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Il film Downsizing mostra che la tecnologia non è la soluzione

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È molto difficile che un film di poco più di due ore riesca a coprire un tema tanto vasto quanto complesso quale è la crisi climatica e le sue possibili soluzioni. Downsizing, la pellicola fantascientifica del 2017 diretta da Alexander Payne e con protagonista Matt Damon, ce l’ha quasi fatta.

La trama di Downsizing

Il film è ambientato negli Stati Uniti in un tempo che potrebbe essere quello odierno. Forse anche leggermente più avanti nel futuro, quando la crisi climatica sarà un problema riconosciuto ormai in tutto il mondo, anche se nel film ancora in pochi se ne rendono conto o sono disposti a fare sacrifici in merito.

Rimpicciolirsi per evitare gli sprechi

Uno di questi sacrifici sarebbe quello di rimpicciolire la propria stazza, diventando esseri umani minuscoli e vivere in un mondo appositamente costruito per gli small, come vengono chiamati coloro che accettano di sottoporsi al downsizing.

Questa nuova scoperta viene osannata come la soluzione definitiva alla crisi climatica. I motivi sono piuttosto semplici: vi sarebbero più risorse e più spazio per tutti.

Per esempio, all’inizio del film, lo scienziato fautore del downsizing mostra in conferenza stampa un sacco nero pieno di spazzatura, che afferra comodamente con una sola mano. Una quantità che, per capirci, potrebbe essere prodotta da una famiglia di quattro persone in circa una settimana. Quella quantità, rivela poi lo scienziato, è stata prodotta da un gruppo di 35 mini-persone in quattro anni.

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Dalla vita mediocre al lusso sfrenato

Paul Safranek (Matt Damon), un fisioterapista con una vita alquanto mediocre, decide di sottoporsi al downsizing. Certo non senza remore, ma sicuramente con molte speranze ed eccitazione. Il downsizing è infatti pubblicizzato come la porta del paradiso, all’interno del quale gli small possono vivere con tutti gli agi e i lussi che hanno sempre sognato.

Questo perché, appunto, un qualunque prodotto proveniente dal mondo dei big costa molto meno ed è disponibile in maggiore quantità. Safranek si ritrova quindi a vivere, in un primo momento, in una villa gigantesca, con giardino, piscina, e tutto ciò che lui, esponente della classe media americana, non avrebbe mai potuto permettersi.

Una scena del film, in cui uno dei ricchi small ammira la rosa di dimensioni reali del vicino di casa Paul Safranek

I lati oscuri del downsizing

Il downsizing, però, ha anche i suoi lati negativi. Tranquilli, non è uno spoiler. Si capisce sin dall’inizio che qualcosa potrebbe andare storto. A cominciare dal fatto che la colonia dei mini-umani, detta Leisureland (letteralmente “la terra del piacere”) è dipinta come troppo perfetta, e noi sappiamo bene che le realtà perfette non esistono, se non nelle pubblicità.

Se è bello come dicono, perché non lo fa anche lei?

Si può capire però anche da un dettaglio della sceneggiatura, quando la moglie di Paul pone questa domanda, tanto innocente quanto significativa all’impiegata che si occupa della burocrazia del downsizing: “Perché, se è tanto bello come dicono, non lo fa anche lei?”. Lei risponde, tentennando, che il marito è affetto da alcune patologie che renderebbero la procedura medica del downsizing pericolosa, se non impossibile.

Ecco che qui inizia a rivelarsi il primo lato negativo: la pericolosità e l’umiliazione cui gli uomini vengono sottoposti durante la trasformazione da “grandi” a “piccoli”. Passaggi che, ovviamente, vengono sempre taciuti fino al momento della firma, durante il quale, sappiamo anche questo, è ormai difficile tirarsi indietro.

Una scena del fim, durante la procedura medica del “downsizing”.

Vi è poi un altro aspetto negativo, anche questo intuibile da subito, ovvero il distacco dalla società, o meglio, dai propri affetti. Diventare piccoli è infatti un processo irreversibile e rende impossibile, per ovvie ragioni, vivere nel mondo reale. Per questo gli small, seppur abbiano il permesso di viaggiare, dovranno vivere per il resto della loro vita in una comunità appartata, appositamente costruita per loro.

Il downsizing non è una soluzione, ma una fuga

Il terzo e più importante lato negativo del downsizing è anche il tema che conduce alla morale finale. La quale, secondo il mio personalissimo parere, poteva essere dichiarata in modo più deciso.

Il downsizing non è una soluzione alla crisi climatica, bensì una fuga codarda dal problema. Sembra infatti logico che i mini-umani possano condurre una vita lussuosa anche senza preoccuparsi dell’ambiente. Ma è altrettanto logico che non conta la quantità di risorse disponibili, bensì il modo in cui vengono utilizzate e distribuite. O meglio, le quantità contano, ma spesso diventano un capro espiatorio per sviare i problemi reali e più impellenti. Ecco perché.

