Quando si parla di migranti climatici è difficile trovare un focus sul quale concentrarsi, viste le innumerevoli motivazioni che spingono milioni di persone a fuggire dalla propria terra a causa del clima che cambia. Oggi, però, parliamo in particolare delle alluvioni che hanno colpito Somalia e Bangladesh nelle recenti settimane.
I migranti climatici somali
In Somalia si è scatenata la terza alluvione in nove mesi. Il Paese, già provato dalla guerra che prosegue da decenni, dall’invasione delle locuste e, più recentemente, dalla pandemia di Covid-19, è stremato. Come denuncia Save the Children, circa 150.000 bambini, una delle categorie di persone più fragili e più numerose della nazione, sono in fuga insieme alle famiglie dalle loro case nel sud della Somalia. Hanno inoltre lasciato alle loro spalle ben 33 mila ettari di terreno ormai non più coltivabile nel breve periodo.
Leggi anche: Effetto serra effetto guerra. L’umanità che si autodistrugge.
L’Ufficio di Coordinamento per gli Affari Umanitari dell’Onu elenca dati ancora più strazianti. Si stima che 149.000 ettari di terreni agricoli siano stati danneggiati dalle inondazioni in 100 villaggi di Jowhar, nei distretti di Mahaday e Balcad, appartenenti alla regione del Shabelle. Soltanto il 14 e il 15 luglio 15 mila famiglia sono state sfollate e destinate ai campi profughi. Nel distretto di Balcad, il 23 al 25 luglio sono esondati dei fiumi che hanno provocato lo sfollamento di oltre 4.100 persone e inondato oltre 1.421 ettari di terreni agricoli. Questi sono solo alcuni dei tantissimi, tristi numeri che riguardano la Somalia e i suoi migranti climatici.
Le alluvioni in Bangladesh
Mentre il Bangladesh sta ancora cercando di riprendersi dopo il super ciclone Amphan che si è abbattuto sull’area il mese scorso, una crisi umanitaria ancora maggiore incombe su questi stessi territori. Infatti questa stagione monsonica è stata una delle più violente degli ultimi decenni. Secondo la Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, 9,6 milioni di persone sono state affette da disastri ambientali in Bangladesh, Nepal e India nord-orientale, delle quali 550 hanno perso la vita.
Anche qui, il problema non è soltanto relativo alla perdita di terreni e al dislocamento di milioni di persone. Come ha dichiarato Rezaul Karim Chowdhury, direttore esecutivo della ONG Coast, in Bangladesh, “il paese è stato bloccato per quattro mesi (a causa del Covid-19, ndr.) e questo ha avuto un impatto molto forte sul Paese. Il 40% del reddito degli abitanti delle zone rurali, infatti, proveniva dalle aree urbane e all’improvviso i lavoratori hanno smesso di inviare soldi a casa”.
Gli abitanti delle zone periferiche si sono trovati così a vivere con i pochi prodotti ricavati dai terreni. Terreni che ora non producono più nulla a causa del ciclone Amphan e dai monsoni. Un terzo della popolazione è quindi ora sotto la soglia di povertà.
Non solo alluvioni: il viaggio straziante dei migranti climatici
Assistere a un’alluvione deve essere un’esperienza terribile, da tutti i punti di vista. Per i migranti climatici, però, questo è solo l’inizio. Le persone colpite perdono tutto. Casa, terreni, talvolta le persone care. Sono poi costretti a vivere per mesi, forse anni in campi profughi sovraffollati, non attrezzati e che spesso sono un concentrato di sporcizia e malattie. Il Covid-19 ha infatti peggiorato la situazione di tutti i campi profughi del mondo. In più le acque stagnanti delle alluvioni attraggono le zanzare che, sopratutto nel caso dell’Africa, sono ancora veicolo di malattie come la malaria.
Se poi queste persone volessero spostarsi in un luogo più sicuro e con più opportunità per rifarsi una vita, la loro situazione si complica ulteriormente. Potrebbero infatti voler migrare fuori dalla nazione colpita o anche dallo stesso continente. Dovrebbero così affrontare tutti i pericoli e le problematiche di cui noi italiani abbiamo un assaggio ogni qualvolta un’imbarcazione viene intercettata nel mediterraneo.
La causa sono anche i cambiamenti climatici
Il tutto è ancora più grave se inserito nel quadro dei cambiamenti climatici. Le alluvioni non faranno che aumentare nel corso degli anni. Il caldo, infatti, causa un aumento di vapore acqueo nell’aria e un accumulo di energia che favorisce la formazione di violenti nubifragi. Inoltre, se prima questi eventi erano localizzati nella zona equatoriale, adesso si stanno spostando verso zone tradizionalmente più temperate, come la stessa Italia. Lo dimostrano le recenti alluvioni di Palermo e di Milano (leggi qui il nostro articolo su Palermo).
Secondo la Banca Mondiale entro il 2050 vi saranno oltre 140 milioni di profughi interni, che si muoveranno per cercare un clima più favorevole. Philip Alston, relatore speciale dell’ONU, ha affermato che il riscaldamento globale “potrebbe condurre oltre 120 milioni di persone in povertà entro il 2030. E lo sta già facendo.
Un altro aspetto da non sottovalutare è che fino ad oggi le abitudini di consumo che hanno causato la crisi climatica sono derivate dai paesi più sviluppati del mondo. Le conseguenze maggiori della crisi, però, si abbattevano su coloro che con le emissioni di gas fossili non avevano nulla a che fare (come, appunto, la Somalia e i paesi africani).
Sempre secondo Alston, i Paesi che sono responsabili di appena il 10% delle emissioni totali del pianeta, subiranno il 75% delle conseguenze del clima che cambia. Adesso, però, le cose stanno cambiando e, forse, quando i disastri ambientali colpiranno con sempre maggiore frequenza l’Occidente, la bilancia tornerà sul suo asse.
Leggi anche: “Solo i ricchi si salveranno. Allarme ONU sul climate change”.