Finalmente i ministri dell’economia e i governatori delle Banche Centrali più influenti al mondo hanno rilanciato l’idea di una carbon tax, e di “un ampio insieme di strumenti per far fronte all’emergenza climatica”. È la prima volta che avviene in maniera così decisa. La sede di questo rilancio è una di quelle d’eccezione: il vertice di economia e finanza del G20 tenutosi a Venezia dal 9 all’ 11 luglio scorso.
Però cominciamo col dire che, sebbene sia stata messa sul tavolo, la strada per introdurre una tassa globale sulle emissioni di CO2 sembra ancora lunga. Soprattutto perché, al di là dei proclami, ad ora sono arrivate solo semplici dichiarazioni.
Cos’è la carbon tax?
Per prima cosa capiamo cosa si vuol dire quando parliamo di carbon tax. La carbon tax è una tassa che viene applicata ai prodotti il cui consumo comporta emissioni di Co2, il principale responsabile dell’emergenza climatica che stiamo vivendo. A pagarla, solitamente, sono le aziende che nella loro attività produttiva emettono tale gas a effetto serra.
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Il ragionamento alla base della carbon tax è semplice. La produzione di un bene può generare un costo negativo per l’ambiente, in questi casi si parla di esternalità negative. Questo costo verrà pagato dalla collettività, ad esempio attraverso i danni alla salute e il danneggiamento degli ecosistemi. Per fare in modo che siano le aziende – e non la collettività – a pagare per i danni causati, è dunque possibile tassare le produzioni inquinanti.
Il summit del G20 di Venezia
Il G20 è nato nel 1999 come forum di consultazione tra le maggiori economie del mondo. In seguito alla crisi del 2008 è stato implementato anche di una dimensione politica, per favorire il coordinamento delle politiche dei singoli Stati sulle principali tematiche internazionali. Attualmente i Paesi coinvolti rappresentano il 60 per cento della popolazione globale, l’80% del PIL mondiale, il 75% del commercio estero.
Quest’anno i vertici del G20 si stanno svolgendo in Italia. Sabato scorso a Venezia, a margine del vertice su economia e finanza, si è tenuta la Conferenza internazionale sul cambiamento climatico, a cui hanno partecipato i ministri dell’economia e i governatori delle banche centrali più influenti al mondo.
Durante il vertice, il ministro dell’economia francese, Bruno Le Maire, ha esortato i colleghi ad assumere un impegno comune: far pagare un prezzo equo a tutti coloro che inquinano. «C’è bisogno – ha spiegato Le Maire – di introdurre un prezzo equo ed efficiente delle emissioni di anidride carbonica. In un mondo ideale, il prezzo dovrebbe essere uguale per tutti, ma ci sono differenze politiche su questo obiettivo. Stabilire una soglia minima va in questa direzione».
La fissazione di una base globale del prezzo del carbonio (cosiddetta global floor) è anche uno dei cardini della strategia climatica della Unione Europea. La Commissione presenterà domani ‘Fit for 55‘, un maxi pacchetto sul clima che poggerà su tre elementi:
- l’estensione a nuovi settori del sistema del trading di emissioni di Co2;
- la revisione della direttiva sulla tassazione energetica;
- un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (carbon border adjustment mechanism).
Gli Stati Uniti
Un po’ più generico è stato il punto di vista degli Stati Uniti. La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, si è mostrata consapevole che la lotta al cambiamento climatico “richiederà grandi investimenti e scelte politiche difficili” da prendere “immediatamente”. Ma non c’è stato nessun accenno specifico su una carbon tax globale, bensì più in generale su «incentivi alla decarbonizzazione e altre tipologie di sussidi».
La posizione del FMI
Uno degli attori più favorevoli all’introduzione della carbon tax è il Fondo Monetario Internazionale (Fmi). A Venezia la direttrice generale, Kristalina Georgieva, ha ribadito che serve «un segnale forte» per spingere all’adozione di una soglia di prezzo minima globale per le emissioni di anidride carbonica.
Ad oggi, secondo la direttrice del Fmi, il prezzo medio globale della Co2 è insufficiente: appena 3 dollari la tonnellata, e oltretutto copre solo il 23% delle emissioni globali complessive. Georgieva ha indicato la necessità di fissare un prezzo di almeno 75 dollari per ogni tonnellata di Co2 emessa.
Come farlo? «La prima priorità è liberare il mondo da ogni forma di sussidi ai combustibili fossili, che oggi sono equivalenti a più di 5 trilioni di dollari all’anno», risponde Georgieva. Poi si dovrebbe arrivare a un accordo internazionale che introduca un prezzo minimo del carbonio (global floor), o meglio diversi prezzi minimi a seconda dei contesti locali di sviluppo.
La strada è ancora lunga
Certo, stiamo parlando di semplici dichiarazioni. Ad esempio, nulla di comparabile con l’accordo sulla tassazione delle multinazionali raggiunto durante il summit. Un accordo vero e proprio anche in tema di carbon tax non sarà semplice da raggiungere. In primis bisognerà prevedere le ricadute economiche e sociali legati all’introduzione della tassa sul carbonio, evitando ciò che è avvenuto in Francia in occasione delle proteste dei gillet gialli.
Qui da noi, in Italia, una recente analisi fornita dall’Osservatorio dei conti pubblici calcola che, con la carbon tax, «il prezzo di carbone aumenterebbe del 134%, quello dell’elettricità del 18%. Per la benzina, l’aumento di prezzo sarebbe di circa il 10%». Sicuramente un cambiamento necessario se vogliamo affrontare l’emergenza climatica, ma da adottare insieme ad altre riforme indispensabili.
Insomma, la strada è ancora lunga. Ma la nota positiva è che, per la prima volta, nel comunicato finale del G20 potrebbe esserci il riconoscimento del ruolo del carbon pricing nella lotta la cambiamento climatico.