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Fridays For Future: “L’UE sta barando con i numeri e ci sta rubando il futuro”

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Tempo di lettura 5 minuti https://anchor.fm/lecopost/episodes/La-critica-di-Greta-Thunberg-allUE-I-numeri-delle-emissioni-sono-falsati-ekvrar

Qualche giorno fa il Parlamento Europeo ha approvato la “Climate Law”, un provvedimento che impegna l’Unione a ridurre del 60% le emissioni entro il 2030. Una notizia che è stata accolta con gioia da parecchi addetti ai lavori. Tuttavia c’è anche chi non è affatto soddisfatto di questa decisione. Stiamo parlando di Greta Thunberg e del movimento a lei ispirato, Fridays For Future. La giovane attivista svedese, insieme agli altri giovani volti di FFF Luisa Neubauer, Adélaïde Charlier e Anuna de Wever, ha pubblicato un articolo su Medium.com in cui vengono spiegati i motivi di questa loro insoddisfazione.

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L’obiettivo della lettera

“Una delle più grandi e pressanti minacce per l’umanità è la convinzione che si stia mettendo in atto una reale e sufficiente azione di salvaguardia del clima, che ci si stia occupando della faccenda, quando in realtà non è così.”

Lo spezzone di articolo sopra riportato esprime, in maniera chiara, quale sia la più grande preoccupazione che riguarda la legge promulgata dal Parlamento Europeo. Se da un lato infatti la decisione presa la scorsa settimana da Bruxelles va nella giusta direzione, dall’altro ci sono dei dubbi riguardanti le modalità con cui i dati vengono calcolati. Un dettaglio non da poco, soprattutto se si considera che l’opinione pubblica, sempre molto distratta per quanto riguarda le questioni climatiche, ha rilanciato la notizia come se fosse la soluzione definitiva a tutti i problemi legati al cambiamento climatico. Ma, conti alla mano, non è proprio così. Ecco perchè.

Le discrepanze con l’Accordo di Parigi

Il Paris Agreement pone come obiettivo globale un aumento medio della temperatura globale che non sfori la soglia di +1,5 °C, dandosi come limite massimo un aumento di +2°C. Affinchè si raggiunga questo risultato, ogni paese ha il dovere di ridurre le proprie emissioni a zero entro il 2050, con in mezzo degli step intermedi che permettano di monitorare in maniera realistica se il proprio operato è in linea con quanto promesso o meno.

Nell’articolo pubblicato e tradotto sul sito di Fridays For Future si può leggere quanto segue:

“Gli obiettivi proposti per la riduzione delle emissioni di CO2 per l’UE del 55%, del 60% o perfino del 65% entro il 2030 non sono neanche lontanamente sufficienti per essere in linea con l’obiettivo di 1,5°C, e nemmeno con il “ben al di sotto dei 2°C” dell’accordo di Parigi”.

Una frase che non lascia spazio ad interpretazioni. Secondo alcune stime dei più importanti ricercatori del mondo, con la riduzione stabilita dal Parlamento Europeo avremmo solamente il 50% di possibilità di non superare la soglia dei +1,5°C. Praticamente la stessa probabilità di indovinare l’esito del lancio di una monetina. Non proprio una considerazione rassicurante.

La manipolazione delle date e delle percentuali

Un altro dei punti esposti riguarda l’utilizzo delle date di riferimento in termini di riduzione delle emissioni, che in Unione Europea sono da sempre calcolate rispetto a quelle del 1990. Dal 1990 ad oggi l’UE ha già ridotto, con metodi discutibili di cui vi parleremo sotto, le proprie emissioni territoriali del 23%. Per raggiungere l’obiettivo prefissato dalla Climate Law sarà dunque sufficiente tagliare le nostre emissioni odierne di un ulteriore 42% rispetto al 2018. Una cifra ben lontana dal 60% annunciato e che rischia di mandare fuori strada la percezione collettiva dei risultati ottenuti.

Le emissioni esportate

Passiamo ora ad una delle problematiche principali della logica adottata dall’UE. Nel conteggio complessivo non vengono incluse le emissioni che, rispetto al 1990, sono state esportate in altri paesi. Quella di delocalizzare le attività produttive in paesi a basso reddito, dove le regolamentazioni ambientali ed il costo del lavoro diventano uno scoglio molto più facile da superare, è una pratica che negli ultimi trent’anni si è diffusa a dismisura in Europa. Una parte cospicua della riduzione ad oggi ottenuta è dunque frutto di questo sotterfugio. Tutto ciò rende i risultati ottenuti fino ad ora poco più di uno specchietto per le allodole. Se infatti la quantità di emissioni globali non diminuisce ma, invece, ne viene semplicemente spostata l’origine, il risultato finale sarà lo stesso.