Non solo aumento demografico

Nel film Downsizing viene più volte additata come causa principale del riscaldamento globale l’aumento della popolazione, senza invece fare riferimento allo sfruttamento sbagliato delle risorse, al loro consumo eccessivo e alla loro distribuzione iniqua.

Certo, quello della crescita demografica è un aspetto che ha contribuito alla crisi climatica e per cui è necessario fare qualcosa. Ma, oltre a non essere l’unico problema, non è nemmeno facilmente risolvibile nel breve periodo.

In più, le risorse che la Terra ci dà sarebbero comunque più che sufficienti per sfamare tutti i 7 miliardi di maxi-umani quali siamo. Quello che però la Terra non può fare è sfamarci tutti con gli standard di vita del mondo occidentale. Ed è proprio questa la causa della crisi climatica attuale: non quanti esseri viventi hanno utilizzato le risorse del pianeta, ma in che modo lo hanno fatto.

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Come si legge in un articolo dell’Huffpost, la fame nel mondo sarebbe causata più da povertà e disuguaglianze e, aggiungerei, dall’utilizzo sbagliato delle risorse, più che dalla scarsità di queste ultime.

Negli ultimi due decenni, il tasso di produzione alimentare globale è aumentato più rapidamente del tasso di crescita della popolazione. Infatti ad oggi il mondo produce abbastanza cibo per nutrire 10 miliardi di esseri umani. Se così non fosse non potrebbe nemmeno spiegarsi l’obiettivo di sviluppo sostenibile fissato dall’ONU “zero fame nel mondo” entro il 2050.

Perché esiste la fame nel mondo

I problemi sono principalmente due. In primo luogo, molte persone non possono permettersi di acquistare questo cibo. In secondo luogo, la maggior parte del grano prodotto industrialmente è destinato ai biocarburanti e ai mangimi per gli allevamenti intensivi, invece che ai milioni di persone affamate. Le quali, con il riscaldamento globale, la mancanza di acqua, i disastri naturali, lo stanno diventando sempre di più. Il tutto per permettere all’occidentale medio di godersi la grigliata domenicale.

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La famosa foto di Kevi Carter “L’avvoltoio e la bambina”, scattata in Sudan nel 1993. Carter ha immortalato un bambino (allora si credeva fosse una bambina) che cerca di raggiungere il centro ONU a pochi chilometri di distanza. Alle sue spalle l’inquietante presenza di un avvoltoio che attende la potenziale preda. Il bambino alla fine ce l’ha fatta, ma il fotografo si è tolto la vita quattro mesi dopo aver vinto il premio Pulitzer per questa fotografia.

Nessuno è disposto a cambiare abitudini

Infatti, anche se a Leisureland i mini-uomini hanno a disposizione una grandissima quantità di cibo, i problemi della società dei big sono rimasti, poiché alle vecchie abitudini conseguano i vecchi problemi. O, come diceva Einstein, non possiamo pretendere che le cose cambino, se facciamo sempre le stesse cose.

Una società in miniatura, non solo letteralmente

Leisureland quindi non è altro che una società in miniatura, non solo letteralmente. Vi sono infatti anche aree della cittadina poverissime, sovraffollate, dove le persone sono sfruttate e costrette ai lavori più umili per permettere ai ricchi nullafacenti di vivere la loro vita agiata.

Troviamo molti altri dettagli della vita a Leisureland che sono tipici anche della nostra società. Per esempio la beneficenza. I ricchi rifilano i loro scarti ai più poveri pensando di fare un’opera di bene. In realtà, però, questa nasconde soltanto un atto di pietà per sentirsi meglio con se stessi e le loro sporche abitudini.

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Il Dio denaro non è cambiato

Il denaro è il protagonista di Leisureland, come lo è della Terra. Se in un primo momento nel piccolo-mondo il valore dei beni potrebbe sembrare minore, in realtà è solo proporzionato. Il valore di una villa, per esempio, è minore dal punto di vista di un maxi-umano, ma per chi vive a Leisureland inizierà, col tempo, a crescere. Per i mini-poveri, infatti, quella villa varrà comunque tantissimo.

In più, il dowsizing non è gratuito. Paul Safranek ha dovuto pagare una certa somma prima di sottoporsi alla procedura, in base ai vantaggi che avrebbe voluto una volta sbarcato a Leisureland. Chi paga di più, ha più vantaggi (villa, piscina etc.). Chi paga meno ne ha meno. Paul Safranek, avendo investito tutti i suoi risparmi, è diventato un privilegiato. Il downsizing, quindi, non farebbe altro che creare nuovi ricchi, nuovi speculatori, nuovi evasori, nuovi mafiosi, con una veloce scorciatoia.

