Si usa, si inquina, si spreca. Chi ne ha ancora a disposizione tenta di trarne il maggior profitto possibile, mentre aumentano le aree in cui si soffre la sete. Parlare di acqua significa approfondire un tema che riguarda tutti: delle potenzialità di un bene definito “oro blu” e delle conseguenze che sta portando la sua scarsità o, peggio, la sua totale assenza. È un diritto universale, sancito come fondamentale dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che garantisce l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari. Perché non si tratta solo di una questione di accesso al bene, ma anche di stabilità geopolitica e lotta alla crisi climatica.
Quanta acqua c’è?
Dipende da cosa si vuole considerare. Ricopre il 71% della superficie del pianeta, ma quella dolce è solamente il 3,5% del totale. Circa 11 milioni di chilometri cubi. Di questa, non tutta è utilizzabile. Sfruttabile, infatti, è meno dell’1%, visto che il resto si trova allo stato solido. Insomma, il problema, in molti luoghi, è trovare acqua potabile. Monitorarne l’utilizzo è compito di molti istituti internazionali e nazionali. Leggere le ricerche può aiutare a navigare meglio nel mare di informazioni che riguarda l’oro blu.
Quando non c’è acqua
L’acqua è una risorsa scarsa. Bisogna partire da questa constatazione, per riuscire ad affrontare le sfide, prima che si superi il punto di non ritorno. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha indicato nel suo report del 2020 che 3,2 miliardi di persone vivono in aree agricole con (indici di) scarsità d’acqua da elevata a molto elevata. I fattori che concorrono alla capacità o meno di un paese di affrontare il problema sono diversi e dipendono dalla sua posizione geografica, dal livello di sviluppo e dalle strutture politiche e sociale, le quali permettono o meno uno sviluppo delle tecnologie e di buona amministrazione della risorsa. Uno studio dell’Istituto Internazionale per l’analisi dei sistemi applicati (IIASA) ha stimato che circa la metà dell’intera popolazione globale vive già in aree colpite da carenza del bene almeno per un mese all’anno e le proiezioni dicono che, entro il 2050, le difficoltà di reperimento e accesso arriveranno a toccare circa cinque miliardi di persone. Di queste, più del 70% sarà nel continente asiatico.
Water Wars
Una delle conseguenze più devastanti si chiama Water Wars: sono le guerre che si scatenano per contendersi le fonti di approvvigionamento idrico. Immaginiamo che un territorio abbia accesso limitato all’acqua per un periodo prolungato di tempo. Gli abitanti preferiranno conservarla per i bisogni primari. Se possiedono un terreno agricolo, non riusciranno più a produrre ciò che dà loro sostentamento, togliendola anche al bestiame. Questa situazione di instabilità può portare a conflitti e ad accaparramenti illeciti, il cosiddetto “water grabbing” (vedi qui cos’è il land grabbing). Si tratta del controllo o della deviazione a proprio vantaggio delle risorse idriche, da parte di un potere, che sia governo, un’autorità o un attore privato. Nei casi peggiori, si arriva allo scontro armato, in particolare quando riguardano corsi d’acqua transfrontalieri. Due o più Stati, infatti, possono essere riforniti dallo stesso fiume. Ma uno di essi può decidere di bloccarlo, per esempio, attraverso delle dighe, che ostruiscono il passaggio. Questi nuovi bacini servono sempre di più per il rifornimento non solo idrico, ma anche energetico o per scopi privati e industriali. Le dispute sono solitamente risolte attraverso un concordato, ma alcune volte – e sempre di più, dato l’aumento della popolazione mondiale – non sono arginabili.

Acqua in borsa
No, non stiamo parlando della borraccia che portiamo quando usciamo di casa. L’acqua è stata quotata in borsa. Significa che è lecito speculare su questo bene primario. La notizia riguarda lo Stato della California e aveva destato particolare scalpore, ma secondo gli esperti del CME, azienda statunitense che si occupa di titoli future, questo passo è necessario per consentire una migliore gestione del rischio futuro legato a essa.
In Italia, nel 2011 si è votato un referendum per estromettere i privati e il profitto dal settore, ma le politiche sono andate in un’altra direzione, rafforzando la gestione di aziende multiservizio quotate in borsa.
Navigare in acque inquinate
Le fonti idriche sono messe a repentaglio anche dall’inquinamento, che può danneggiare l’acqua, la flora e la fauna. Le sostanze tossiche possono essere immesse direttamente all’interno del bacino idrico – attraverso scarichi illegali – oppure confluirci indirettamente, dopo aver contaminato l’aria o il suolo.
