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Gli oceani si sono ammalati

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Sembrava impossibile ma ci siamo riusciti

Gli oceani stanno soffocando e si stanno riscaldando molto più velocemente di quanto previsto; e c’è di che preoccuparsi. A lanciare l’allarme la rivista “Science”. Il 2018 è stato l’anno più caldo mai registrato. Ad oggi si stima che siano stati loro ad assorbire il 93% del calore che abbiamo prodotto dal 1860, con le nostre emissioni di gas serra. L’acqua infatti ha una capacità termica 3500 volte superiore a quella dell’aria e si stima che, prima di vedere gli effetti causati da un determinato evento come il riscaldamento globale, possano passare 50 anni. Se a questo sommiamo lo stress causato dalla pesca intensiva e dall’immensa quantità di sostanze tossiche che raggiungono i mari ogni giorno tramite i nostri fiumi inquinati, non risulta difficile capire quanto la loro salute sia compromessa.

Gli oceani: i polmoni del pianeta

L’acqua ricopre il 73% della superficie terrestre. Un dato che già da solo mostra l’importanza che il loro benessere ha su quella del pianeta. Sono loro infatti ad assorbire la maggior parte della CO2 presente in atmosfera, rilasciando allo stesso tempo ossigeno. Insieme alle grandi foreste pluviali gli oceani sono infatti il grande polmone del pianeta, e non possiamo permetterci di ignorare la loro salute. I mari stanno lanciando segnali di allarme, e non possiamo ignorarli. Comparsa di zone morte, perdita dei coralli e calo verticale della popolazione degli ecosistemi sono solo alcuni dei sintomi di una malattia che potrebbe avere conseguenze di proporzioni mai sperimentate dall’essere umano. L’inerzia termica degli oceani prevale infatti sul comportamento dell’atmosfera.

gli oceani

Cos’è una Dead Zone?

Le “Dead Zone”, sono delle porzioni di mare in cui si verifica il fenomeno di “ipossia”, ovvero una riduzione dell’ ossigeno presente nell’acqua. La creazione di una “zona morta” è la peggiore delle malattie che può colpire un’area marina, in quanto l’intero ecosistema che supporta non riesce a sopravvivere ed è quindi costretto a migrare o morire, lasciando vaste aree deserte. Oltre al riscaldamento globale la causa principale sono gli scarichi inquinanti che riversiamo continuamente in mare. In questo modo si avvia un fenomeno di “eutrofizzazione”: un aumento di nutrienti chimici nell’acqua che causa un’eccessiva formazione di alghe, costrette ad accaparrarsi tutto l’ossigeno presente nell’area per sopravvivere. Una delle più vaste si trova, infatti, nel Golfo del Messico, dove sfociano i fiumi inquinatissimi degli Stati Uniti. Ad oggi si possono contare almeno 146 “Dead Zone” nel pianeta, alcune permanenti ed altre stagionali. Nel 1960 ancora non ne esisteva nemmeno una.

Quali soluzioni per gli oceani

Oltre a una diminuzione delle emissioni di gas serra e della quantità di rifiuti scaricati in mare, una delle principali soluzioni per salvaguardare la sopravvivenza degli ecosistemi marini è stata individuata già da diversi anni da Sylvia Earle, la più importante biologa marina ancora in vita. In un documentario del 2008, Mission Blue, Sylvia individua gli “hope spots”, o luoghi di speranza, come la più credibile delle soluzioni. Ai tempi del documentario le aree marine protette erano infatti solo l’1.84% della superficie dei mari. Ad oggi la situazione è lievemente migliorata, con la percentuale che è salita al 7.44%. (Dati ONU). Un dato che sicuramente fa ben sperare ma che non sembra abbastanza buono. La percentuale di aree protette su terra ferma, che a sua volta costituisce solo un quarto della superficie del pianeta, è infatti del 14.5 %. Quasi il doppio. E’ giunta l’ora di iniziare a fare i conti anche con la salute dei mari, per troppo tempo utilizzati e sfruttati senza freno come se niente potesse indebolirli. Anche gli Oceani si possono ammalare, ora lo sappiamo. E il nostro benessere dipende dal loro.

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di Luigi Cazzola
Mar 6, 2019
Nato nel 1991 a Fano, laureato in Lingue e Comunicazione. Marketer di professione e diverse esperienze all’estero alle spalle. Da ormai qualche anno ambientalista convinto, a Settembre 2018 arriva la svolta che stava aspettando. Viene selezionato per il “Corso di Giornalismo Ambientale Laura Conti”, dove può finalmente approfondire tematiche relative tanto al giornalismo quanto all’ambiente. Fermamente convinto che la lotta al cambiamento climatico sia la più importante battaglia della sua generazione, decide di mettere le competenze acquisite al servizio di tutti per accrescere la consapevolezza legata a questo tema e fornire consigli pratici per orientare le scelte dei singoli verso un approccio più green grazie ad un consumo più critico e consapevole. Per L’Ecopost si occupa di redazione di contenuti, sviluppo Front-End e comunicazione sui Social Media.

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