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Distruzione dei mari: una scelta consapevole e pericolosa

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L’oceano: la grande distesa blu dove la vita ebbe inizio, lo specchio d’acqua attraverso il quale civiltà differenti si sono incontrate e sviluppate. Al giorno d’oggi sembra che l’uomo abbia dimenticato il ruolo fondamentale che gli oceani ricoprono per la propria esistenza, apprestandosi sempre più a deturparne la bellezza e gli equilibri. Cerchiamo di fare chiarezza sulla repentina distruzione dei mari e del ruolo antropico in questa tragedia.

Impatto antropico sui mari del mondo

Dobbiamo riconoscerlo: non abbiamo saputo custodire il Pianeta con responsabilità. La situazione ambientale, a livello globale così come in molti luoghi specifici, non si può considerare soddisfacente. Tra questi luoghi vi è proprio il grande Blu.

La popolazione umana sta crescendo in maniera esponenziale, ciò si traduce in una maggiore necessità di spazi e, soprattutto, di risorse. Una buona percentuale di queste ultime proviene proprio dai mari.

La pesca eccessiva, spesso praticata utilizzando reti da pesca non idonee, sta portando ad un impoverimento ecosistemico, con conseguenze future senza precedenti. L’immissione di sostanze tossiche attraverso le acque reflue o lo sversamento di petrolio nei mari. Queste sono solo alcune delle terribili cause che stanno portando i mari del Pianeta al collasso.

Sotto il segno del mercurio

Le attività antropiche, come i processi industriali e minerari-estrattivi, nel tempo hanno contribuito all’aumento delle concentrazioni di mercurio (Hg) negli oceani ed alla distruzione dei mari.

Uno dei drammi legati a questo elemento, si è consumato sull’isola di Bouganville (Papua Nuova Guinea) nel 1963, per mano della Rio Tinto Zinc, uno dei giganti del settore minerario.

Quando ottenne da parte del governo coloniale australiano la licenza per poter iniziare le operazioni di estrazione sull’isola, l’amministrazione stabilì l’utilizzo momentaneo della valle del fiume Jaba, dove vennero scaricati rifiuti altamente nocivi, compresi cianuri e metalli pesanti derivanti dal processo di concentrazione di rame e di oro.

La distruzione dei mari passa anche attraverso lo sversamento in acqua di sostanze come il mercurio.

Questi scarichi nel sistema fluviale distrussero gran parte della vita marina dell’estuario.

Leggi il nostro articolo: “Sotto il segno del mercurio: il futuro degli oceani”

Quest’area del letto del fiume, abitata dalla tribù dei Nasioi, divenne priva di pesce e la diffusione di acque sotterranee inquinate in terreni non compensati non permise l’utilizzo agricolo di questi ultimi e quindi il conseguente sostentamento della popolazione. I problemi locali s’intensificarono ulteriormente dinanzi gli evidenti danni ambientali causati dall’incessante sfruttamento della miniera da parte della compagnia australiana.

Le tonnellate di acidi generati dall’attività mineraria hanno ucciso i fiumi Jaba e Kawerong, che rappresentavano una risorsa di acqua e di cibo per migliaia di persone. Tutta l’area attorno a questi fiumi appare come un paesaggio abbandonato.

La plastica soffoca i mari

L’inquinamento da plastica è diventato uno dei problemi ambientali più urgenti, a causa del rapido aumento della produzione di materiale usa e getta che travolge la capacità del mondo di affrontarli. L’inquinamento da plastica è maggiormente visibile nei Paesi in via di sviluppo, dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono spesso inefficienti o inesistenti.

Le comodità offerte dalla plastica, tuttavia, hanno portato ad una cultura dello scarto che rivela il lato oscuro del materiale stesso. Ad oggi, le plastiche monouso rappresentano il 40% della plastica prodotta ogni anno. Molti di questi prodotti, come i sacchetti di plastica e gli involucri per alimenti, durano da pochi minuti a poche ore, ma possono persistere nell’ambiente per centinaia di anni.

Leggi il nostro articolo: “Isola di plastica. Cos’è? Dov’è? Come si forma?”

Ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono negli oceani. È l’equivalente di mettere cinque sacchi della spazzatura pieni su ogni piede di costa in tutto il mondo.

Sull’isola di Henderson gli scienziati hanno trovato oggetti di plastica provenienti da Russia, Stati Uniti, Europa, Sud America, Giappone e Cina; trasportati nel Pacifico dal vortice del Pacifico meridionale, una corrente oceanica circolare.

Entro il 2050, la plastica negli oceani supererà i pesci, secondo quanto prevede una relazione della Ellen MacArthur Foundation, in collaborazione con il World Economic Forum. La distruzione dei mari passa anche da qui.

