietnam e Filippine per investigare sulle operazioni di 112 progetti di adattamento attivi in questi Paesi. Il team di valutazione ha attentamente esaminato la documentazione dei progetti e ha condotto interviste alle persone coinvolte (lavoratori, volontari, abitanti del luogo). Da qui sono emersi tre fattori.
- Gran parte dei finanziamenti per il clima è destinato a progetti che non hanno nulla a che fare con l’adattamento. Un esempio è Il “Nhat Tan Friendship Bridge” in Vietnam. Si tratta di un un impegno finanziario per la costruzione di un ponte che soddisfi il crescente traffico automobilistico di Hanoi. Il suddetto ponte collega il centro della città con l’aeroporto Noi Bai.
- I donatori esagerano la componente “adattamento climatico” dei loro progetti. Naturalmente il fatto che questa componente sia in parte presente non giustifica l’inserimento di un progetto nell’insieme della resilienza climatica, se questo è pensato per soddisfare principalmente altre esigenze. Abbiamo già menzionato il caso delle abitazioni anti-sismiche in Nepal.
- Un altro fattore che determina l’esagerazione dei dati è la segnalazione, da parte degli stati, dei prestiti a tasso di interesse fisso verso i paesi sottosviluppati. Queste concessioni sono senza condizioni (scadenze o tassi di interesse, appunto) che le rendono abbastanza vantaggiose per la Nazione che le riceve, tanto da essere considerate “aiuto pubblico allo sviluppo”. Di qui a finire dritti nella categoria “finanziamenti di adattamento” il passo è breve.

La quantità dei progetti esaminati è la dimensione del campione coperto dal progetto è molto alta. Non vi è quindi motivo di credere che i risultati della ricerca non siano validi per il resto dei finanziamenti per l’adattamento riportati dai paesi ricchi. Inutile dire che questa pratica non solo toglie risorse preziose ai Paesi che subiscono le conseguenze del cambiamento climatico innescato dai Paesi ricchi. Questi soldi talvolta vengono anche utilizzati per incrementare la crisi climatica (vedi il caso del ponte per favorire il traffico in Vietnam).
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Anche l’ONU ammette la falla. Le parole di Guterres
Se a molti potrebbe sembrare un report poco credibile, forse le parole del Segretario Generale dell’ONU lo sono di più. Certo, Guterres non ha esplicitato le eventuali frodi, ma ha sottolineato il fatto che entro il 2020 gli obiettivi finanziari dell’accordo di Parigi non saranno raggiunti. Una dichiarazione quindi che stride con la millantata virtù dei Paesi che avrebbero stanziato i fondi giusti, e anche maggiori, per l’adattamento.
“È chiaro che non siamo ancora arrivati all’obiettivo di 100 miliardi di dollari – ha detto Guterres. E continua: “Nel 2020 questo non accadrà. Tutti i segnali che ho mi fanno pensare che nel 2020 saremo al di sotto del livello di sostegno che gli enti pubblici e privati dei Paesi sviluppati dovevano devolvere a quelli in via di sviluppo per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici”.
Nell’Adaptation gap report 2020 dell’ONU il divario tra ciò che è stato promesso e ciò che è stato invece attuato è ben esplicitato. Vi sono stati dei progressi rispetto al passato, certo. Per esempio “dal 2006 nei paesi in via di sviluppo sono stati realizzati quasi 400 progetti di adattamento. Inoltre, mentre prima i finanziamenti raramente superavano i 10 milioni di dollari, dal 2017 per 21 nuovi progetti si sono raggiunti 25 milioni. Tuttavia, delle oltre 1.700 iniziative di adattamento esaminate, solo il 3 per cento ha già registrato riduzioni reali dei rischi climatici per le comunità comunità locali“.
Come ha ribadito Guterres, è doveroso ricordare che i Paesi del G20 rappresentano l’80% dell’economia globale. Della enorme quantità di denaro da loro posseduto, quello investito in attività industriali legate ai combustibili fossili è il 50% in più rispetto a quello stanziato per l’economia verde. Questo dimostra che l’aumento dei finanziamenti per questi progetti e il termine delle menzogne non solo sarebbero eticamente importanti, ma anche e soprattutto necessari per mitigare la crisi a cui tutto il mondo sta andando incontro.
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