L’inefficienza dei treni italiani non costituisce certo una novità alle orecchie dei cittadini del Bel Paese. Il problema, però, per quanto vecchio, non accenna a migliorare. Nemmeno alla luce del fatto che l’implementazione del sistema ferroviario nazionale potrebbe rappresentare una soluzione efficace per l’abbattimento delle emissioni, portando così l’Italia a raggiungere gli obiettivi del Green Deal Europeo. Il fatto poi di trovarci in una pandemia non ha fatto che accentuare le problematiche già esistenti, tra treni affollati e disorganizzazione. Il nuovo report di Legambiente “Pendolaria 2021” elenca le ferite più profonde e persistenti dei binari italiani e cerca di curarle suggerendo le possibili destinazioni degli investimenti infrastrutturali previsti nel Recovery Plan.
I dati più sconcertanti sui treni italiani
Per comprendere l’entità delle carenze del sistema ferroviario italiano è utile un confronto con gli altri Paesi. Per quanto riguarda le ferrovie suburbane, di cui usufruiscono ogni giorno migliaia di cittadini, l’Italia è dotata di una rete totale di 740,6 Km. Quella della Germania è di 2.038,2 Km, nel Regno Unito ammonta a 1.694,8 Km e a 1.432,2 Km in Spagna. Inoltre, a livello generale, la situazione sta peggiorando, dato che ad oggi sono in funzione 19.353 km di linee ferroviarie, a fronte delle 23.200 nel 1942 (momento di massima estensione della rete). La contrazione è stata del 16,4% con chiusure che hanno interessato 640 km di linee e la sospensione del servizio per oltre 802 km.
Una delle cause, ma anche conseguenze, di questo fenomeno sono stati gli ingenti finanziamenti statali che negli ultimi 6 anni hanno premiato per il 60% i progetti di strade e autostrade. Queste ultime, dal dopoguerra ad oggi, hanno subito un incremento di oltre 6500 Km. A graffiare ulteriormente il quadro sopraggiunge il fatto che molte di queste si sono rivelate un totale fallimento, come il gigantesco progetto della Bre.Be.Mi (Brescia-Bergamo-Milano). Questa infrastruttura è ad oggi poco frequentata (oserei dire vuota); complice anche il prezzo proibitivo del ticket, necessario, così hanno detto, per coprire i costi enormi del progetto. Un progetto che, di fatto, ha tolto fondi alle migliorie del trasporto ferroviario.
A conferma di ciò, è doveroso ricordare come l’Italia sia uno dei Paesi con il più alto tasso di motorizzazione pro capite in Europa. Il trasporto su gomma ricopre il 62,5% degli spostamenti giornalieri e oltre l’86% di quello merci. Ne deriva che in Italia il settore dei trasporti produca oltre il 26% delle emissioni di CO2 totali e dal 1990 questo dato non ha visto riduzioni. Il problema interessa particolarmente gli spostamenti urbani. Nonostante infatti sembra esserci stato un aumento dell’utilizzo della metropolitana da parte dei cittadini, negli ultimi due anni (2019-2020) in Italia non è stato inaugurato nemmeno un chilometro di metrò.
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Le inefficienze a livello locale
Come prevedibile, i maggiori problemi riguardano il centro-sud. Per esempio sulla ferrovia di Roma Nord nel 2020 sono stati oltre 5.000 i treni soppressi, con punte di 100 corse saltate in un giorno sulle 190 totali e circa 600 in una settimana. Ma, almeno in Italia centrale, i treni esistono. Non si può dire lo stesso del Sud e le isole. In Sicilia le corse giornaliere sono 493 contro le 2.300 della Lombardia, anche se quest’ultima conta “solo” il doppio degli abitanti (10 milioni contro 5). In Sardegna le corse ammontano a 294 contro le 277 della provincia di Bolzano. Nell’isola, però, la popolazione è oltre il triplo.
Bisogna anche sottolineare che persino nelle zone più ricche e teoricamente più virtuose di italia si sono riscontrati non pochi problemi. In Lombardia, per esempio, solo pochi mesi fa 139 corse ferroviarie sono state sostituite con autobus, coinvolgendo 7 mila persone e creando non pochi disagi. Anche per quanto riguarda la qualità dei treni vi sono notevoli lacune. In generale nel Nord i treni sono più “giovani”, con una media di 11 anni, mentre al sud questa cifra raggiunge i 19 anni. Anche qui, però, la Lombardia rappresenta una mosca bianca. Questa regione ha la flotta più grande d’Italia con un’età media di 18,6 anni. Ancora più sconcertante è il fatto che oltre il 40% ha una media di oltre 35 anni, mentre il 45% è composto da treni nuovi (5 anni).
Quali soluzioni per i treni italiani?
Un punto di partenza, secondo Legambiente, per investire nel modo corretto i soldi destinati alle ferrovie è quello di aumentare l’offerta. Infatti i dati mostrano che, laddove le persone trovano un servizio ferroviario competitivo, sono ben felici di prendere il treno. Basti pensare all’Alta Velocità (Le Frecce e Italo) la cui quantità di flotte è raddoppiata, passando da 74 nel 2008 a 144 nel 2019. Questo ha permesso di avere treni più nuovi, con servizi molto più all’avanguardia (Wi-fi, prese elettriche ad alto voltaggio, spazi ampi, pulizia). Di conseguenza, i passeggeri dai 6,5 milioni del 2008 sono diventati 40 milioni nel 2019, con un aumento del 515%.
Un altro tema da affrontare è quello del costo dei biglietti. In media il prezzo per un ticket ferroviario in Italia è più basso rispetto agli altri Paesi europei. L’offerta, però, è decisamente inferiore e l’idea di accettare il compromesso prezzo basso/qualità bassa deve cambiare. Una soluzione sarebbe quindi quella di un leggero aumento dei prezzi, come è avvenuto a Milano per la metropolitana, nell’ambito però di un patto trasparente di miglioramento del servizio da proporre ai cittadini. Occorre poi favorire gli abbonamenti, che possono beneficiare del 19% di detrazione fiscale, oltre alle riduzioni di prezzo per le fasce più povere.
Investire nei treni porta vantaggi a tutti
Di qui potrebbe derivare un reale incremento dei servizi, come l’integrazione nell’abbonamento della sharing mobility, la connessione con gli altri bacini di trasporto come quello navale e aereo, ma anche la semplice possibilità di trasportare biciclette e monopattini sui treni. Per non parlare dell’aumento delle corse, che in molte regioni necessitano ancora di arrivare ad almeno un treno all’ora lungo le direttrici prioritarie. Infine, sono necessari maggiori controlli, pulizie e in generale un miglioramento della qualità del servizio.
Secondo uno studio di Cassa Depositi e Prestiti, le famiglie stesse potrebbero direttamente beneficiare degli investimenti nelle linee ferroviarie. A fronte di una spesa iniziale destinata, per esempio, a un abbonamento, ne conseguirebbe un risparmio enorme rispetto al trasporto su gomma, sia in termini di tempo, ma sopratutto di denaro, stimabile in alcune migliaia di euro all’anno. A livello nazionale, dalla riorganizzazione del settore si potrebbe creare un valore aggiunto pari a 4,3 miliardi l’anno e circa 550mila nuovi posti di lavoro. Resta quindi da vedere se i 35 miliardi di euro previsti dalla bozza del Recovery Plan saranno destinati anche al sistema ferroviario italiano, oppure se si trasformeranno, ancora una volta, in una distesa di grigie lastre di cemento.
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