Con il suo nuovo film Planet of the Humans Michael Moore l’ha fatta grossa, ancora una volta. Il documentario è infatti una manna dal cielo per chi cerca di ostacolare il passaggio dall’economia tradizionale basata sull’estrazione di carbone a quella fatta di energia pulita. Ed è un peccato, perché la teoria che sta alla base del documentario non è del tutto errata. Vediamo perché.
L’occasione sprecata del film di Michael Moore
In anni recenti si è finalmente dato un nome a quel fenomeno per cui le compagnie, grandi o piccole che siano, sfruttano la causa ambientale per ingraziarsi i clienti ed attrarne di nuovi. Il fenomeno in questione si chiama green washing e talvolta può essere quasi più deleterio delel compagnie che non si fingono amanti dell’ambiente.
Un esempio piccolo e forse banale è quello delle bottigliette di plastica. Molte volte capita di leggere sull’etichetta “100% riciclabile”, magari su sfondo verde e decorato con qualche fogliolina. Il problema è che, potenzialmente, tutte le bottigliette di plastica sono riciclabili, se la persona le ricicla. In più, una amministratore delegato che avesse davvero a cuore l’ambiente, rinuncerebbe totalmente alla produzione di bottigliette di plastica usa e getta. Oppure, un caso ancora più grave in quanto frode a tutti gli effetti è quello che ha interessato la compagnia petrolifera Eni. L’azienda è stata infatti denunciata da Legambiente per aver definito il loro Diesel “green”, ingannando di fatto i consumatori e incentivandoli, una volta messa loro a posto la coscienza, a farne un uso spropositato. Ne abbiamo parlato in questo articolo.
E così via fino ad arrivare ai piani altissimi della piramide aziendale mondiale. Le cosiddette “Big Green” sono compagnie di dimensioni e fatturato enormi che, se in teoria utilizzano i loro soldi per progetti “green”, come le energie rinnovabili, quei soldi vengono di fatto dalle aziende dei combustibili fossili che le finanziano e con le quali mantengono un rapporto fiduciario e pacifico.
Una critica non scientifica alla scienza
Quindi, la mentalità per cui il consumismo estremo e il profitto infinito siano giustificati se questi provengono da progetti virtuosi è molto pericolosa. Ma da lì a screditare totalmente le energie rinnovabili passa molta acqua sotto i ponti. Ed è quello che Michael Moore ha fatto col suo documentario: accusare di “green washing” le nuove tecnologie per l’energia rinnovabile, alimentando lo scetticismo già dilagante riguardo a una transizione energetica che, se vogliamo ridurre le emissioni, deve necessariamente essere attuata..
Moore, per esempio, critica le energie rinnovabili per la quantità di materiali ed energia necessari a produrle. Non guarda, però, al guadagno futuro in termini di energia. Mark Diesendorf, un esperto di sistemi energetici e sostenibilità, ha affermato che i pannelli solari recuperano l’energia utilizzata in soli due anni e il loro ciclo di vita è di circa 20 anni. I pannelli solari, quindi, ci forniscono energia pulita per ben 18 anni, senza doverla costantemente estrarre e bruciare tramite le industrie del fossile.
In più, un film che si prodiga di criticare le tecnologie moderne dovrebbe essere il più moderno e aggiornato possibile. Invece, molti esperti hanno fatto notare come le riprese e i dati a disposizione di Moore fossero molto datati. Parlando di macchine elettriche, per esempio, Moore mostra un modello di 10 anni fa. Oppure critica un “campo” di pannelli solari costruito nel 2008. Come dice lo scrittore energetico ketan Joshi, 10-12 anni sono un’eternità nello sviluppo del solare, così come nell’elettrico
Michael Moore critica la biomassa
Moore critica anche la biomassa come fonte di energia, prodigandosi per la difesa degli alberi. Ricavare energia dalla biomassa, però, è molto differente che ricavarla dai combustibili fossili. Questi infatti liberano carbonio che è stato rimosso dal ciclo terrestre milioni di anni fa, che si aggiunge quindi a quella già abbondantemente presente in atmosfera. Gli alberi, invece, riportano la CO2 nella biosfera che è stata rilasciata solo negli ultimi decenni.
In ogni caso, la combustione non è mai la soluzione migliore. E di questo ne è consapevole anche Bill McKibben, un attivista che nel 2009 aveva difeso la combustione della biomassa a fini energetici. Moore, però, mostra soltanto questo lato della medaglia, mostrando un McKibben ipocrita ed ingenuo. Peccato che nel 2016 lo stesso McKibben abbia rettificato la sua posizione, denunciando la combustione di alberi e scusandosi per le sue idee passate. Di tutto questo, ovviamente, nel documentario non vi è traccia.
Il film di Michael Moore delega le soluzioni
Michael Moore, quindi, invece che sostenere chi sta cercando di trovare soluzioni che davvero conterrebbero la crisi climatica, non fa altro che contrastarli, fomentando i negazionisti e coloro che ostacolano le rinnovabili.
Jeff Gibbs, produttore del film, ha apertamente dichiarato il loro intento: “innescare una discussione e sollevare molte domande. Ma noi non abbiamo tutte le risposte“. Direi che questa frase è sufficiente per accostarsi a una visione critica del film il quale è stato reso pubblico e gratuito su YouTube.
https://www.youtube.com/watch?v=Zk11vI-7czE