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Come le multinazionali del fossile hanno approfittato del Covid

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Nei periodi di crisi, si sa, ci sono anche delle grandi occasioni, soprattutto se a cercarle è chi, da decenni, di mestiere fa l’opportunista. Stiamo parlando, ovviamente, della pandemia in atto, che ha monopolizzato le pagine dei media di tutto il mondo, e delle multinazionali operanti nel settore dell’energia fossile. Un nuovo report pubblicato dalla rete internazionale Fossil Free Politics, di cui fanno parte oltre 200 associazioni ambientaliste, porta alla luce tutte le manovre implementate dalle lobby dell’oil&gas per indirizzare le centinaia di miliardi di fondi pubblici, messi a disposizione dai vari governi, verso progetti che ci legherebbero per tanti anni ancora ad attività altamente inquinanti, scavando di fatto la fossa alle future generazioni.

Come approfittarsi di una pandemia

Il titolo del report, “Trasformare la crisi in opportunità: lobby e grandi manovre dell’industria fossile durante la pandemia”, è già di per sé più che esplicativo. Con una bibliografia lunga due pagine, che fa riferimento a più di 70 fonti ufficiali, il documento pubblicato la scorsa settimana costituisce una ricostruzione dettagliata ed affidabile delle operazioni portate avanti dai grandi attori dell’industria fossile in questi ultimi mesi, in cui l’attenzione era completamente rivolta ad altri temi di stretta attualità. Lungo una dozzina di pagine, il report si compone di quattro punti che ben riassumono la strategia utilizzata dai lobbisti per rifocillare le proprie casse e vedere approvate delle strategie energetiche che vincolerebbero per diversi anni ancora l’operato delle varie nazioni ad aziende come Eni, Snam, Total, Shell, Repsol e tante altre, grazie alla pianificazione di progetti incentrati su Gas, Stoccaggio di Carbonio e Idrogeno: tutte soluzioni ad alto impatto climatico che finirebbero per aggravare una situazione che già oggi risulta compromessa, almeno parzialmente.

Le false soluzioni proposte dalla lobby del fossile: Gas, Carbon capture & storage e Idrogeno

Tra le varie tecnologie disponibili oggi sul mercato per affrontare la crisi climatica in atto, le compagnie petrolifere hanno deciso di puntare tutto sulle tre soluzioni indicate appena sopra. Uno scenario che va evitato a tutti i costi per i seguenti motivi:

  • Il gas viene descritto da queste grandi aziende come una fonte di energia sostenibile. Tuttavia esso ha come effetto del suo utilizzo la generazione di gas serra ad alto impatto climatico come l’anidride carbonica ed il metano. Viene da sè, dunque, che quella di utilizzare questa fonte di energia non è una soluzione sostenibile, ed anzi, l’assegnazione di fondi pubblici ad aziende che operano in questo settore rischia di legarci ad un modello di sviluppo insostenibile per i decenni a venire, dirottando inoltre dei soldi che potrebbero essere utili alla transizione ecologica.

Le false soluzioni permettono alle aziende fossili di continuare indisturbate con il loro modello di business inquinante. Nella migliore delle ipotesi, si sprecano tempo e denaro; nella peggiore, si generano nuovi pericoli.

  • Lo stoccaggio e la cattura di carbonio, anche conosciute come CCS o Carbon Capture Storage costituiscono una tecnologia su cui le industrie operanti nel settore fossile confidano, o almeno fingono di farlo, per diminuire la presenza di gas serra in atmosfera. Ci hanno investito così tanto negli ultimi decenni che sono ormai praticamente costrette ad affermare che sia una soluzione credibile per contrastare la crisi climatica in atto. Tuttavia, ad oggi, i progressi fatti in questo campo non sono neanche lontanamente sufficienti a rendere questa pratica una possibile via d’uscita.

In realtà, le promesse di fattibilità commerciale della CCS sono sempre lontane un decennio. È una tecnologia non collaudata e rischiosa, ad alta intensità energetica, che allontana l’uscita dai combustibili fossili. È enormemente costosa, molto più del passaggio all’energia rinnovabile e non garantisce affatto la promessa riduzione di emissioni.

  • Un discorso a parte merita inoltre il tanto acclamato idrogeno. I suoi sostenitori sono ormai praticamente ovunque, ed effettivamente, per una piccolissima percentuale sul mix energetico mondiale, questo gas viene prodotto in maniera sostenibile, senza emettere gas serra. Tuttavia c’è un piccolo dettaglio che raramente viene citato quando si parla di idrogeno:

Attualmente il 96% dell’idrogeno viene ricavato da combustibili fossili […] La ‘promessa’ dell’idrogeno verde viene utilizzata per spianare la strada a quello fossile, tramite grandi investimenti infrastrutturali.

Il lobbysmo delle aziende

Il modo di operare di queste grandi multinazionali è ormai cosa ben nota. La loro ascesa è direttamente riconducibile al grande potere che esse hanno esercitato nel corso degli anni in ambito politico. Attraverso delle forti pressioni nei confronti dei decisori istituzionali, rese possibili dal loro strapotere economico, sono sempre riuscite ad ottenere delle leggi che gli permettessero di godere di ingenti somme di denaro pubblico. Ed anche in questo caso la strategia è rimasta la stessa.

