Si stima che, ogni anno, dai fiumi si riversino nell’oceano da 1,15 a 2,41 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Più della metà di questa plastica è meno densa dell’acqua, perciò non affonda quando è nel mare. Quella più resistente può galleggiare nell’ambiente marino e può essere trasportata su lunghe distanze; persiste sulla superficie del mare mentre si fa strada al largo, con le correnti. Infine, si accumula in un’area generata da un vortice: un’isola di plastica.

Una volta che queste plastiche entrano nel moto rotatorio, probabilmente non lasceranno l’area fino a quando non si degraderanno in pezzi minuscoli. Infatti, con l’effetto del sole, delle onde e della vita acquatica, il materiale si trasforma in particelle, generalmente più piccole di un millimetro, denominate microplastiche. Poiché sempre più materiale di questo tipo è disperso nell’ambiente, la sua concentrazione nelle aree marine continuerà ad aumentare, se non si interverrà meglio di quanto non si stia già facendo.
La scoperta della grande isola di plastica nel Pacifico
Charles Moore fu il primo a dare l’allarme. Capitano di una barca e oceanografo americano, egli rimase allibito quando, di ritorno da una regata nel 1997, incontrò un’isola di plastica così larga che gli ci vollero sette giorni per attraversarla. Quello che trovò, ha poi mobilitato la comunità scientifica; il Great Pacific Garbage Patch, alias Pacific Trash Vortex o “Grande chiazza di immondizia del Pacidico”, situato tra il Giappone e le Hawaii – più precisamente tra il 135° e il 155° Meridiano Ovest e fra il 35° e il 42° parallelo Nord – è l’accumulo più grande di tutti i mari, oltre che uno dei più grandi simboli della crisi ambientale.
Oggi, secondo uno studio scientifico pubblicato su Nature, si ritiene che l’isola di plastica nel Pacifico sia come un continente di rifiuti in costante crescita, che misuri circa 1,6 milioni di km², ma alcune stime parlano anche di un’estensione che arriva fino a 10 milioni di km² e che contenga almeno 3 milioni di tonnellate di rifiuti. Per dare un’idea delle sue dimensioni, la superficie di questa isola di plastica è oltre tre volte quella della Francia e potrebbe occupare fino al 5,6% della superificie totale dell’OCeano Pacifico. Nonostante le sue dimensioni, più del 90% è costituita da minuscoli frammenti.
Le altre isole di plastica sparse per il mondo
Ci sono almeno altre cinque isole di plastica, di dimensioni più ridotte, collocate nell’Oceano Indiano, nel Nord Atlantico, nel Sud Pacifico, nel Sud Atlantico e nel Mar Mediterraneo. Secondo l’ordine indicato, il rapporto di queste superfici rispetto al Great Pacific Garbage Patch equivale a 0,65 (O. I.), 0,47 (N. A.), 0,25 (S. P.), 0,15 (S. A.) e 0,12 (M. M.). In totale, 5,25 trilioni di pezzi di plastica, per un peso peso di 269.000 tonnellate, sarebbero distribuiti nell’oceano.
In particolare, nel Mar Mediterraneo, l’area che si sta formando è il doppio più densa di quella del Pacifico. Situata tra Elba e Corsica, questo accumulo (tra le 1.000 e le 3.000 tonnellate) è probabilmente legato al forte impatto umano e all’idro-dinamica di questo bacino semi-chiuso. Qui, data la ricchezza biologica e la concentrazione di attività economiche, si prevede che gli effetti sulla vita marina saranno ancora più dannosi.
Nell’Atlantico invece lo stesso fenomeno ha contribuito a generare il “North Atlantic garbage patch” che, seppur di minori dimensioni, è comunque comparabile a quella del Pacifico per densità dei rifiuti presenti.
Origine dell’isola di plastica del Pacifico
Dunque, quali sono i fattori per cui la plastica raggiunge l’oceano?
Le fonti sono disparate, ma le più grandi sono le industrie che scaricano i rifiuti in mare, per caso o di proposito (illegalmente). Può anche provenire da navi da pesca, navi porta-container, piattaforme petrolifere. Anche il turismo origina rifiuti. Ad esempio, chi frequenta la spiaggia, non sempre getta l’immondizia negli appositi contenitori. Invece, in città, la spazzatura gettata a terra può finire nel sistema di acqua piovana ed essere riversata in mare. In ogni caso, si stima che l’80% della plastica provenga da fonti terrestri.
Per di più, la produzione globale di materie plastiche continua a crescere e, di questa, gran parte finisce in mare. Se le discariche non sono gestite adeguatamente, grandi quantità di questo materiale possono facilmente essere trascinate via dal vento o dall’acqua piovana. Altre fonti sono meno evidenti, come i pneumatici che si usurano, che lasciano sulle strade frammenti minuscoli, che poi finiscono nelle fognature.
Così come un contributo alla formazione di questo immenso tappeto di rifiuti è stato probabilmente dato anche dal Maremoto che ha colpito del Giappone del 2011. Tra le altre concause anche il rovesciamento di Container della navi cargo contenenti scarpe, giocattoli e altri beni prodotti principalmente in plastica.
L’accumulo dei detriti presenti nel Pacific Garbage Patch, secondo le più importanti stime, è iniziato negli Anni ’80.
