Sono passati quattro anni dalla scomparsa di Giulio Regeni, ricercatore italiano torturato e ucciso al Cairo fra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016. Da allora, il percorso per trovare la verità sulla sua vicenda non si è mai fermato, soprattutto grazie alla tenacia dei familiari, della loro avvocata Ballerini e di Amnesty International. Il silenzio più pesante resta però quello della politica italiana. La ricerca della verità sul caso Regeni è infatti ostacolata dagli ottimi rapporti economici e commerciali che l’Italia ha con l’Egitto. In particolare, la posizione di ENI nel paese e la nostra dipendenza dal gas e dal petrolio egiziano precludono una netta presa di posizione che rispecchi i principi dello stato di diritto e il rispetto dei diritti umani.
4 anni senza Giulio Regeni
I genitori di Giulio, Paola e Claudio, hanno appena pubblicato un libro dal titolo Giulio fa cose. Nel testo ricordano il figlio nei suoi momenti più riservati, ma allo stesso tempo ribadiscono che la loro battaglia per la verità è “per tutte le Giulie e i Giuli del mondo”. Infatti, Giulio era un ragazzo brillante, conosceva 6 lingue e aveva alle spalle un passato di viaggi; come tanti altri coetanei era stato costretto a lasciare l’Italia per cercare lavoro altrove. La sua morte è legata alle ricerche che stava svolgendo sui sindacati indipendenti egiziani. Il governo di Al Sisi ha ammesso di aver tenuto Regeni sotto sorveglianza, ma ha sempre negato il proprio coinvolgimento nell’uccisione del ragazzo italiano. Perché la sua storia riguarda tutti noi?
Per trovare la risposta possiamo partire dalle interessanti riflessioni di alcuni ricercatori italiani e britannici, raccolte nel libro Minnena. L’Egitto, l’Europa e la ricerca dopo l’assassinio di Giulio Regeni. In uno dei capitoli, Elisabetta Brighi sostiene che “la giustizia per Giulio è stata sacrificata sull’altare dell’interesse nazionale”. Pochi mesi prima dell’uccisione di Regeni, L’ENI aveva scoperto il giacimento Zhor: l’azienda stessa l’ha definito “la più grande scoperta di gas mai effettuata nel Mediterraneo”. Il 21 febbraio 2016, esattamente 18 giorni dopo il ritrovamento del corpo di Giulio, il Ministero del Petrolio egiziano ufficializzò l’assegnazione del giacimento a favore dell’azienda italiana.
L’ENI e gli interessi italiani in Egitto
Il giacimento di Zhor ha svolto da allora un ruolo fondamentale nel rapporto fra l’Egitto e l’Italia. Nella conferenza stampa di inaugurazione, l’amministratore delegato di ENI Descalzi ha dichiarato che il nuovo contratto è frutto di “un matrimonio di lunghissima data”: “l’Egitto vede l’Italia come una nazione amica e vede l’Eni come il primo partner”. I dati del 2019 confermano questo connubio con un incremento in tutti i settori, dall’energia all’importazione di armi. Un articolo de Il Manifesto riporta una crescita del 31% nel 2019 per quanto riguarda le importazioni di prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio e del +200% nelle importazioni di gas naturale.
Fridays For Future Italia ha di recente denunciato le politiche dell’azienda petrolifera italiana con il lancio dello slogan #EniKiller. ENI era già stata presa di mira dal movimento per la giustizia climatica a causa della campagna Eni+1, che è costata all’azienda 5 milioni di multa per pubblicità ingannevole. Gli attivisti di Fridays For Future non si sono però fermati qui: hanno denunciato l’irresponsabilità degli investimenti presenti e futuri. Stando alle loro stime (riassunte in foto), ENI prevede 140 nuovi pozzi nel 2022 e 6,5 miliardi di investimenti nello sviluppo di riserve di idrocarburi, a fronte di soli 143 milioni per nuovi progetti di energia rinnovabile.
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La campagna di Fridays For Future: #EniKiller
I ragazzi che scioperano per il clima hanno anche rischiato di essere a loro volta denunciati; nella notte del 24 gennaio hanno imbrattato di volantini i vari distributori ENI di 25 città italiane. Il cartello recitava: “Chiuso per crisi climatica”. Inoltre, hanno dedicato lo sciopero dello scorso venerdì interamente alla questione ENI, perché non accettano più la sottomissione della politica italiana agli interessi economici che distruggono il pianeta. La loro protesta è diventata virale dopo l’uscita della notizia sull’educazione ambientale nelle scuole: la formazione sul cambiamento climatico, inizialmente promossa dall’ex ministro dell’istruzione Fioramonti, sarebbe di recente stata affidata ad ENI.
La vicenda di Giulio Regeni si inserisce in questo quadro politico, ancora fortemente legato agli interessi economici e sottoposto ad una logica di profitto a breve termine. Ciò che è successo al giovane ricercatore riguarda tutti noi: non è ammissibile trascurare la morte di un cittadino italiano in nome di un “interesse nazionale” che, nel 2020, risponda ancora a dei principi di mero profitto e totale insostenibilità ambientale. Le varie campagne che promuovono la ricerca della verità per Giulio sono finora state promosse da organismi della società civile, come Amnesty International. Anche Banca Etica ha di recente dedicato la sala riunioni della sua sede principale a Giulio, augurandosi che il 2020 sia l’anno in cui la verità venga finalmente alla luce.
La politica e l’ “interesse nazionale”
L’unico segnale di speranza da parte della politica è arrivato ad aprile 2019, con l’istituzione di una Commissione d’Inchiesta sul caso Regeni, fortemente voluta dal Presidente della Camera Fico. Alla Commissione della Camera sono stati dati 12 mesi di tempo per indagare “fatti, atti, condotte omissive che abbiano costituito ostacolo, ritardo o difficoltà all’accertamento giurisdizionale”. È ormai certo che le autorità egiziane abbiano avuto un ruolo principale in questa vicenda. Non si capisce come il lavoro della Commissione possa arrivare a certificare ciò e allo stesso tempo mantenere i solidi rapporti economici-commerciali sopra descritti.
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Il ritiro dell’ambasciatore italiano in Egitto sarebbe il minimo per rispettare il dolore dei familiari e dare un senso di credibilità a questa inchiesta. Dal canto loro, i cittadini possono aderire alla campagna per la verità e denunciare le politiche scellerate del nostro paese in materia ambientale. Non si può più giustificare l’operato dell’ENI con la semplice retorica “dà lavoro a molti italiani”; quei 6 miliardi e mezzo investiti per nuove esplorazioni potrebbero aggiungersi ai miseri 143 milioni dedicati alle energie rinnovabili. Inoltre, il caso Regeni presenta un chiaro esempio di violazione dei diritti umani. Come scrisse il direttore di Limes Lucio Caracciolo: “nessun paese può accettare che un suo cittadino sia rapito e massacrato dalla polizia di un altro Stato fermandosi alle proteste verbali. Se lo facesse, perderebbe ogni credibilità come partner politico ed economico”.
“Verità per Giulio Regeni”
Il nostro blog aderisce quindi alla campagna “Verità per Giulio Regeni” perchè si tratta di una vicenda dagli evidenti risvolti etici e ambientali. Chiedere verità per Giulio significa domandare un nuovo paradigma economico, energetico e sociale, che metta al centro le persone e l’ambiente, prima di ogni calcolo economico. Per Giulio, e per tutte le Giulie e i Giuli che abitano e abiteranno questo mondo.
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