Una volta in mare, la luce del sole, il vento e l’azione delle onde scompongono i rifiuti di plastica in piccole particelle. Queste “microplastiche” si diffondono in tutta la colonna d’acqua in ogni angolo del globo, dal Monte Everest, la vetta più alta, alla Fossa delle Marianne , la depressione più profonda.

Milioni di animali vengono uccisi dalla plastica ogni anno, dagli uccelli ai pesci ad altri organismi marini. Si sa che quasi 700 specie, comprese quelle in via di estinzione, sono state colpite dalla plastica.

Foche, balene , tartarughe e altri animali rimangono strangolati dalle plastiche del nostro quotidiano o impigliati in attrezzi da pesca abbandonati (come le ghost nets). Sono state trovate microplastiche in più di 100 specie acquatiche, tra cui pesci, gamberi e cozze destinati alla nostra tavola.

L’overfishing ed il bycatch depauperano i mari

Con la crescita della popolazione umana è aumentato anche lo sfruttamento dell’ambiente. Inoltre, i nostri metodi di pesca e raccolta di risorse sono diventati sempre più efficienti, portando alla scomparsa di molti animali di grandi dimensioni e alla creazione di ambienti marini insolitamente “vuoti”.

L’overfishing ne è un esempio. Con questo termine si intende il fenomeno della sovrappesca, ovvero quando avviene la rimozione di una specie dall’ambiente ad una velocità che la stessa non può sostenere attraverso il reclutamento, con il risultato di un declinano numerico.

La pressione di pesca è cresciuta in maniera così elevata nel tempo da determinare il sovrasfruttamento di quasi la totalità degli stock delle principali specie commerciali. La biomassa di queste specie è fortemente ridotta e l’eccesso di mortalità da pesca fa sì che un numero insufficiente di individui riesca ogni anno a raggiungere l’età di riproduzione.

Il fenomeno del bycatch comporta la cattura “involontaria” di organismi assieme alla specie ricercata durante l’attività di pesca, specialmente se vengono usate reti come quelle a strascico (non selettive). La distruzione dei mari passa anche da qui.
Credits: Beatrice Martini

Molti vertebrati ed invertebrati marini vengono pescati in modo accidentale durante le operazioni di pesca. Vengono feriti o muoiono durante tale processo, un fenomeno chiamato bycatch.

Un altro effetto legato all’overfishin è un cambiamento drastico e innaturale nella struttura in classi di età delle popolazioni ittiche, dominate da individui in età giovanili e riproduttori di piccola taglia, mentre si riduce la proporzione di individui di età avanzata, cioè dei grandi riproduttori.

Perchè l’industria della pesca possa avere un successo a lungo termine è importante che essa sia ben organizzata. Che stabilisca quote di prelievo ben precise e che monitori continuamente lo stato della risorsa. La situazione del Mediterraneo è al collasso a causa dell’assenza di regolamentazioni razionali e dell’incapacità di far osservare le poche leggi esistenti.

Inquinamento ed eutrofizzazione dei mari

L’inquinamento delle acque ha conseguenze negative sulle persone, gli animali ed interi ecosistemi. Gli oceani sono spesso usati come scarichi all’aperto per rifiuti industriali e liquami urbani.

Un’altra fonte di inquinamento in crescita lungo le aree costiere è lo scarico di nutrienti e composti chimici derivanti dagli allevamenti di gamberetti e salmone. Gli inquinanti scaricati in acqua possono diffondersi rapidamente e su vasta scala a causa della presenza di forti correnti.

Alcune sostanze minerali che solitamente sono essenziali per la vita di piante ed animali possono divenire tossiche se presenti ad elevate concentrazioni. Tra queste vi sono i nitrati ed i fosfati, derivati dai fertilizzanti usati massivamente in agricoltura, dai liquami degli scarichi urbani o dai processi industriali: grandi quantità di queste sostanze innescano il fenomeno di eutrofizzazione.

La piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, la quale causò un disastro ecologico di cui ancora oggi molti ecosistemi ne pagano le conseguenze; a risentirne, anche la stessa pesca locale. La distruzione dei mari passa anche da episodi come questo.

La concentrazione di tali elementi porta ad abnormi crescite di fitoplancton sulla superficie del mare (ma anche di laghi e stagni), creando strati talmente spessi da oscurare la colonna d’acqua. Ciò impedisce alle specie vegetali di fare fotosintesi (e dunque di produrre ossigeno) impedendo la crescita di altre piante, esse stesse fonte di cibo.

Lo strato ad un certo punto degenera, muore e sprofonda; in risposta a tutta questa materia organica morta, alcuni batteri e funghi decompositori si riproducono più rapidamente (condizioni ottimali) consumando tutto l’ossigeno presente sul fondale e generando un’ambiente anossico tutto attorno, portando alla morte di molti esemplari.