Insomma, una società capitalistica, per quanto piccola sia, rimane una società capitalistica. Se al suo interno vi sono poche persone che hanno tutto, che fanno troppe feste, che mangiano troppo cibo, che sprecano troppe risorse, vi saranno anche altri che, per forza di cose, avranno meno, che puliscono la loro sporcizia, che mangiano i loro avanzi.

Altre tecnologie possibili

Il downsizing è un scoperta scientifico-tecnologica ovviamente improbabile nella realtà. Ciò non toglie che scienziati e investitori hanno già cercato di mettere a punto nuove tecnologie per fermare il riscaldamento globale velocemente ma soprattutto senza sforzi.

Una di queste è quella promossa da Bill Gates di “oscurare il sole“. Questo fenomeno avviene già naturalmente ogni qualvolta un vulcano erutta, poiché rilascia solfati nell’atmosfera che fungono da minuscoli specchietti i quali riflettono i raggi solari. Di conseguenza, dopo ogni eruzione vulcanica, vi è un abbassamento delle temperature. La soluzione “tecnologica” quindi sarebbe quella di spruzzare solfati in un intero emisfero, così da creare una gigantesca barriera per i raggi solari.

Il vucano Pinatubo, nelle Flippine, eruttò nel 1991 e causò migliaia di morti per i problemi ambientali che ne derivarono.

Ma, senza contare la tristezza di non poter più vedere un cielo terso e azzurro sopra le nostre teste, questa soluzione non agirebbe sulle cause del riscaldamento globale, ma soltanto sul riscaldamento globale. In poche parole, le estrazioni petrolifere e il carbonio nell’atmosfera continuerebbero ad aumentare, provocando morti per malattie polmonari, acidificazione degli oceani, disuguaglianze sociali ed economiche, guerre e così via. Proprio come in Downsizing.

In più vi sono altre conseguenze negative per il clima, ad esempio il fatto che un abbassamento repentino della temperatura comporterebbe il blocco della stagione dei monsoni nelle zone equatoriali e, quindi, ancora più siccità e carestie.

Quale soluzione, allora?

L’unica soluzione è, come sempre, la via più lunga, ma spesso anche la meno tortuosa. Ovvero il cambiamento radicale delle nostre abitudini di vita, dei nostri sistemi economici, del nostro background culturale. Un’altra verità che Downsizing rivela è che la mentalità per cui essere ricchi significa avere soldi è profondamente sbagliata.

Molte delle persone che stanno intraprendendo le più fiere battaglie contro le estrazioni petrolifere sono, secondo i parametri tradizionali, povere. Tuttavia, sono decise a difendere una ricchezza che la nostra economia non ha ancora trovato modo di quantificare.

“Le nostre cucine sono piene di marmellate e di conserve fatte in casa, sacchi di noci, ceste di miele e formaggio, tutti prodotti da noi” ha raccontato a un giornalista Doina Dediu, una paesana rumena che protestava contro il fracking. “Non siamo neanche così poveri. Forse non abbiamo soldi, ma abbiamo acqua pulita e siamo in salute e vogliamo solo essere lasciati in pace”.

Un equilibrio prezioso

La Terra ha un equilibrio prezioso, che comprende una miriade di componenti che devono essere rispettati, che hanno uguale valore e che costituiscono un anello della catena esattamente come gli altri. Non vi sono, nella logica della natura, i privilegiati e i non. Le società umane, grandi o piccole che siano, non sono altro che uno spaccato del mondo. Per questo devono seguire le sue stesse regole e non vi è altra via d’uscita se non l’estinzione della specie.

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di Iris Andreoni
Apr 25, 2020
Nata a Milano nel 1991 ma bergamasca di adozione, è tornata nella sua città natale per conseguire la laurea specialistica in Lettere Moderne, un corso di studi che ha cambiato la sua vita e il suo punto di vista sul mondo. Ha infatti imparato ad approfondire e affrontare criticamente argomenti di varia natura e dare in questo modo priorità a ciò che nella vita è davvero importante. Il rispetto per l’ambiente è una di queste cose e, grazie ad alcuni libri e documentari, ma anche dopo due viaggi in Asia, Iris si interessa in modo particolare a questo ambito. Durante l’università scrive recensioni e interviste sul blog letterario Viaggio nello Scriptorium e, terminati gli studi, si appassiona al mondo del giornalismo, decidendo di sfruttare il grande potere della scrittura per comunicare al mondo i suoi interessi e le notizie più importanti. Collabora come redattrice con il giornale Bergamo Post e ha poi l’onore di frequentare il Corso di Giornalismo Ambientale Laura Conti organizzato da Legambiente. Qui conosce altri aspiranti giornalisti e insieme decidono di dare il loro contributo per informare l’Italia riguardo all’emergenza ambientale cui stiamo assistendo e di cui non molti sembrano essersi accorti. Per l’Ecopost Iris si occupa della redazione di contenuti e comunicazione sui Social Media.

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