I problemi che ne scaturiscono sono molteplici: l’avvelenamento di specie acquatiche, l’alterazione degli ecosistemi, la diffusione di malattie. L’Institute for Health Metrics and Evaluation ha stimato che nel 2017 siano morte prematuramente 1,2 milioni di persone – in particolare bambini sotto i 12 anni – per “cause direttamente connesse all’acqua insalubre”.
L’inquinamento da plastica è un altro flagello. Il 10% del materiale prodotto ha raggiunto le superfici fluviali o marine mondiali. E così le plastiche rimangono e diminuiscono di dimensione, galleggiando in superficie o scendendo nei fondali. Avevamo approfondito la questione attraverso due articoli, riguardanti lo Stretto di Messina e le spiagge di Bali, in Indonesia.
Quando il livello si alza
Sembra non ci possa essere un equilibrio tra il troppo e il troppo poco. Gli effetti, in entrambi i casi, sono devastanti. Perché se non avere acqua potabile infligge un danno all’uomo e all’ambiente, la devastazione portata da eventi estremi è comunque pesante da calcolare. Per capire l’entità del danno provocato da alluvioni, inondazioni e piogge torrenziali è utile consultare il recente Atlante della mortalità e della perdita economica dovuta a eventi estremi, pubblicata dall’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO).
Mami Mizutori, vice segretaria generale all’Ufficio dell’Onu per la riduzione del rischio di disastri, è chiara durante la presentazione del report: «Purtroppo non siamo in un posto sicuro e il rapporto ci dice che la tendenza per i prossimi 50 anni è abbastanza allarmante. Per darvi alcune statistiche, l’anno scorso 31 milioni di persone sono state sfollate a causa di disastri. Ora, il numero di persone sfollate per disastri sta diventando quasi più grande del numero di persone sfollate per conflitti».
La situazione mondiale
In Asia, tra il 1970 e il 2019 – lasso di tempo preso in considerazione dalla WMO -, ci sono stati 3454 disastri naturali, che hanno causato la morte di quasi un milione di persone. Il 45% di questi eventi erano alluvioni, il 36% a tempeste. Anche in Africa, il 60% delle calamità è rappresentato dalle alluvioni, ma è la siccità a preoccupare, visto che ha causato il 95% delle 730mila vittime del continente.
Nel continente Sudamericano sono stati registrati 867 disastri, che hanno causato circa 57mila morti, il 77% delle quali durante alluvioni. In nord America, America Centrale e Caraibi si riportano 1977 eventi estremi, che hanno portato alla scomparsa di 74839 persone. Numeri simili, per quanto riguarda la regione del Sud-Est Pacifico: 1407 catastrofi, con la conseguente perdita di più di 65 persone.
Infine, in Europa sono stati registrati 1672 disastri, con circa 160mila decessi. Le cause prevalenti sono state alluvioni e tempeste.
Crisi climatica: avremo l’acqua alla gola
Se questi numeri ci raccontano degli ultimi cinquant’anni, è bene anche soffermarsi su quelle che saranno le prospettive future. Se le previsioni per il 2050 ipotizzavano che il livello del mare si sarebbe alzato così tanto da ricoprire zone costiere dove vivono almeno 150 milioni di persone, ora si è ricalibrato al ribasso del 30%, rimanendo comunque una prospettiva preoccupante.
Il “Piccolo atlante dell’acqua” (Clichy edizioni, 2021) si sofferma su questo punto cruciale. “Con un aumento di 4°C verrebbe inondato il 76% della superficie di Shangai, il 60% della superficie di Hanoi, il 51% della superficie di Calcutta, il 46% di Hong Kong, il 24% di Rio de Janeiro e il 23% di New York. E Venezia? Insieme ad Amsterdam, Bangkok, Amburgo e San Pietroburgo verrebbe quasi interamente sommersa”. Ecco perché è tempo di agire prima che sia troppo tardi.
Cosa si può fare?
Tre sono i verbi che possono aiutare: conoscere, risparmiare, scegliere.
Conoscere alcuni dati non solo permette di avere un’ancora sulla realtà, ma invita ad approfondire ulteriormente. Inoltre, la regolamentazione a livello nazionale e internazionale sancisce dei diritti e dei doveri: dalla Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino alla Direttiva quadro sulle acque, fino ad arrivare ai Documenti diramati ogni 22 marzo, Giornata mondiale dell’Acqua.
Risparmiare: non eccedere nel consumo, con modalità di rifornimento ecosostenibili e imparare a usarla consapevolmente.
Scegliere: prodotti da filiere che stiano attente alla quantità di acqua utilizzata e che non inquinino le falde e i bacini idrici, richiedere chiarezza sull’uso della risorsa e sulla sua dispersione.