Come ormai abbiamo imparato a comprendere, un’emergenza sanitaria, per quanto circoscritta nel tempo, ha conseguenze enormi in moltissimi altri settori della società. Questi effetti possono essere positivi, come per esempio la pulizia dell’aria a seguito della riduzione delle emissioni, ma anche molto negative, come il problema della raccolta e del riciclo dei rifiuti.
La sicurezza dei lavoratori
Mancanza di mascherine e di tamponi
Innanzi tutto vi è il pericolo per i lavoratori che, proprio come i dipendenti dei supermercati, i farmacisti, gli impiegati di banche e uffici postali e, ovviamente, i medici, svolgono un’attività ad alto rischio di contagio. Gli addetti al settore della raccolta e gestione dei rifiuti urbani e speciali sono 90 mila nel nostro paese e non tutti hanno a disposizione le misure preventive adeguate all’emergenza sanitaria in corso.
Più di due settimane fa, l’Associazione Imprese Servizi Ambientali “Fise Assoambiente” aveva chiesto al Governo di assicurare un adeguato rifornimento di questi dispositivi alle imprese del settore e di valutare in questa fase di emergenza misure fiscali sui DPI per supportare le aziende. Per quanto però molti comuni abbiano agito tempestivamente e in modo efficiente, fornendo ai lavoratori mascherine e tute protettive, molti altri hanno invece riscontrato problemi e ritardi, specialmente al sud.
Messina, Brindisi, Livorno
A Messina, per esempio, era stato lanciato un allarme da parte delle imprese di raccolta dei rifiuti per mancanza di adeguate protezioni, a cui è seguita una minaccia da parte dei sindacati di uno stop dell’attività. Un episodio simile è avvenuto a Brindisi dove la Cisl aveva richiesto già l’otto marzo maggiori protezioni per gli operatori.
Conseguentemente, Utilitalia, Confindustria Cisambiente, Alleanza delle cooperative italiane e FISE Assoambiente hanno provveduto a un protocollo d’intesa al fine di garantire la continuità di un servizio pubblico essenziale.
Solo ieri, però, a Brindisi il coordinatore territoriale del sindacato ha dovuto sollecitare questo bisogno. Anche se in quella zona, al momento, non è stato registrato alcun caso di COVID-19, sappiamo tutti quanto sia importante la prevenzione, specialmente in aree del Paese che non hanno gli strumenti per poter interfacciare una crisi sanitaria come quella che ha colpito la Lombardia.
Anche a Livorno non sono mancati problemi e proteste, sopratutto in seguito a un altro caso di COVID-19 nel settore dei rifiuti. I sindacati lamentano la mancanza di adeguate misure protettive e di tamponi per gli operatori. Anche le misure igieniche faticano ad essere aggiornate a fronte di un’emergenza. Per esempio la sanificazione dei mezzi, usati da tutti, è fatta in modo approssimativo ed artigianale senza che nessuno lasci un documento che certifichi la data della sanificazione e dei prodotti usati.
Rifiuti contaminati
Il pericolo per gli operatori deriva, oltre che dal contatto con colleghi e con chiunque incontrino durante l’orario di lavoro, anche da quello con i rifiuti stessi. Questi possono infatti provenire da case al cui interno vivono persone positive al virus. Per questo, sono state pubblicate dal Ministero della salute le norme di raccolta dei rifiuti da parte di chi è risultato positivo al tampone.
Chi è in quarantena obbligatoria, per esempio, non deve differenziare i rifiuti, i quali devono essere ben chiusi all’interno di due o tre sacchetti resistenti.Se invece non si è positivi, la raccolta differenziata può continuare come sempre, usando però l’accortezza, se si è raffreddati, di smaltire i fazzoletti di carta nella raccolta indifferenziata.

La difficoltà del riciclo
Vi è poi un’emergenza per quanto riguarda il riciclo dei rifiuti. Innanzi tutto sono aumentati quelli non riciclabili poiché gettati nella raccolta indifferenziata. Il materiale medico-sanitario, per esempio, ma anche gli scarti domestici. Questo causerà non pochi danni all’ambiente nei mesi futuri.
Non possiamo poi non menzionare il fatto che gli imballaggi da smaltire in questi giorni stanno notevolmente aumentando. Questo a causa dell’incremento degli acquisti online. In più, i cittadini iniziano a prediligere l’acquisto di oggetti e alimenti che siano ben protetti da pesanti imballaggi, snobbando quelli sfusi.
