Petrolio a picco
Quella del 20 aprile 2020 sarà ricordata come una data storica. In tale giornata, infatti, l’indice Nymex WTI di Wall Street, il principale indicatore del prezzo del petrolio negli Stati Uniti, ha perso il 305%. A fine serata, un barile di petrolio valeva – (meno) 37 dollari. Dove il meno sta per il segno che indica il dominio dei numeri negativi, quello che si mette davanti alle cifre. Sostanzialmente, il petrolio valeva meno dell’acqua. In termini finanziari ciò significa che l’offerta dei produttori non ha alcuna domanda; detto in parole ancor più povere, un petroliere potrebbe esser disposto a pagare pur di disfarsi delle scorte di petrolio che non riesce a vendere, non avendo più spazio per immagazzinare il prodotto.

La situazione è rientrata, se così vogliamo dire, quando alla chiusura delle contrattazioni negli USA è seguita l’apertura di quelle in Asia. I future WTI – così sono denominati, in Borsa, i barili della partita il cui prezzo è precipitato – sono risaliti fino a 1,55 dollari al barile, qualche ora dopo lo shock quantificato perfettamente dal -37,63 a New York. Le azioni denominate future WTI, con scadenza a maggio, non erano mai andate in territorio negativo prima di lunedì.
Le cause del tonfo
In primis dobbiamo annoverare, tra le cause di questa picchiata, la quarantena imposta a gran parte del pianeta a causa del nuovo coronavirus.
L’intero mondo occidentale ha seriamente ridotto la circolazione di automobili, aeroplani e altri mezzi pubblici e privati. Ciò ha inevitabilmente portato ad un abbassamento senza precedenti della domanda, nonostante l’estrazione di greggio non sia stata interrotta, ma soltanto ridotta. Per tal motivo, numerosi proprietari di raffinerie hanno smesso di acquistarlo. Ciò ha dato origine alla paradossale situazione dei produttori, i quali si sono trovati in serie difficoltà. Oltre a non riuscire a vendere il loro prodotto, infatti, non sanno neanche più dove stoccarne le riserve.
La guerra per il petrolio
In secondo luogo, dobbiamo ricordare come Russia, Arabia Saudita e Stati Uniti stiano combattendo, in questo preciso momento, una vera e propria guerra commerciale. I primi due Paesi, che devono gran parte delle loro economie all’oro nero sarebbero i primi responsabili dell’abbassamento della quotazione. Mosca e Riyad, infatti, si sono rifiutati di tagliare la produzione, in pieno disaccordo con le misure dell’OPEC, l’organizzazione che comprende i Paesi produttori di petrolio. Di riflesso, questa decisione ha messo in crisi il settore statunitense dello shale oil. Tale greggio è quello contenuto nelle rocce e sabbie bituminose, estratto tramite la tecnica, oltremodo inquinante, della fratturazione idraulica o fracking.

Questa tecnica altamente ditruttiva ha dato modo agli USA di disporre, negli ultimi anni, di grandi quantità di greggio a prezzi tutto sommato convenienti. In fin dei conti, a Donald Trump importa poco se il prezzo più alto lo paghi l’ambiente. Lui capisce solo il linguaggio degli sciacalli dell’economia e della finanza. La sua amministrazione ha favorito e incoraggiato l’impiego della fratturazione idraulica come mai prima. Questa liberalizzazione ha ridotto l’importazione ai minimi, dando modo al settore di fare nuove assunzioni, come promesso in campagna elettorale dal presidente americano.
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Qualche giorno fa, anche la Russia ha deciso di ridurre le proprie operazioni estrattive del 10%, allineandosi alle direttive OPEC.
Gli effetti del crollo
Non è facile fare previsioni, non solo per quanto riguarda il settore estrattivo ma per l’economia mondiale. Se è vero che la morsa della pandemia si sta cominciando ad allentare, non ci è dato sapere quanto potremmo dirci fuori da essa. Quel che si profila, ad oggi, è un futuro di incertezza, difficoltà e possibili bancarotte per numerosi attori del settore petrolifero. Non è da escludere neppure che alcuni produttori possano davvero mettere in conto spese proprie per smaltire quei barili i cui contratti scadono a maggio, poiché liberare spazio in magazzino potrebbe essere la cosa più importante da fare. Nel momento in cui si scrive, infatti, i future WTI per giugno scambiano ancora in territorio positivo. Questo crollo del prezzo del petrolio senza precedenti potrebbe creare un lungo strascico ma la crisi era nell’aria anche prima del COVID.
Nero come il petrolio
Il mondo annega nel greggio. Nonostante lo storytelling che webzine come L’EcoPost, giornali, scienziati, attivisti, giovani e chiunque abbia un briciolo di sale in zucca portano avanti in ogni parte del mondo, assistiamo in questo tempo ad una corsa alla produzione senza precedenti. È come se i produttori non volessero far altro che inondare il Pianeta, saturarlo, renderlo nero come il petrolio. D’altra parte, la domanda sta rallentando. A maggior ragione ora che vige il lockdown, per quanto già da prima la sensibilizzazione al rinnovabile aveva abbassato la richiesta.
Già da mesi, circa 18, le quotazioni del petrolio viaggiano su livelli minimi. Il tema all’ordine del giorno nel corso delle più recenti riunioni dell’OPEC, infatti, è sempre stato il raggiungimento di un accordo per il taglio della produzione. Una riduzione che consentisse al prezzo del barile di rifiatare, risalire verso l’alto, in seguito ad una riduzione dell’offerta. In tal maniera sarebbe stato possibile ricondurre la forbice del prezzo verso un’area più accettabile per i punti di pareggio fiscali di numerosi Stati appartenenti all’organizzazione. Ciò posto, ci troviamo davvero di fronte agli squilli di tromba dei biblici Angeli dell’Apocalisse, per quanto riguarda il settore petrolifero?
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Una cortina fumogena
Difficilmente. Purtroppo, aggiungerei, per chiunque, come chi scrive e legge, si auguri una seria riduzione nell’impiego di questa fonte di energia. Quella di cui abbiamo parlato per molte righe, fino a questo punto, è una mera questione tecnica. Il lotto dei barili di petrolio di maggio, l’insieme dei future WTI registrati all’indice Nymex, si riferisce ad un contratto fisico. Tale accordo presuppone un punto di consegna del petrolio trattato e una data in cui tenere lo scambio di merce. Lo stock è allocato a Cushing, in Oklahoma, dove si trova la partita di oro nero e la sua data di consegna è quella di maggio. Per il mese di giugno ed i successivi, saranno messi in vendita, a Wall Street, altri barili.

