- Quali sono i principali problemi ambientali connessi alla dieta alimentare occidentale?
- Un modello da rivedere
- Come si misura l’impatto ambientale di una dieta?
- Tecnologia e nutrizione
- Quali vantaggi ambientali derivano dall’adozione di una dieta sostenibile e quale regime alimentare può definirsi tale?
- È possibile ridurre l’impatto sul Pianeta senza sconvolgere le nostre abitudini a tavola?
Ruben Novello è un 31enne torinese che ha da poco concluso il suo percorso di studio magistrale in scienze agrarie e alimentari presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sulla dieta sostenibile all’interno della letteratura epidemiologica. Dato l’ambito della sua specializzazione, lo abbiamo intervistato sul tema.
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Quali sono i principali problemi ambientali connessi alla dieta alimentare occidentale?
Il primo colpevole di ogni dieta ambientalmente impattante, è l’eccessivo consumo di carne. Guardando da una prospettiva più ampia, potremmo addirittura definire la zootecnia in generale una dei responsabili.
Abbiamo modelli che stimano l’impatto ambientale di un allevamento – sia esso suino, bovino o avicolo – e ci permettono di controllare la sua impronta di carbonio. È però evidente che dobbiamo smetterla di ammassare una grande quantità di capi di bestiame in spazi ridotti. Non facendo più una netta distinzione tra rosse e bianche, ormai anche per i nutrizionisti esiste soltanto la carne. Eppure la SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana) fa nelle indicazioni delle porzioni una distinzione tra carni fresche e conservate, raccomandando una porzione standard di 100 g per le fresche e di 50 g per le conservate. Andrebbe però posta enfasi sulla frequenza di consumo.
Un modello da rivedere
Non dovremmo mangiare oltre 2/3 porzioni di carne a settimana, all’interno di una dieta sana e bilanciata. Fonti proteiche come uova, pesce e legumi ci possono aiutare. Altra vessata questione è la logistica. Perché consumare, ad esempio, un avocado che arriva dall’altra parte del mondo, è colto dalla pianta duro come un sasso e affronta un viaggio transcontinentale – prima in mare e poi su gomma – in atmosfere studiate per mantenerlo in stasi? Sfruttiamo stagionalità e prossimità.
C’è consenso generale sul fatto che la dieta occidentale (western diet) vada abbandonata al più presto. Elevate quantità di carne associate a prodotti trasformati, non sono in linea con le raccomandazioni di una dieta sana ed equilibrata e non rappresentano certo una dieta sostenibile.
Mi è capitato di essere servito in un ristorante con una lattina d’acqua, quando la chiesi dal rubinetto. Quanta bauxite è stata necessaria per ottenere l’alluminio di quella lattina? Facciamo poi una finale considerazione sulla carne bovina: le emissioni di anidride carbonica e metano di questi animali sono veramente significative rispetto ad altre produzioni.
Come si misura l’impatto ambientale di una dieta?
L’impatto ambientale di una dieta si misura tramite Life-Cycle Assessment. L’analisi del ciclo di vita (LCA) è una metodologia analitica e sistematica che valuta l’impronta ambientale di un prodotto o servizio, lungo il suo intero ciclo di vita. Il calcolo spazia dalla prima fase della vita del prodotto (l’estrazione delle materie prime), considerandone poi anche produzione, distribuzione, uso e dismissione finale. In tal maniera siamo in grado di restituire quanto impatti quel prodotto. La base di qualsiasi rilevazione è misurare effettivamente l’impatto ambientale della dieta di un singolo individuo. Si tratta di un processo quantomai laborioso e di difficile applicazione, se teniamo conto degli attuali strumenti di rilevamento epidemiologico-nutrizionale.
Si può impiegare un diario alimentare, chiedendo al soggetto che stiamo studiando di registrare – durante l’intero arco della giornata, per almeno una settimana – tutti i suoi singoli consumi alimentari. Caffè in mattinata, biscotti, condimenti… Per misurarne attendibilmente l’impatto ambientale dovremo chiedere il prodotto specifico, il tipo di packaging e il metodo di cottura.