Anche il Mediterraneo si sta riempiendo di plastica
Chi pensa che quello dell’isola di plastica sia un problema lontano si sbaglia di grosso. Tra l’Isola d’Elba e la Corsica è stata avvistata una chiazza di rifiuti lunga, per ora, qualche decina di chilometri, ma in continua espansione. La densità dei detriti presenti sembra sia maggiore rispetto a quella delle altre isole presenti nel Pacifico. L’origine di questi rifiuti sono i grandi fiumi che sfociano nel Tirreno come l’Arno, il Tevere ed il Sarno. Inutile specificare come la plastica finisca in questi fiumi. I responsabili siamo noi.
Secondo il WWF nel Mar Mediterraneo sono già presenti oltre 570 mila tonnellate di rifiuti plastici. Un dato preoccupante ed in continuo aumento. Un fenomeno che va assolutamente contrastato, per tanti motivi.
Conseguenze sulla fauna marina
Quando la plastica si frantuma, una parte affonda nel mare, dove può soffocare le creature acquatiche. Inoltre, date le basse temperature dell’oceano, la plastica frantumata rilascia sostanze chimiche che non si trovano in natura, tra cui il bisfenolo A (BPA), oligomeri a base di polistirolo e altri che sono dannosi per la crescita e lo sviluppo della fauna marina.
Non di meno, si stima che centinaia di tartarughe liuto (le più grandi al mondo) muoiano perché ingoiano vari pezzi di plastica, destino comune per oltre 100.000 mammiferi marini, ogni anno. Ci sono state diverse lontre marine soffocate con anelli di polietilene, gabbiani e cigni strangolati da lenze da pesca e reti di nylon. Altre creature marine hanno inghiottito oggetti come cannucce, tappi e vari giocattoli, poiché, a causa della loro dimensione e del loro colore, gli animali confondono la plastica con il cibo.
Per citare un esempio recente, il National Geographic ha pubblicato un altro articolo a proposito di una femmina di capodoglio incinta, che è stata trovata morta su una spiaggia fuori Porto Cervo, in Sardegna, a causa della plastica ingerita;
“L’inquinamento da plastica è penetrato anche nelle più profonde fenditure dei mari e il Mar Mediterraneo non fa eccezione. Raccoglie rifiuti dai Paesi bagnati dalle sue acque, e siccome è un mare chiuso, i rifiuti rimangono bloccati nelle sue acque, praticamente per sempre. In un recente rapporto Greenpeace ha stimato che la maggior parte dei grandi rifiuti di plastica che finiscono nei corsi d’acqua europei – da 150.000 a 500.000 tonnellate ogni anno – si riversano nel Mediterraneo.“
Conseguenze sulla fauna terrestre
Una volta che la plastica entra nella catena alimentare marina, c’è la possibilità che contamini anche quella umana. Attraverso un processo chiamato bio-accumulo, le sostanze chimiche, tossiche e inquinanti presenti nella plastica, sono ingerite dagli animali, così queste sostanze passano dalla preda al predatore, fino alle persone. In poche parole, le sostanze chimiche ingerite dai pesci, possono essere presenti anche nell’uomo. Basti pensare che, generalmente, ogni settimana assumiamo circa cinque grammi di plastica, quanto una carta di credito.
Il problema si espande anche sul piano economico, dove gli sforzi per ripulire la plastica dall’oceano hanno già causato notevoli oneri finanziari. Infatti, secondo The Ocean Cleanup, i costi annuali dovuti alla plastica marina sono stimati tra i 6 e i 19 miliardi di dollari. Questi derivano principalmente dal suo impatto sul turismo, sulla pesca e sull’acquacoltura. Intercettarla nei fiumi dovrebbe essere molto più conveniente rispetto a ripulire intere isole artificiali.
Soluzioni al problema dell’isola di plastica
La ricerca odierna non è ancora riuscita a stimare valori precisi né riguardo il problema, né sulle sue conseguenze. Tuttavia, è necessario evitare che ulteriori rifiuti vengano immessi nell’oceano.
Una pratica che continua a svilupparsi sono i progetti di pulizia di spiagge, di fiumi e di laghi. Spesso, questi vengono promossi dai comuni di zone balneari, se non addirittura da privati che si organizzano online. Molte attività possono essere trovate sui social network più comuni, o, in generale, sul Web; tra le associazioni più importanti, spicca Plastic Free Onlus, con l’obiettivo di informare e sensibilizzare più persone possibili sulla pericolosità della plastica. Oltre a informazioni di rilevanza, il sito integra un calendario degli eventi a cui tutti possono partecipare.
Anche il finanziamento di progetti per migliorare questa situazione ambientale ed economica può essere una soluzione. Ad esempio, The Ocean Cleanup, progetto nato da un’idea del giovane olandese Boyan Slat, sta sviluppando sistemi di pulizia per ripulire ciò che inquina gli oceani e per intercettare la plastica nel suo percorso verso il mare aperto attraverso i fiumi. Grazie a questo tipo di progetto, nel Great Pacific Garbage Patch, sono stati eliminati oltre 103 tonnellate di rifiuti, data una grande operazione di pulizia svoltasi a luglio 2020. Ora si punta a triplicare i risultati nel 2021.
In conclusione, è importante sensibilizzare un pubblico sempre più ampio su questa tematica. Al proposito, una lettura anche dilettevole può essere “Spam. Stop plastica a mare”. In ogni caso, è fondamentale agire individualmente nell’interesse comune. Ad esempio, si può ridurre la plastica nell’igiene personale – su Make You Greener si possono trovare diverse soluzioni. Nel nostro piccolo, insieme, possiamo veramente realizzare lo sviluppo sostenibile, perciò agire per la resilienza della vita marina, nonché terrestre. Scegliere un approccio di vita Plastic Free è possibile, basta solo volerlo.