Le alghe che si generano vanno poi spesso a ricoprire le barriere coralline, portandole alla morte, necessitando queste ultime di acque limpide. La comunità biologica ne risulta impoverita e semplificata; una sorta di “zona morta” popolata solo da quelle specie adattate all’acqua inquinata ed a bassi livelli di ossigeno.

Un altro grosso elemento di distruzione dei mari è il petrolio. Il greggio ha un peso specifico minore dell’acqua, per cui inizialmente forma una pellicola impermeabile sopra la superficie del mare, causando evidenti danni fisici e tossici diretti alla macrofauna. La successiva precipitazione sul fondale replica l’effetto sugli organismi bentonici. La bonifica dell’ambiente danneggiato richiede mesi o anni.

Il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon ha causato lo sversamento di petrolio nelle acque del Golfo del Messico in seguito a un incidente riguardante il Pozzo Macondo che si trova a oltre 1.500 m di profondità. Lo sversamento è iniziato il 20 aprile 2010 ed è terminato 106 giorni più tardi. È il disastro ambientale più grave della storia americana.

Massacro di specie a rischio

Uno dei dibattiti più accesi circa lo sfruttamento delle specie a rischio riguarda la caccia alle balene ed il shark finning.

Dopo aver constatato che la caccia aveva drasticamente ridotto le popolazioni di molte specie, nel 1986 un’apposita commissione internazionale (International Whale Commission) finalmente vietò ogni forma di prelievo.

Malgrado ciò alcune specie, come la balenottera azzurra e la balena franca boreale, rimangono oggi a livelli di densità di gran lunga inferiori a quelli precedenti l’inizio della caccia.

Leggi anche il nostro articolo: “Estinzione: a rischio orsi polari e squali”

La lentezza con cui le popolazioni di alcune specie stanno tornando ad accrescersi potrebbe esser dovuta alla continua caccia illegale e pseudo-legale. Infatti, nonostante il divieto imposto dagli accordi internazionali, il Giappone continua a prelevare migliaia di esemplari di alcune specie di balena; giustificando l’operazione con l’apparente necessità di raccolta di maggiori informazioni scientifiche per poter stabilire lo stato delle loro popolazioni.

Il finning è una pratica brutale quanto inutile. Questa consiste nella rimozione delle pinne dagli squali, ributtando il corpo ancora in vita direttamente nell’oceano. Incapaci di nuotare in modo efficace, gli squali muoiono per soffocamento (devono stare in continuo movimento per ossigenare le branchie) o mangiati da altri predatori.

La rimozione di predatori apicali all’interno degli ecosistemi marini porta a disastrosi effetti top-down che si ripercuotono su tutta la catena trofica. Il finning è aumentato dal ’97 per la crescente domanda di pinne per la zuppa e per le cure tradizionali, in particolare in Cina.

L’Ecopost consiglia: alcune letture

Noi di Ecopost teniamo molto all’informazione del singolo. Qui di seguito riportiamo alcuni titoli che vi potranno avvicinare ancora di più alle tematiche trattate nell’articolo.

  • Mariasole Bianco, “Pianeta oceano. La nostra vita dipende dal mare”
  • Charles Moore, “L’oceano di plastica”
  • Filippo Solibello, “Spam. Stop plastica a mare”
  • Nicolò Carnimeo, “Come è profondo il mare”
  • Franco Borgogno, “Un mare di plastica”
  • Frank Schätzing, “Il mondo d’acqua”

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di Beatrice Martini
Set 26, 2020
Nata nel 1993 a Roma, laureanda in Scienze Biologiche. Grazie alla sua famiglia fin da piccola si appassiona alla natura e alla conservazione di quest’ultima decidendo di farne una missione nella vita. Questo la porta in giovane età ad affacciarsi al mondo della subacquea e della fotografia naturalistica, partecipando a corsi (Scuola di fotografia Emozioni Fotografiche) e workshop in tutta Italia, come il “Marine Wildlife 2018” con Canon presso Tethys Research Institute. Durante il liceo vince due premi letterari che la portano ad appassionarsi al giornalismo, specialmente quello ambientale. Affascinata dai lavori delle sue mentori, Ami Vitale e Cristina Mittermeier, punta a diventare anche lei una foto/videoreporter per la conservazione dell’ambiente. Crede fortemente nel potere della parola e delle immagini attraverso le quali spera, un giorno, di poter dare un contributo per la salvaguardia del Pianeta. Nel 2020, grazie a L’Ecopost, le viene data l’occasione di poter affacciarsi al giornalismo e alla denuncia ambientale.

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