Per la prima volta dopo 17 anni quest‘estate i cacciatori di balene islandesi interrompono la loro attività. Dall’altra parte del mondo, invece, dopo 31 anni la caccia alle balene a scopi commerciali ricomincia. Con questa decisione il ministro della Pesca giapponese Takamori Yoshikawa ha voluto puntare a un ritorno dell’attività e, quindi, a quello del commercio di carne di balena.
Una pratica di lunga data
In realtà la caccia alla balena è sempre stata praticata in Giappone, anche dopo la moratoria del 1986 dell‘ International Whaling Commission. Questo è un organo internazionale che si occupa, appunto, di proteggere le balene e limitarne la caccia. Sia il Giappone che l’Islanda ne facevano parte, anche se entrambe le nazioni sono sempre riuscite ad evitare penali. I due paesi, infatti, hanno continuato a cacciare balene con la scusa di farlo per scopi scientifici. Tali fini pero‘ si sono rivelati tutt’altro che reali. Il Giappone uccideva ogni anno dalle 200 alle 1200 balene e l’Islanda 700, un po’ troppe per delle semplici analisi scientifiche.
I richiami e lotte da parte degli ambientalisti crescevano sempre di più, soprattutto da parte di Greenpeace. L’associazione già nel 1975 lanciò la sua campagna contro la caccia alle balene, affrontando le baleniere in mare aperto, fermando gli arpioni con i gommoni e portando per la prima volta le immagini di questa terribile e inaccettabile caccia. Le balene sono infatti in cima alla catena alimentare degli oceani e la loro scomparsa ne comprometterebbe l’equilibrio e la biodiversità. Inoltre, sono animali già a rischio estinzione, che non andrebbero cacciati in grandi quantità bensì tutelati. Il Giappone, di tutta risposta, tentava di convincere la Commissione che la caccia alle balene per scopi commerciali potesse essere regolata e, quindi, sostenibile.
Una decisione drastica
Le richieste dello Stato nipponico non sono però state ascoltate. Di conseguenza, alla fine dell’anno scorso il Giappone ha deciso di togliersi definitivamente dalla Commissione annunciando che dal 1 luglio avrebbe ripreso la caccia alle balene a scopi commerciali. E così è stato. Proprio ieri, lunedì 1 luglio, sono salpate cinque navi con gli arpioni nascosti sotto i teloni dal porto di Kushiro nel nord del Giappone. Altre tre, invece, sono partite da Shimonoseki nel sud-ovest dell’arcipelago.
Il vero motivo di questa decisione resta pero ancora oscuro, visto che la domanda di carne di balena e drasticamente diminuita negli ultimi anni. Infatti, negli anni Sessanta in Giappone si consumavano 200 mila tonnellate di carne di balena all’anno, mentre in anni recenti si è arrivati a 5 mila tonnellate. L‘unica spiegazione plausibile potrebbe essere quella del mercato nero, che in questo modo verrebbe supportato dallo Stato.
Quando le nostre scelte contano
L‘Islanda dal canto suo, dopo aver registrato lo stesso trend negativo, la settimana scorsa ha rinunciato alla caccia in questa stagione, per la prima volta dal 2003. Gunnar Bergmann Jónsson, CEO della compagnia di whaling IP Útgerð, ha affermato che la sua compagnia preferirebbe evitare la caccia alle balene per concentrarsi invece sui cetrioli di mare. La compagnia, tuttavia, importerà carne di balena minke dalla Norvegia per soddisfare la poca richiesta in Islanda e, probabilmente, inizierà a cacciare nuovamente le balene minke nella primavera del 2020.
Questi episodi sono l’ennesima prova del fatto che noi in quanto consumatori possiamo realmente cambiare le cose. I cacciatori e commercianti certo non guardano in faccia alle persone e men che meno agli animali e al pianeta. Sono i nostri soldi e il modo in cui scegliamo di spenderli a darci un potere che nemmeno i più grandi leader possono ignorare.