
26 maggio 2021: un tribunale dell’Aia ha ordinato alla Royal Dutch Shell di ridurre le sue emissioni globali di gas serra del 45% entro la fine del 2030 rispetto ai parametri del 2019. Si tratta di una decisione storica e rivoluzionaria per l’ambiente che potrebbe avere conseguenze di vasta portata per le compagnie petrolifere. Un provvedimento che non riguarda solo l’azienda in sé, ma anche tutti i suoi fornitori e clienti.
Il caso contro una delle aziende che più contribuiscono alle emissioni di CO2
La Royal Dutch Shell, multinazionale petrolifera anglo-olandese contribuisce a circa l’1% delle emissioni globali: nella classifica delle aziende che inquinano di più al mondo si classifica al nono posto.
Dopo l’adozione dell’Accordo di Parigi nel 2016 che mirava a limitare la crescita della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi, Shell ha presentato un piano per ridurre le sue emissioni di gas serra del 30% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2016 e del 65% entro il 2050.
Obiettivi poco ambiziosi ed insufficienti, come rilevato dagli attivisti. Sette fondazioni ambientaliste tra cui Milieudefensie e Greenpeace e 17.379 sostenitori hanno presentato una class-action contro Shell nell’aprile 2019. Secondo gli attivisti, “la conchiglia” avrebbe dovuto cambiare il suo modello di business per investire di più nelle energie rinnovabili e ridurre le emissioni del 45% entro il 2030. Non avendolo fatto, gli attivisti hanno accusato la multinazionale di violare l’articolo 6:162 del codice civile olandese e gli articoli 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
In risposta alle accuse, il gigante petrolifero ha tentato di scaricare le proprie responsabilità:
“Ciò che accelererà la transizione energetica sono politiche efficaci, investimenti nella tecnologia e il cambiamento del comportamento dei clienti. Niente di tutto ciò sarà raggiunto con questa causa. Affrontare una sfida così grande richiede un approccio collaborativo e globale.”
Il processo
Il processo all’Aia si è tenuto fino a dicembre 2020. I querelanti erano tenuti, secondo la legge olandese, a dimostrare che esisteva un modello di business alternativo praticabile per Shell per raggiungere l’obiettivo di riduzione suggerito del 45%. L’esempio portato è quello della recente e veloce trasformazione della società danese Ørsted che è passata da azienda a base di gas e petrolio a regina dell’eolico offshore.
A febbraio, l’azienda aveva dichiarato che avrebbe accelerato la transizione del suo business con l’obiettivo di raggiungere emissioni zero entro il 2050.
Ma gli avvocati dei querelanti hanno sostenuto con successo che l’azienda era consapevole da decenni delle pericolose conseguenze delle emissioni di CO2 e che i suoi obiettivi non erano sufficienti.
La sentenza contro Royal Dutch Shell
Anche se l’azienda non ha agito illegalmente, la corte ha ritenuto che le attuali “politiche sostenibili” della compagnia non fossero sufficientemente “concrete” e che le sue emissioni fossero superiori a quelle della maggior parte dei paesi. Senza contare che la multinazionale vuole investire nel prossimo futuro dai 19 ai 22 miliardi ogni anno, di cui più dell’80% in petrolio e gas. Sulla base di queste motivazioni, la corte ha emesso la storica sentenza.
Inoltre, in risposta alle dichiarazioni della multinazionale, la corte ha rilevato che “dal 2012 c’è stato un ampio consenso internazionale sulla necessità di un’azione non statale, perché gli stati non possono affrontare la questione dei cambiamenti climatici da soli”.
La giudice Larisa Alwin è stata netta: “Shell è responsabile di enormi emissioni di Co2 e contribuisce alle conseguenze disastrose del cambiamento climatico per la popolazione”. E quindi deve agire ora, non ritardando più quella transizione ecologica che viene annunciata spesso ma perseguita di rado.
Nuova spinta per un taglio alle emissioni
Perché il caso è divenuto un punto di riferimento nel diritto ambientale? La ragione è che per la prima volta un’azienda è stata legalmente obbligata ad allineare le sue politiche con gli accordi di Parigi. Ci si aspetta che la decisione crei un precedente per nuove cause ambientali contro altre grandi aziende che non hanno preso misure sufficienti per ridurre le loro emissioni. Secondo gli esperti, il ricorso alle norme sui diritti umani e alle misure internazionali sul cambiamento climatico rafforza l’impatto della decisione.
Esulta l’avvocato di Milieudefensie, Roger Cox dopo la lettura di una “sentenza che cambierà il mondo. Le persone in tutto il mondo sono pronte a citare in giudizio le compagnie petrolifere nel proprio paese, seguendo il nostro esempio”. Ma non solo, per Cox da adesso “le compagnie diventeranno molto più riluttanti a investire in combustibili fossili. Il clima ha vinto”. Sulla stessa linea le parole di Donald Pols, direttore dell’associazione: “Una gigantesca vittoria per la terra, per i nostri figli e per tutti noi“.
Dall’altra parte della campana gli umori sono diversi. La Shell ha promesso di ricorrere in appello rispetto alla «deludente» decisione della corte, per usare l’espressione di Harry Brekelmans, Projects & Technology Director.