La rilevazione
Andrew Thurber è uno scienziato, un ricercatore presso l’università statunitense di Oregon State. In questi giorni si è detto “molto preoccupato” in quanto ha rilevato, insieme al suo gruppo di studio e ricerca che si occupa di Antartide, una perdita di metano attiva sul fondale dell’oceano che circonda il continente ghiacciato.

La motivazione di questa fuoruscita rimane un mistero. Non siamo a conoscenza del motivo per cui il gas sia fuoriuscito. La rilevazione è avvenuta nel braccio di oceano denominato Mare di Ross, una zona che la squadra di Thurber non ritiene vittima del surriscaldamento globale, per ora. Gli scienziati, però, si basano su dati risalenti al 2016, quando si sono recati in loco. Da quell’anno in avanti, il loro lavoro si è svolto esclusivamente in università. All’interno di un laboratorio molto lontano dall’Antartide.
Disgelo e perdita di metano in Antartide, i precedenti storici
Il timore degli scienziati è che questa perdita sia riconducibile a precedenti storici poco entusiasmanti. Dodicimila anni fa, al termine della cosiddetta Era Glaciale, la ritirata improvvisa e massiccia dei ghiacciai provocò consistenti emissioni di gas metano. Ciò fu dovuto all’azione di dissolvimento delle masse solide, ghiacciate, che liberarono numerose strutture, disseminate sul fondale del mare Artico, contenenti metano. La paura è che questo rilevazione possa essere una prima fase della ripetizione di questo fenomeno.
La fuga è stata individuata ad una profondità di circa 10 metri. La localizzazione precisa riporta le coordinate di Cinder Cones, nel McMurdo Sound. Il team di Thurber alla OSU è convinto che in quelle acque siano conservate enormi quantità di gas metano. Le pareti di ghiaccio le terrebbero imprigionate a quelle latitudini. Se però esse dovessero sciogliersi a causa dell’aumento della temperatura dell’acqua, le perdite gassose aumenterebbero rapidamente.
Nel preciso momento in cui si scrive, non si riscontra un riscaldamento così significativo, nel Mare di Ross, da poter avvalorare questa tesi. Il rilascio di gas, dunque potrebbe essere dovuto ad altre cause. Il collegamento tra la perdita e il surriscaldamento, ad oggi, è puramente teorico.
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I microbi testimoniano la sofferenza del Pianeta
Che ci fosse qualcosa che non andava, a Cinder Cones, era stato già scoperto nel 2011. Alcuni sub immersi in quelle acque, infatti, si accorsero che la concentrazione di metano nell’acqua era troppo elevata. Passarono però ben 5 anni prima che fosse assemblata una squadra di scienziati – quella guidata da Thurber – e la si inviasse a studiare dettagliatamente il fenomeno.
Le loro osservazioni non sono troppo positive. Andrew Thurber ha affermato: “La scoperta più importante è il ritardo nel consumo del metano. Non è una buona notizia. Nella maggior parte degli oceani, quando fuoriesce metano dal fondale, viene consumato dai microbi sedimentati sul fondo o nella colonna d’acqua sopra la fuga. La lenta crescita dei microbi nel sito di Cinder Cones e la sua profondità, però, significano che il metano si diffonderà quasi sicuramente nell’atmosfera.” I microbi sono fondamentali nell’indicare lo stato di un giacimento gassoso. La presenza di una distesa di microbi bianchi lunga oltre 70 metri attesta la fuoriuscita. La riserva di gas potrebbe avere migliaia di anni.
Il motivo per il quale i microbi non riescono ad arrestare la fuoriuscita sarebbe che il metano sta consumando le alghe le quali formano i sedimenti ove questi agenti bianchi si annidano. Qualunque sia però la causa, su cui anche gli scienziati si stanno interrogando, la situazione non potrà che aggravarsi se il flusso del gas non sarà arrestato.
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La perdita di metano in Antartide, i motivi di preoccupazione
“Ci sono voluti più di 5 anni prima che i microbi si manifestassero e, nonostante ciò, il metano fluiva rapidamente dal fondale marino. La grande domanda da farsi è: quanto è grande il ritardo dei microbi rispetto alla velocità con cui potrebbero potenzialmente formarsi nuove perdite?” In queste parole di Thurber ben si coglie la sua principale preoccupazione. Il timore è che la microfauna marina non riesca ad arrestare questa ed eventuali prossime esfiltrazioni gassose. “Potrebbero volerci anche 5 o 10 anni prima che una comunità di microbi si adatti completamente e inizi a consumare metano.” Ha concluso lo scienziato americano.

Dunque per un decennio il metano potrebbe trasferirsi dall’acqua all’aria, passando nell’atmosfera per evaporazione. Questo dato è molto preoccupante perché, come sappiamo, il nostro pianeta ha già un grave problema di emissioni, dovuto in larga parte alle attività umane. Mentre aumentano i motivi di preoccupazione, la comunità internazionale continua a fare troppo poco per affrontare questa battaglia che ci riguarda tutti. Chiunque voglia approfondire la ricerca di Thurber e dei suoi due assistenti, Sarah Seabrook e Rory M. Welsh, può farlo sulle pagine della Royal Society Publishing, in lingua originale.