Il detentore del contratto, ovvero chiunque si sia aggiudicato la partita al termine delle contrattazioni, all’avvicinarsi della chiusura della finestra di trading, deve essere pronto a ricevere quanto acquistato. Nel mondo reale, però, ciò non accade così spesso.
Dove osano gli speculatori
Il mercato finanziario non è popolato da linee aeree e benzinai che necessitano di carburante. È popolato da lupi e squali, da speculatori che giocano con il petrolio per guadagnare sui differenziali di prezzo tra acquisto e rivendita. Queste persone non hanno alcun interesse reale a ricevere i barili, non se ne farebbero nulla. Dunque comprano, per poi rivendere il petrolio all’approssimarsi della data di scadenza del future, sperando di riuscire a guadagnare qualcosa sul roll, la rivendita. La data di scadenza del lotto il cui prezzo è precipitato lunedì 20, era martedì 21.

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Cos’è successo a questo petrolio
Se si è arrivati a questo punto, è perché gli stock di petrolio WTI a Cushing sono cresciuti del 48% da fine febbraio ad oggi. Ciò si deve, come scritto, al calo della domanda. Lo stock è arrivato a 55 milioni di barili, a fronte di una capienza totale dell’hub di circa 76 milioni. I traders, forse distratti dai venti della pandemia, hanno preso atto troppo tardi dell’impossibilità di prenotare ampio spazio di stoccaggio in Oklahoma. Fisicamente non c’era più volume per allocare altro petrolio, indipendentemente dal prezzo che si era disposti a pagare per garantirselo.
Al netto di una situazione tale, chi si sarebbe mai sobbarcato l’acquisto di barili vincolati alla consegna, dal momento che non c’è il posto per effettuarla quella stessa consegna? Nessuno, neppure con un fortissimo sconto. Per tal motivo, il produttore potrebbe vedersi costretto a pagare di tasca propria, affinché qualcuno gli liberi spazio.

La possibile via di fuga
Il prezzo del petrolio sembrerebbe aver subito rimbalzato, tanto che già ieri era risalito in territorio positivo. Se però nei prossimi giorni si dovesse verificare un netto calo anche relativamente ai future di giugno, come si dovrebbe reagire? I veterani del mercato si aspettano un deprezzamento significativo delle scadenze di giugno – intorno al 15% – ma danno i barili in trattativa per quel mese ancora in area positiva. Qualora si sbagliassero, allora potremmo davvero affermare con certezza l’esistenza di uno stress fisico (l’assenza di spazio) che si riverbera sulle quotazioni di mercato dell’oro nero.
A quel punto occorrerebbe ricorrere a blocchi, a divieti di produzione nel mese di maggio che incidano ben più del 10% stipulato dall’OPEC. Secondo Bloomberg, notoriamente ben informato in materia finanziaria, il governo americano starebbe pensando ad una opzione estrema. Pagare i produttori, con soldi del contribuente, affinché non trivellino, evitando di andare ad aumentare le riserve di greggio. Si tratterebbe, dunque, di un vero e proprio sussidio alla non produzione. Ecco, questa si che potrebbe essere una buona notizia per l’ambiente.