Negli scorsi mesi la Commissione Europea ha discusso del piano di rilancio Next Generation EU, un pacchetto da oltre 750 miiardi di euro stanziati per gli anni 2021-2017. Il 30% di questa somma dovrà essere destinata ad azioni in favore del clima. Ed ecco che le tre pratiche sopra elencate diventano magicamente etichettate come “in favore dell’ambiente”, quando in realtà sono tutt’altro. Facendo diventare gas fossile, stoccaggio di carbonio e idrogeno delle soluzioni “verdi” queste aziende potrebbero infatti riuscire ad ottenere un’enorme quantità di denaro pubblico che, inevitabilmente, finirà per aggravare la situazione relativa al cambiamento climatico.

Come se tutto ciò non bastasse c’è un altro fattore che rende la situazione ancora più ambigua. A partire da marzo 2020 il Corporate Sector Purchase Program, ovvero un gruppo di acquisto dell’Unione Europea a cui sono stati affidati i fondi derivati dalla vendita degli Eurobond nella fase più acuta della pandemia, “ha acquistato titoli obbligazionari di aziende come Repsol, Shell, Eni, OMV, Total Capital E.ON e Snam. Così facendo, la BCE sta di fatto sostenendo la profittabilità futura di queste società”. Insomma, per farla breve, la BCE ha creato “un’alleanza finanziaria con il settore del fossile […] vincolandosi alle loro performance finanziarie. Di conseguenza avranno un interesse diretto nel promuovere politiche che aiutino queste aziende a rendere adeguatamente per almeno un decennio“.

Chi sono le lobby del fossile italiane ed europee

Secondo il rapporto pubblicato da Fossil Free Politicsmentre milioni di famiglie erano costrette a casa, i massimi livelli della Commissione europea hanno avuto tre incontri a settimana con i lobbisti dei combustibili fossili“. Una situazione inaccettabile che rischia di avere serie conseguenze sul lungo termine. Tra i “lobbisti” citati nel report troviamo le italiane Saipem, Snam, Eni, Maire Tecnimont e, più in generale, il Consorzio TAP, oltre a Confindustria Energia e la SACE, due giganti del panorama economico italiano che sono delle vere e proprie “cassaforti” per società operanti nel settore del fossile. Guardando invece all’estero ci sono altri nomi ben noti a chi si occupa di ambientalismo, e non solo: Repsol, Cepsa, Shell, OMV, Total, Partex, Engie, GRTGaz, Téréga, IOGP, Eurogas, Hydrogen Europe, ENTSO-G, Naturgy, Exxon Mobil, FuelsEurope, PGNiG, Gas Naturally e BP, Un vero e proprio esercito di aziende pronte a tutto pur di aumentare i propri profitti e mettere le mani su un succulento pacchetto di fondi pubblici che potrebbero invece essere destinati alla transizione ecologica.

L’unica via d’uscita

Alla fine del documento, appena prima della lunghissima lista delle fonti ufficiali utilizzate per la sua redazione, c’è una pagina dedicata alle conclusioni, in cui vengono elencate delle proposte utili ad uscire da questo circolo vizioso di influenza e corruzione ai più alti livelli della nostra società:

1 – Le istituzione democratiche devono erigere un muro per impedire all’industria del fossile l’accesso alle attività decisionali: no agli incontri con le lobby, no agli incarichi come consulenti e consiglieri, no ai ruoli negli istituti pubblici di ricerca.

2- Affrontare la questione degli interessi acquisiti: no ai conflitti d’interessi, no alle porte girevoli tra incarichi pubblici e industria del fossile, no ai consulenti provenienti dal mondo dell’industria.

3 – Porre fine alle corsie preferenziali riservate all’industria del fossile: no all’influenza nei negoziati sul clima, no alla partecipazione alle delegazioni istituzionali in sede di trattative internazionali o missioni commerciali, no ai sussidi o agli incentivi diretti all’uso di combustibili fossili o alle attività che ne promuovano o ne estendano l’uso

4 – Basta partnership con l’industria del fossile: no a sponsorizzazioni e partnership, no alla partecipazione ad eventi dell’industria, no alle donazioni a partiti o candidati.

Insomma, è tempo per le istituzioni di dare priorità all’interesse pubblico rispetto a quello privato. Gli interessi fossili vanno estromessi dalla politica senza se e senza ma, proprio come venne fatto anni fa con l’industria del tabacco, giusto per citare un esempio. Fino a quando non si entrerà in questo ordine di idee, i grandi lobbisti avranno la vittoria in tasca.

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di Luigi Cazzola
Ott 20, 2020
Nato nel 1991 a Fano, laureato in Lingue e Comunicazione. Marketer di professione e diverse esperienze all’estero alle spalle. Da ormai qualche anno ambientalista convinto, a Settembre 2018 arriva la svolta che stava aspettando. Viene selezionato per il “Corso di Giornalismo Ambientale Laura Conti”, dove può finalmente approfondire tematiche relative tanto al giornalismo quanto all’ambiente. Fermamente convinto che la lotta al cambiamento climatico sia la più importante battaglia della sua generazione, decide di mettere le competenze acquisite al servizio di tutti per accrescere la consapevolezza legata a questo tema e fornire consigli pratici per orientare le scelte dei singoli verso un approccio più green grazie ad un consumo più critico e consapevole. Per L’Ecopost si occupa di redazione di contenuti, sviluppo Front-End e comunicazione sui Social Media.

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