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In Italia sono aumentati gli eventi metereologici estremi

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C’è un saggio dello psicologo ed economista norvegese Per Espen Stoknes che ha un titolo che sembra uno scioglilingua. Si chiama What We Think About When We Try Not to Think About Global Warming. È interessante (non per lo scioglilingua), perché contiene numerose ricerche sulle barriere cognitive che offuscano la nostra mente quando dobbiamo considerare la pericolosità del riscaldamento globale.

La prima barriera menzionata è la distanza. Il cambiamento climatico è spesso percepito come qualcosa di ancora lontano; lontano in senso spaziale (succede altrove, non dove vivo io), temporale (avrà effetti significativi solo in futuro) e sociale (riguarda persone diverse, più povere). Ecco, questa distanza non esiste, è un meccanismo erroneo del nostro cervello. Una di quelle barriere che non ci permettono di percepire la minaccia a cui siamo sottoposti.

Questo vale anche per noi, che viviamo in Italia, e che pensiamo che la crisi climatica sia avvertita solamente in remoti atolli del Pacifico. Ce lo dimostra il nuovo rapporto dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente.

Escalation di eventi metereologici estremi

Sta crescendo, di anno in anno, il numero degli eventi metereologici estremi e dei comuni colpiti in Italia. Dal 2010 al 1 novembre 2021 sono stati registrati 1.118 eventi estremi sulla mappa de rischio climatico, 133 solo nell’ultimo anno, con un 17,2% in più rispetto alla passata edizione del rapporto. Per eventi estremi si intende fenomeni come allagamenti da piogge intense, stop alle infrastrutture, trombe d’aria, esondazioni fluviali, prolungati periodi di siccità, temperature estreme, grandinate, frane e danni al patrimonio storico.

I comuni colpiti sono stati 602 (95 in più rispetto allo scorso anno, quasi +18%), e le vittime 261. La città più colpita è Roma dove si sono verificati 56 eventi, di cui ben oltre la metà hanno riguardato allagamenti a seguito di piogge intense. Subito dopo Bari con 41 eventi, principalmente allagamenti da piogge intense (20) e danni da trombe d’aria (18). Infine Milano con 30 eventi totali.

Le aree più colpite da alluvioni, trombe d’aria e ondate di calore sono 14. Si tratta di grandi aree urbane e di territori costieri: a città come Roma, Bari, Milano, Genova e Palermo, vanno aggiunti la costa romagnola e a Nord delle Marche (42 casi), la Sicilia orientale e la costa agrigentina (38 e 37 eventi estremi), l’area metropolitana di Napoli (31 eventi estremi), il Ponente ligure e la provincia di Cuneo, con 28 casi in tutto, il Salento, con 18 eventi, la costa Nord Toscana (17), il Nord della Sardegna (12) e il Sud dell’isola con 9 casi.

Mancata prevenzione

Secondo i dati della Protezione Civile, ogni anno spendiamo 1,55 miliardi per la gestione di queste emergenze. Ma, cosa più allarmante, il rapporto tra spese per la prevenzione e quelle per riparare i danni è di 1 a 5. Legambiente rileva che “si tratta di un quadro complesso, quello del nostro Paese, di rischi e impatti in corso, in cui da decenni si continua a spendere un’enorme quantità di risorse economiche per rincorrere i danni provocati da alluvioni, piogge e frane, a fronte di poche risorse spese per la prevenzione”.

I motivi

Perché gli eventi estremi stanno aumentando anche da noi? Non è una domanda semplice, ma iniziamo col dire che, a causa del riscaldamento globale, il clima mediterraneo si sta estremizzando sempre più.

Lo spiega il climatologo Antonello Pasini su Linkiesta: «Il riscaldamento globale di origine antropica sta facendo estendere verso nord la circolazione equatoriale e tropicale. In questo modo siamo sempre più colpiti dai caldissimi anticicloni africani, invece di essere sotto la protezione del più mite anticiclone delle Azzorre. Quando poi gli anticicloni africani si ritirano sul Sahara lasciano un territorio e soprattutto un mare molto caldo che, quando scendono correnti da nord o nord-ovest più fredde o anche solo più fresche, creano un contrasto termico molto forte e forniscono vapore acqueo ed energia dal basso ai sistemi atmosferici, rendendoli più violenti ed estremi».

Al cambiamento climatico, poi, vanno aggiunte le caratteristiche del nostro territorio. «Per calcolare il rischio da eventi estremi e dunque i danni vanno considerate anche la vulnerabilità del territorio e l’esposizione dei nostri beni e delle nostre persone – continua Pasini – Anche in questo caso in Italia non siamo messi bene, perché i territori, spesso a causa di un’antropizzazione esagerata, sono molto fragili, soprattutto all’arrivo di piogge violente che non hanno la possibilità di essere assorbite ma defluiscono in superficie, facendo diventare le strade dei fiumi in piena. Spesso, inoltre, ci esponiamo in zone dove non dovremmo, magari impegnandoci in abusi che ci si ritorcono contro».

Cosa fare?

Il rapporto di Legambiente si chiude con quattro priorità che il nostro paese dovrebbe tenere in conto per aumentare la resilienza e ridurre la vulnerabilità del territorio ai cambiamenti climatici. In primis, l’approvazione del Piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Il nostro paese ancora non ne dispone uno, è fermo in attesa di approvazione dal 2018. A differenza di altri 23 paesi europei, l’Italia è l’unico a non disporre di un Piano nazionale di adattamento.

Tale mancanza può avere un notevole impattato nella programmazione delle risorse di Next Generation UE. Si tratta infatti di un documento necessario, secondo l’associazione ambientalista, per arrivare preparati alla
fine del 2022, quando sarà possibile rivedere gli interventi previsti dal Recovery Plan, pianificando specifici progetti nelle aree urbane e territoriali più a rischio.

Altra priorità è la necessità di prevedere un programma di finanziamento e intervento per le 14 aree del Paese più colpite. Il “Programma sperimentale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici in ambito urbano” del Ministero della transizione ecologica è un primo passo, ma occorre farne altri. Come, ad esempio, individuare le aree urbane più critiche e introdurre un fondo pluriennale che permetta alle città la programmazione degli interventi più urgenti.

Inoltre, è importante rafforzare il ruolo delle Autorità di Distretto e dei Comuni negli interventi contro il dissesto idrogeologico. E infine bisogna mettere la sicurezza delle persone al primo posto, rivedendo le norme urbanistiche: nonostante l’aumento degli eventi estremi, si continua a costruire in aree a rischio idrogeologico, ad intubare corsi d’acqua, a portare avanti interventi che mettono a rischio vite umane durante piogge estreme e ondate di calore.

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di Sebastiano Santoro
Dic 3, 2021

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