Il Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi) ha lanciato l’allarme riguardo al rallentamento o blocco di alcune attività industriali che causano l’inceppo delle filiere della raccolta differenziata. Gli stoccaggi sono saturati e gli impianti di riciclo e smaltimento hanno subito un notevole rallentamento. La situazione è ancora più fragile al Sud, poiché quest’area del Paese è dotata di un minor numero di impianti. Questo può avere conseguenze gravissime sul riciclo dei rifiuti non solo aziendali ma anche urbani.
La plastica
Come riporta nel dettaglio il Sole 24 Ore, esiste un materiale plastico di difficile riciclo: il Plasmix. L’unico modo per riciclare questo materiale è nei cementifici, che lo usano come collante. Con la chiusura di questi ultimi, il Plasmix azzera le sue possibilità di essere smaltito in modo ecologico. Quanto alla plastica riciclata, che ammonta al 45,5% del totale di quella consumata, solitamente viene esportata in quantità significative. Tali esportazioni però sono al momento sospese. Infine la plastica riciclata in Italia è destinata specialmente all’industria del giocattolo e dell’arredo urbano. Queste aziende oggi sono chiuse perché non sono considerate essenziali.
Acciaio, alluminio e carta
Per l’acciaio e l’alluminio, vi è il problema della chiusura di quasi tutte le acciaierie e delle fonderie italiane che non possono più riutilizzare questi materiali. Per il riciclo della carta vi sono invece difficoltà di tipo logistico. Mancano infatti i cosiddetti “ritornisti” ovvero persone disposte a compiere viaggi a vuoto ritornando dopo le consegne del materiale da riciclare.
Quali soluzioni?
In risposta a questi problemi, il Ministero dell’Ambiente ha proposto quattro soluzioni immediate.
Aumento degli stoccaggi
Innanzi tutto l’aumento della capacità degli stoccaggi e quindi delle misure di sicurezza in vista di una maggiore quantità di rifiuti. Si alza infatti il rischio di incendi o di infiltrazioni ma anche di emissioni di gas tossici. Saranno poi raddoppiati i permessi per quanto riguarda il periodo di stoccaggio consentito dalla legge.
Una combustione più efficiente
E’ stata anche aumentata la soglia massima di capacità termica per gli inceneritori, al fine di consentire una combustione intensiva e in tempi più brevi. Inoltre, una priorità alla combustione sarà data ai rifiuti provenienti dalle abitazioni in cui sono stati registrati casi di COVID-19.
Le discariche urbane poi fungeranno da temporaneo spazio di stoccaggio dei rifiuti urbani, indifferenziati o differenziati.

Le discariche urbane
A questo proposito, bisogna anche sottolineare il fatto che molti comuni hanno deciso di chiudere le discariche urbane, sopratutto in quelli maggiormente colpiti dall’epidemia di COVID-19. Per citarne alcuni, il comune di Torre Boldone e di Sovere nella bergamasca e quello di Gessate nel milanese. La chiusura delle piattaforme ecologiche, per quanto necessaria, causerà molti problemi di smaltimento dei rifiuti pesanti, anche domestici, per non parlare di quelli aziendali delle attività strategiche.
Un’ occasione per cambiare
Il problema della gestione dei rifiuti durante una simile emergenza è l’ennesimo campanello di allarme e, forse, un’ennesima occasione per ripensare le nostre abitudini. Dovremmo infatti chiederci se vale la pena, a emergenza finita, continuare ad utilizzare le risorse in modo eccessivo. I rifiuti, infatti, derivano spesso da prodotti atti a soddisfare i nostri più futili capricci, oltre che quelli delle più grandi aziende inquinanti.
La pandemia di coronavirus durante la quale ci stiamo dimostrando incapaci di gestire i rifiuti dovrebbe portarci a realizzare che l’essere umano non è invincibile. Anzi, continuando a vivere con le stesse abitudini di sempre, non saremo in grado di far fronte ai problemi futuri di simile, se non peggiore portata. Magari non giungeranno in veste di pandemia, bensì sotto forma di catastrofe naturale o ondate migratorie conseguenti ai cambiamenti climatici. Per questo consumare meno, produrre meno e, quindi, dover smaltire meno sarà l’unica chiave per evitare che la storia si ripeta.