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Tecnologia e nutrizione
In un futuro che spero prossimo si potranno usare i protocolli della tecnologia blockchain per tracciare con una accuratezza più penetrante i consumi alimentari del singolo individuo. È purtroppo un argomento al di fuori della mia portata e competenza ma sarebbe uno strumento potentissimo in mano a chi studia i fenomeni alimentari. Un problema decisamente più importante è che i dati di impatto ambientale non sono di così facile reperimento: i database non sono pubblici, né in licenza libera, purtroppo. Le università, nonostante le loro capacità di ricerca, difficilmente possono sopperire “gratuitamente” alle lacune dei dati scientifici
Quali vantaggi ambientali derivano dall’adozione di una dieta sostenibile e quale regime alimentare può definirsi tale?
Per il momento, i numerosi studi che trattano di regimi alimentari sostenibili, indicano che la dieta mediterranea è quella più sostenibile. Definire una dieta di stampo mediterraneo non è banale. Ci sono degli strumenti metodologici appositamente studiati e validati per indicarlo, come il MED Score (il punteggio di dieta mediterranea) per identificare se un soggetto ha effettivamente uno stile di vita mediterraneo, i quali però non sono strumenti di diagnosi. I vantaggi di un’alimentazione mediterranea e, generalmente, quelli di una dieta sostenibile, riescono a limitare l’insorgere di malattie tumorali, patologie neurodegenerative e cardiovascolari.
Sono state prodotte importanti meta-analisi in questo frangente, e non possiamo che migliorare, sia a livello di singoli individui, che a livello di numeri importanti di popolazione. I vantaggi che deriverebbero sono sia a breve termine sia a lungo termine: nel breve, potremo iniziare ad avere un rapporto con la nostra alimentazione più coerente con i bisogni attuali. Nel lungo periodo, vedremo anche una dieta sostenibile, più in linea con i nostri fabbisogni e che riuscirebbe a renderci più consapevoli. Non stiamo parlando di dimagrimento, quello afferisce più ad un livello fisiologico-omeostatico.
È possibile ridurre l’impatto sul Pianeta senza sconvolgere le nostre abitudini a tavola?
Si! Anzi, se cominciassimo a scegliere in maniera più consapevole, sarebbe già un buon risultato. Tuttavia, gli studi attuali non sono comunque né conclusivi, né uniformi nella valutazione di impatto ambientale. Ho personalmente letto studi in cui è stato utilizzato qualsiasi strumento di rilevamento dei consumi, incrociandone i risultati con tutti i metodi di stima di impatto ambientale. Alcuni impiegano dati di seconda mano, provenienti dalla letteratura scientifica, per stimare l’impatto ambientale. Altri studi invece, più raffinati, usano la metodologia LCA proprio in contemporanea alla raccolta dei dati di consumo alimentare. Ciò richiede però un passaggio molto più laborioso e dispendioso in termini di tempo e risorse.
Mi sento comunque di poter condividere dei piccoli take-home messages, in chiusura. Essi possono aiutare le persone quotidianamente. Partiamo dal cercare di limitare il consumo di carne necessario ai nostri fabbisogni. Preferiamo cibi di stagione e – contemporaneamente – di prossimità. Non mi riferisco soltanto al chilometro Ø, perché sovente si tratta di una piccola bugia, nel sistema alimentare italiano odierno. Ricerchiamo però sempre prodotti provenienti dalla nostra regione o area. Infine, facciamo attenzione all’etichettatura. Spesse volte, le aziende alimentari indicano dove poter smaltire gli imballaggi e anche come farlo in maniera corretta. All’interno del ciclo di vita di un prodotto è pressoché certo che si generi un prodotto di scarto. Perciò dobbiamo assicurarci un riuso, un riciclo e uno smaltimento più corretti. Abbiamo un solo pianeta. Abbiamo però anche molte soluzioni a portata di mano.
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