“Le riduzioni proposte non calcolano le emissioni del trasporto aereo internazionale, del trasporto marittimo né, ancora, del consumo di beni prodotti al di fuori dell’UE. Quindi, per esempio, se il vostro computer portatile è stato prodotto in Cina, le vostre scarpe in Indonesia, i vostri jeans in Bangladesh, la vostra giacca in India, il vostro caffè in Kenya, il vostro smartphone in Corea del Sud e la vostro bistecca in Brasile, allora, in pratica, nessuna di queste cose verrà conteggiata come emissioni dell’UE. E un breve viaggio in treno da Colonia ad Aquisgrana comporterà più emissioni di un volo andata/ritorno per Buenos Aires o Bangkok.”

Come dare il cattivo esempio

Proseguiamo con la penultima argomentazione espressa su TheMedium.com dall’attivista svedese.

Se non riusciamo a fare da guida e dare per primi l’esempio come abbiamo promesso, allora come possiamo aspettarci che paesi come la Cina e l’India facciano la loro parte?

Un aspetto che è stato completamente trascurato nella promulgazione di questa legge è quello dell'”equità”. L’Unione Europea, insieme ad altri paesi, si è impegnata con il Paris Agreement ad aiutare le nazioni del terzo mondo per far sì che vengano dotate di alcune importanti infrastrutture, di cui noi disponiamo già da tempo, e che assicurino il rispetto di alcuni diritti fondamenti come quello all’acqua e all’istruzione, così come anche la costruzione di altre opere per noi ormai scontate come strade, reti elettriche, ospedali e via dicendo. Il tutto, ovviamente, entro i limiti dei principi di sostenibilità. Ma se l’UE stessa è la prima a rompere queste regole, come può aspettarsi che gli altri la seguano?

Quest’ultimo è un dettaglio che non va affatto sottovalutato e che, sul lungo termine, potrebbe fare la differenza. La coerenza tra parole e fatti è l’unico modo credibile di risolvere la crisi climatica.

Gli altri fattori da considerare nel conteggio dell’aumento di temperatura

L’ultimo punto, lasciato forse di proposito come ultimo nell’articolo, è quello che fa più paura. Quando sono state calcolate le probabilità di rimanere al di sotto della soglia di +1,5°C, con i tagli di emissioni stabiliti, non sono stati tenuto in conto diversi fattori, che però si verificheranno con grande probabilità. Anzi, a dirla tutta, alcuni di questi hanno già iniziato a manifestarsi.

Se ad esempio gli ecosistemi naturali, l’oceano o le calotte di ghiaccio passeranno il cosiddetto “punto di non ritorno”, di cui vi abbiamo parlato in un precedente articolo, verrebbero attivati “dei cicli di feedback che aumenterebbero il surriscaldamento”.

Vanno inoltre aggiunte al calcolo effettuato dall’UE “le emissioni prodotte negli incendi, la morìa delle foreste per malattie e siccità, il calo dell’effetto albedo dovuto alla scomparsa dei ghiacci marini, o il rapido degrado del permafrost artico e il conseguente rilascio di metano”. Tutti aspetti che, da soli, rischiano di scatenare un ulteriore aumento della temperatura che oscilla da +0,5°C a +1,1°C.

“Ascoltate la scienza, agite in base alla scienza”

Questa presa di posizione di Greta e delle sue compagne, avvenuta un paio di giorni prima della promulgazione della Climate Law, ci deve spingere a riflettere su diverse cose. Da un lato risulta fondamentale verificare in maniera dettagliata quanto promesso da una classe politica che, fino ad oggi, ha deluso su tutta la linea per quanto riguarda la crisi climatica. Le conclusioni a cui sono arrivate le attiviste sono infatti basate su dei dati che sono alla portata di tutti. La letteratura offre ormai centinaia di titoli sul tema del cambiamento climatico, e risulta fondamentale acquisire una conoscenza quanto più dettagliata possibile su questo argomento, per riuscire ad avere un approccio critico e consapevole alle promesse che ci vengono fatte. Inoltre, altro fattore da non sottovalutare, ci ricorda quanto sia importante tenere alta la soglia dell’attenzione. Il rischio più grande, come precisato anche dalle attiviste, è quello di pensare, grazie ai piccoli progressi che si stanno facendo in questi ultimi tempi, che ci si sta prendendo cura a dovere del problema. Beh, non è ancora così. E noi non smetteremo di parlarne fino a quando non lo sarà.

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di Luigi Cazzola
Ott 13, 2020
Nato nel 1991 a Fano, laureato in Lingue e Comunicazione. Marketer di professione e diverse esperienze all’estero alle spalle. Da ormai qualche anno ambientalista convinto, a Settembre 2018 arriva la svolta che stava aspettando. Viene selezionato per il “Corso di Giornalismo Ambientale Laura Conti”, dove può finalmente approfondire tematiche relative tanto al giornalismo quanto all’ambiente. Fermamente convinto che la lotta al cambiamento climatico sia la più importante battaglia della sua generazione, decide di mettere le competenze acquisite al servizio di tutti per accrescere la consapevolezza legata a questo tema e fornire consigli pratici per orientare le scelte dei singoli verso un approccio più green grazie ad un consumo più critico e consapevole. Per L’Ecopost si occupa di redazione di contenuti, sviluppo Front-End e comunicazione sui Social Media.

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